Il Matto del Tegna
Una volta c’era un giovanotto assai gioviale; lo chiamavano il Matto del Tegna. Un giorno andò a un bosco per legne. Strada facendo vide tre rospi che dormivano al sole, e i poverini quasi si bruciavano. Ebbe compassione, prese alcune foglie e li coperse per ripararli dal caldo. Fatto questo, andò al bosco. I rospi, quando si svegliarono, s’accorsero delle foglie e dissero: Chi ci ha così riparati dal sole, qualunque cosa desidera, la possa avere. Intanto il Matto del Tegna, fatto un bel fascio di legne, se lo recò in ispalla e si mise in via per tornare a casa. Dopo un buon pezzo, stracco per il peso, gettò giù il fascio della legna e, sedendovisi sopra, disse: Sei ben pesante, il mio caro fascio. Io t’ho portato fin qui e adesso dovresti tu portar me. - Non ebbe appena detto questo, che il fascio si move e porta il giovane con grande sua meraviglia. Così andando, passa innanzi a un palazzo. La figlia del re, ch’era a una finestra del palazzo, come vede la strana cosa, si mette a gridare: Guarda, guarda il Matto del Tegna.
E il Tegna: Potessi tu, bella giovane, innamorarti di me!
E la giovane s’innamorò proprio di lui; in segreto lo sposò e in capo a un anno ebbe un bambino. Quando il re seppe la cosa, immaginate voi se montò in collera, tanto più che non sapeva chi fosse lo sposo della figlia. La interrogò più volte e non ci fu verso di cavarle una parola a questo proposito. Allora che fa egli? Invita a un pranzo tutti i grandi del regno, i popolani e il volgo. Quando i convitati furono presenti, fa venire il nipotino, gli dà una mela e gli dice di regalarla a chi più gli piace. Il bambino va in giro e, venuto innanzi al Matto del Tegna, gli presenta la mela, dicendo: Prendi, babbo. - Conosciuta la cosa, il re pensa al modo di levarsi dagli occhi la figlia e insieme la vergogna. Prende una gran botte, la divide con un asse in due scompartimenti, nell’uno chiude la figlia col bambino e nell’altro il Tegna, e poi fa gettar la botte in mare. Navigando la botte, al giovane venne fame, e disse: Quanto volentieri adesso mangerei un po’ di pane, e tu, bella giovane?
- Anch’io, chè muoio quasi di fame.
Dette queste parole, il pane ci fu. Mangiarono, e il giovane: Noi siamo chiusi in maniera che non ci vediamo l’un l’altro, bisognerebbe spezzar quest’asse di traverso. - E l’asse fu via, e i due giovani si videro e si parlarono. Poco dopo il Tegna dice: E dobbiamo noi morire qua chiusi in questa prigione? Se la botte almeno desse in qualche terra, potremmo romperla e uscirne. - E la botte andò a riva e si spezzò. Usciti i due sposi, andavano camminando per la spiaggia. Tutto era deserto e non si vedeva anima nata. Allora dice il Matto del Tegna: Ci fosse almeno una capanna dove ripararci. - Ed ecco sorgere un magnifico palazzo fornito d’ogni cosa che si può desiderare, con servitori, cavalli, carrozze. Entrati, conducevano una vita da gran signori e non sapevano desiderare di più.
Un giorno il re andò alla caccia, e si levò un gran temporale. Non sapendo dove rifugiarsi, capitò al palazzo della figlia. Picchiò, e gli fu aperto. La giovane subito lo riconobbe, ma egli non riconobbe lei, chè erano passati de’ bei anni dal giorno che l’aveva chiusa nella botte. Gli fu preparata una stanza e nello spogliarsi, per andare a letto, pose sopra un armadio alcuni suoi gioielli. La figlia trovò modo d’involarglieli. La mattina il re, svegliatosi, va all’armadio e non trova i gioielli. Meravigliato, voleva subito correre dalla giovane e domandargliene conto, ma si tenne. La figlia, entrata nella sua stanza, lo vide turbato e gli domandò: Che v’è accaduto, che siete così turbato? Forse che non avete dormito stanotte? - Rispose il re: Io non voleva dirvelo, pure, giacchè me lo domandate, ve lo dirò: Iersera, prima d’andar a letto, avevo posti su quest’armadio alcuni gioielli, e ora non li trovo più.
- Ah! sono i gioielli che vi mancano? Eccoveli. Son questi?
- Son questi appunto.
- Tutti? E non ce ne mancano altri, proprio altri?
- No, ch’io sappia.
- Ah! voi dite di no, e io dico di sì. Non riconoscete dunque più vostra figlia? Sono io quella che voi gettaste in mare, e che mi sono salvata per miracolo.
Il re, quando udì questo, se le avvicinò, la riconobbe e abbracciò, dicendo: Adesso ti riconosco, figlia mia, e ringrazio Dio che t’ha salvata. Vieni pure alla mia corte col marito e col figlio, perchè io dimentico ogni cosa e da qui innanzi t’amerò ancor più.
E così il Matto del Tegna con la moglie e col figlio andò alla corte, e visse sempre amato e rispettato da tutti.
Commento
In altre storie di questo tipo è un luccio o comunque un pesce a donare al protagonista stupido e/o pigro il potere di esaudire ogni desiderio: qui tocca ai rospi. Una differenza rispetto al modello più comune, che troviamo anche tra le fiabe russe di Afanas’ev, è che in questa storia il protagonista si augura che la ragazza si innamori di lui, invece di augurarle di rimanere incinta di lui. Il risultato è lo stesso, come ci mostra la storia, ma è leggermente più romantico così.
Da notale che anche qui troviamo la credenza popolare che i figli siano in grado di riconoscere il proprio padre biologico, anche se non lo hanno mai visto in vita loro. Compare spesso nelle fiabe ed è forse dovuta all’idea che padre e figlio condividono in parte lo stesso sangue, sono legati e, come si sa, “sangue chiama sangue”. Potremmo forse ipotizzare che questo motivo sia anche da collegare al passaggio da una società matrilineare a una patrilineare e serva a garantirci che non solo la madre semper certa est, per ovvie ragioni, ma anche il padre lo è. Segue anche e soprattutto la stessa linea di pensiero che, in molte storie medievali, ci ha dato i cadaveri che ricominciano a sanguinare in presenza del loro assassino: fra carnefice e vittima si stabilisce un legame di sangue, che dura oltre la morte e rende possibile il riconoscimento. Ma sono speculazioni.