Adriano - racconti e altro

Il re gobbo

Un re aveva un suo unico figliuolo e a lui avrebbe dovuto lasciare il regno. Ma il figliuolo era gobbo e deforme della persona e, quel ch’è peggio, più malizioso del diavolo. Siccome il re era vedovo, pensa di pigliar moglie, così avrebbe ancora un figliuolo a cui lasciare il regno in luogo dell’odiato gobbo. Infatti prese moglie, e in capo a un anno fu padre d’un vezzoso bambino. I genitori erano contentissimi e non sapevano celare la loro gioia. Il gobbo al contrario si mordeva le labbra per la rabbia e pensava nella sua mente al modo di vendicarsi. Chiama un servo fidato, e gli dice: Va alla culla del bambino, prendilo e portalo altrove, e ammazzalo. Se non fai questo, aspettati da me la morte. - Il servo, che non era crudele come il suo padrone, messo tra l’incudine e il martello, fu costretto a ubbidire. Andò nella stanza del bambino, lo prese e invece di quello fasciò ben bene un gatto e lo adagiò nella culla. I genitori poco dopo andarono per vezzeggiare il bambino, ma il gatto, diventato rabbioso, saltò loro addosso e li graffiò in modo che in breve morirono. Così l’infame gobbo ottenne il suo intento d’esser nominato re.

Intanto il servo se n’era andato col bambino in un bosco. Non aveva il coraggio d’ucciderlo, perchè gli faceva compassione, e tornare con esso indietro non osava, perchè certo il gobbo avrebbe ucciso ambidue. Mentr’era in questi pensieri, vede sopra una pianta un gran nido d’aquila. Che fa egli? S’arrampica sull’albero, e posa il bambino nel nido, e poi se ne va lasciandolo in guardia alla Provvidenza. E questa non abbandonò l’infelice. L’aquila, venuta al suo nido, s’accorse del bambino, e in iscambio d’ucciderlo, cominciò alla sua maniera ad accarezzarlo e nutrirlo. Tanto che il bambino divenne d’una bellezza e robustezza maravigliosa.

Un giorno passò di qua un pastore in cerca d’una sua pecora smarrita. Alza gli occhi e vede il bambinello che si trastullava con gli aquilotti. Maravigliato del caso, s’arrampica sull’albero, piglia il bambino e lo reca alla moglie, la quale poco tempo innanzi aveva pur essa avuto un figliuolo. Tuttavia, pregata dal marito, prende cura dell’orfanello. E perchè non sapevano come si chiamasse, gli diedero il nome di Aquilone.

C’era in quei luoghi a quel tempo un drago delle sette teste, che faceva gran danni nel paese. E perchè non facesse peggio, gli abitanti s’eran messi d’accordo di dargli ogni giorno un ragazzino da divorare. Dopo alcuni anni venne la volta del figlio del pastore, che doveva essere vittima del drago delle sette teste. La madre era fuori di sè per il dolore, e per salvare il figlio, pensa di sacrificare invece Aquilone. Ma questi intese la faccenda e fuggì dalla casa del pastore. Egli ormai era grandicello e d’una robustezza singolare, d’un coraggio poi da non dirsi. Prese una spada e si apposto in un luogo, dove sapeva che il drago passerebbe. S’avvicina il drago e credeva divorarsi facilmente il fanciullo, ma, questi, brandita la spada, gli si fa addosso e l’uccide. Appena si sparge la notizia di questo fatto, accorrono tutti e portano in trionfo Aquilone. Accadde poco tempo appresso che il re gobbo dichiarò la guerra al re, nel cui paese era Aquilone. Grande era lo spavento e tutti temevano d’essere scampati da un pericolo per cadere in un altro. Aquilone però li conforta, riunisce un esercito de’ più coraggiosi, e move contro i nemici. Egli non sapeva d’andar contro il proprio fratello. I due eserciti s’azzuffano e quello del re gobbo è sconfitto e messo in fuga e lo stesso re è ucciso da Aquilone. Quel servo, che aveva già esposto il bambino nel nido dell’aquila, riconosce subito in Aquilone il povero orfanello. Si presenta a lui e gli conta dall’a sino alla zita tutta la storia. Conoscono tutti allora che Aquilone è figlio di re, e come tale lo incoronano e lo conducono con feste sul trono usurpato con tradimento dall’infame gobbo.

Commento

Storia che segue un modello generale arcinoto in tutto il mondo o quasi. Un servo riceve l’ordine di uccidere un neonato di alto lignaggio, ma si limita ad abbandonarlo e affidarlo alla sorte. Il neonato è allevato prima da un animale, poi da una famiglia di basso livello sociale, quindi uccide il mostro di turno che tormenta il regno e alla fine sale al trono, rivendicando i propri diritti dinastici. In questo caso il mostro tormenta un regno diverso da quello a cui apparteneva l’orfano, ma alla fine al trono arriverà ugualmente grazie alla guerra che il fratellastro malvagio ha dichiarato proprio al momento giusto per farsi detronizzare (in forma definitiva, dato che l’eroe stesso lo ucciderà).

È possibile vedere modelli mitici nel combattimento tra fratelli, con l’uno che uccide l’altro? Senza dubbio, se davvero lo desideriamo, ma non mi sembra il caso in questa particolare storia. Possiamo però vedere un tipico esempio di kalòs kai agathòs nell’eroe, che è bellissimo e robustissimo, oltre che coraggiosissimo, mentre il fratello cattivo è gobbo, deforme e malvagio. Niente di strano, del resto: le fiabe non sono esattamente il luogo migliore in cui cercare profonde introspezioni psicologiche e colpi di scena imprevedibili.

Per il resto, tutto molto convenzionale, a parte i genitori dell’eroe uccisi dai graffi di un gatto, che appare un poco eccessivo anche in una fiaba, ma tant’è. Il drago a sette teste che richiede periodicamente un sacrificio umano è un altro motivo che troviamo di continuo, con la variante che qui non bisogna sacrificargli la solita vergine, perché il mostro preferisce mangiarsi i maschi: l’eroe dovrà quindi salvare se stesso, invece di un’altra persona. Semplice questione di gusti, la sostanza non cambia.