Adriano - racconti e altro

La giovane e la colomba

Una donna, rimasta vedova, aveva una figlia, la quale il più del tempo lo passava in una stanza chiusa a chiave. Alla madre venne voglia di sapere che mai facesse là dentro la fanciulla. Un giorno dunque si fa alla porta e per un bucolino guarda entro, e, stata un poco, con sua grande maraviglia vede entrar per la finestra aperta una colomba e posarsi sopra un tavolo. Quindi la colomba si mutò in un bellissimo giovane e cominciò a parlare con la ragazza. Perchè avete a sapere che il figlio del re s’era innamorato della figlia di quella vedova, e per venirla a trovare si trasformava prima in colomba e poi, per via d’incantesimo, ritornava nella figura di prima.

La donna, com’ebbe ciò veduto, fu oltremodo addolorata e pensò alla via di troncare subito una tale relazione. Il giorno dopo dice alla figlia che s’apparecchi per uscire a passeggio. La ragazza si veste e, prima d’uscire dalla sua stanza, pone un cuscino sul davanzale della finestra aperta – ch’era un segnale per far conoscere all’amante ch’ella era fuori di casa; - quindi raggiunge la madre. Questa però, appena fu in istrada, dice alla figlia: Oh! poveretta me, aspetta un po’ ch’io rientri, vo’ a prendere una cosa che mi son dimenticata. - E senz’altro rientra in casa; su per la scala, ed è nella stanza della giovane. Leva dal davanzale il cuscino, che v’aveva posto la fanciulla, e in suo luogo colloca alcune spine, e poi se ne va.

Intanto ch’esse erano a passeggio, venne la colomba a posarsi sulla finestra, ma subito le spine la punsero, così che volò via ferita in più parti del corpo. Quando la giovane tornò a casa, s’accorse delle spine e di alcune gocciole di sangue, ch’erano sparse sul davanzale. S’immagini ognuno il dolore da cui fu presa, il quale crebbe ancor più quando si sparse la novella che il figlio del re trovavasi a letto gravemente ammalato. Furono chiamati i più valenti medici del regno, ma le loro cure non riuscivano a nulla. Allora la coraggiosa fanciulla disse tra sè: Lo salverò io il mio amante. - E senza dir niente alla madre, fuggì dalla casa. Correva come una forsennata fino a che la raggiunse la notte. L’oscurità era così grande che non poteva movere nè anche un passo innanzi. Per mettersi al sicuro dalle bestie feroci, salì sopra una pianta e aspettò qui la luce del nuovo giorno. La giovane, tra per la paura e per il pensiero dell’amante, non chiuse occhio. Verso la mezzanotte vide molte faci avviarsi alla sua parte, e ad un tempo ode un distinto suono di pifferi e di tamburi e un vociare indiavolato. Le parve di scorgere una frotta di streghe che forse venivano a tenere in qualche luogo del bosco una delle loro solite adunanze. Il cuore le batteva fortemente, pure cercò di vincere la paura anche per non darsi a conoscere, chè guai a lei! La frotta delle streghe s’era già avanzata di molto, e venne proprio a postarsi a piè dell’albero, sul quale era la giovane.

Quando le streghe ebbero terminato il loro diabolico cantare e suonare, sedettero in cerchio e una di esse cominciò a dire: Avete inteso, amiche, quale novella corre per il paese?

- Sentiamo, sentiamo, - gridarono in coro tutte le altre.

- Or bene, ve lo dirò. Si dice che il figlio del re sia ammalato, e gravemente.

- E non c’è rimedio alcuno per poterlo guarire? - domandò una delle streghe.

- Sì, che il rimedio c’è, ma io sola lo conosco.

- Tu sola lo conosci? Dillo su dunque, che lo conosciamo anche noi.

- Eccolo. Voi sapete che laggiù c’è una cascina, e dietro ad essa una stalla, entro alla quale un cavallo batte continuamente con le zampe sopra una gran pietra. E cosa credete voi che ci sia sotto la pietra? Sotto la pietra c’è una spada. Bisogna pigliar questa, andar in Siberia, ammazzare un tremendo drago che si trova in questo paese, e poi col suo grasso unger tutta la persona dell’ammalato, e v’assicuro io che guarirà. Ma chi si porrà all’impresa se, eccetto noi, nessuno a questo mondo ne sa il modo?

Venuta la mattina, le streghe partirono di quel luogo. La giovane, che aveva inteso tutto il loro discorso, senza perder tempo, s’avvia verso la cascina indicata dalla strega. Giuntavi, picchia. Qui bisogna avvertire, che ella, lasciando la casa, s’era travestita da uomo, perchè non le pareva cosa pulita che una giovane fosse veduta andar girando così come uno zingaro. Le venne ad aprire un vecchio che domanda: Che vuoi da me, buon giovane?

- Io vorrei che mi deste alloggio in questa casa, perchè mi sono smarrito e ormai fa buio.

- Volentieri, ma non saprei dove metterti a dormire, perchè non ho altra stanza che la stalla. Se ti accontenti di dormire in questa, sii pure il benvenuto.

La giovane, che altro di meglio non desiderava, rispose che ben volentieri accettava d’andar nella stalla a riposare. Quando fu la notte e tutti dormivano nella casa, ella s’avvicina al cavallo che, come avevano detto le streghe, picchiava continuamente con le zampe su una pietra. Alza la pietra e trova la spada, la prende e poi, senza essere veduta, si mette per la via che conduceva in Siberia. Quando Dio volle ci giunse, s’affrontò col terribile drago e l’uccise. Uccisolo, gli trasse la pelle e il grasso lo raccolse in un vasetto, che aveva portato seco. Fatto questo, veloce come il vento, ritorna alla città, dov’era ammalato il figlio del re, e vi giunse nel momento in cui s’era ormai disperati della sua salute. Travestitasi da medico, entra nella reggia e domanda del re. Come fu alla sua presenza, lo prega che la lasci tentar la guarigione del misero principe. Il vecchio re, che amava il figlio sopra ogni altra cosa al mondo, accondiscese alla volontà della giovane, e il medico fu condotto nella stanza dov’era il malato. Appena cominciarono le unzioni col grasso del drago ucciso in Siberia, ed ecco che il principe si sente meglio, tanto che, a dirvela in breve, non passarono otto giorni ch’egli era bello e guarito. Il vecchio re, vistosi restituito il figlio, ch’egli faceva morto, non sapeva come avesse a contraccambiare il beneficio ricevuto dal medico, e gli offriva qualunque cosa avesse saputo domandare. Stette la giovane sospesa per alcuni giorni, finalmente, vinta dall’amore, disse al re: Giacchè pur mi volete compensare del bene che v’ho fatto, io vi domando in isposo il vostro figlio.

Come? - domandò maravigliato il re, - se tu sei uomo!

- Fate chiamare il principe, - ripigliò la giovane, - e lascisi decidere a lui.

Venne il principe e, come rientrato in sè, riconobbe subito nel medico, che l’aveva scampato da morte, la sua giovane amante, e inginocchiatosi innanzi al padre la domandò in isposa. Il re, commosso da questa scena, diede con gioia il suo consenso, e si fecero le nozze magnifiche e sontuose.

Commento

Altra storia con l’amante segreto e soprannaturale che è vittima della gelosia di una donna (la madre invece delle sorelle, in questo caso) ed è ferito gravemente. La ragazza dovrà così partire per un’avventura in cerca della cura per il suo amato. Neanche a dirlo, per scoprire la soluzione la nostra protagonista spia di nascosto una discussione tra streghe che si sono casualmente riunite proprio sotto l’albero su cui si era rifugiata per riposare: come già detto, è il modo migliore per raccogliere informazioni indispensabili in una fiaba. Anche in questo caso, per inciso, la cura magica consiste nell’usare il grasso di un animale particolare: un drago siberiano, che la protagonista ucciderà in un qualche modo non specificato, combattendo con una spada magica.

Altra caratteristica tipica delle fiabe, che ritroviamo anche qui, è l’uso di posti lontani per il puro piacere dell’esotico. La Siberia, come immagine di luogo remoto e misterioso, che la protagonista raggiunge e da cui torna in tempo per salvare il principe che era gravemente ammalato prima ancora della sua partenza: le distanze e il realismo dei viaggi sono irrilevanti, dopotutto, e un viaggio a piedi in Siberia non porta via troppo tempo e non richiede grandi scorte di provviste.

Simpatica la punta di umorismo nel finale, dove la ragazza chiede di poter sposare il principe dimenticando di essere ancora travestita da uomo in quel preciso momento, lasciando il re molto perplesso. Tutto poi si risolverà con una classica scena di riconoscimento e l’inevitabile “vissero felici e contenti”, che non è specificato ma lo possiamo considerare implicito.