La pianta fatata
Un re aveva un’unica sua figlia e l’aveva promessa in sposa a chi avesse tagliato un albero ch’era in un suo giardino. L’albero era fatato dalle streghe, e quanti eransi provati a tagliarlo, avevan gettata la fatica. A un contadino, robusto e coraggioso, venne in mente di mettersi all’impresa. Ne prende consiglio con la madre, e questa tenta dissuaderlo, dicendo che certo egli andava incontro alla morte. Ma il giovane, senza darle retta, si mette in via con una sporta di pane. Cammina e cammina e s’abbatte in una bestiaccia così orrenda, che per il ribrezzo diede un salto indietro. La bestia dice al giovane: Io muoio di fame, dammi un pezzo di pane, che te ne rimeriterò. - Il contadino, ch’era di buon cuore, diede un bel pezzo di pane alla bestia, e poi tira innanzi. E poco dopo incontra un uccellaccio che lo prega: Per carità un po’ di pane, io muoio d’inedia.
- Eccotelo.
- Grazie, - rispose l’uccello, - ecco una mia penna, se tu ti trovassi in bisogno, zufola con essa e io t’aiuterò.
Cammina ancora, e s’abbatte in un formicaio. Una delle formiche gli viene innanzi e dice: Buon giovane, abbi compassione di noi, che siam mezze morte di fame.
- Eccovi del pane, e mangiate.
- Grazie, rispose la formica, - tu ci hai campato da morte e noi non saremo ingrate, te n’accorgerai a un bisogno.
Dopo un lungo viaggio finalmente giunge alla città e si presenta al re.
- Io son venuto per tentar di tagliare l’albero del vostro giardino.
Il re si mette a ridere al vedere quel rozzo contadino, che credeva di riuscire in quella difficile impresa. Pure gli risponde: Va pure, ingegnati e fa del tuo meglio, perchè, se non ci riesci, ne va della tua vita.
Il contadino non per questo si smarrisce. Piglia la sua scure, va nel giardino e comincia a dar giù colpi all’albero, e questi erano così bene assestati che l’albero stava lì lì per crollare. Il re, che cominciava a temere che il giovane non riuscisse nell’impresa, va al contadino e gli dice: Tu devi essere trafelato, entra un poco a mangiare e poi fornirai il lavoro. - Intanto le streghe, che avevan fatato l’albero, vennero credendo di ridurlo allo stato di prima, ma, colte da spavento, scappan via. Lì vicino s’era postata quell’orribile bestiaccia, alla quale il contadino aveva dato il pane, e fu questa che spaventò le streghe. Dopo ch’ebbe mangiato, torna al lavoro e in breve atterra la pianta. La bestiaccia, ch’era ancor lì, dice: Fui io quella che ho reso vano l’incanto dell’albero. Avessi visto come son scappate via le streghe! - Dopo ciò il contadino si presenta al re e dice: L’albero è atterrato, spetta a voi adesso mantenere la promessa, datemi la vostra figlia in sposa. - Come rimanesse il re, lo pensi chi vuole. Chiama le streghe e le rimprovera fortemente. Le meschine si scusano contando la paura dell’orrendo animalaccio.
C’era alla corte un ministro d’animo assai cattivo, che aveva preso a odiare il contadino. Andò dal re e gli suggerì il modo di farlo morire. Il re fa venire alla sua presenza il giovane, e così gli parla: Troppo poco è quello che tu hai fatto per avere mia figlia in moglie; ben altro tu devi fare per ottenerla. Vedi; quest’è un sacco e dentro vi son sette lepri. Va nel prato vicino, e poi lasciale andare. Se tu le ripigli e me le riporti nel sacco, allora io manterrò la promessa, altrimenti ti converrà morire. - Il giovane va nel prato col sacco e lascia andar le lepri. - E adesso come farò a ripigliarle? - pensa tutto addolorato. Gli viene in mente che ha la penna dell’uccello, a cui aveva fatto elemosina del pane. Se l’accosta alle labbra e zufola. Ed ecco le lepri, che ormai erano fuori di vista, correre nel sacco tutt’e sette. Lieto torna al re con le lepri. Ma il re non è ancor contento, e gli dice: Non basta, io voglio che tu ripeta questa prova, perchè temo che m’abbi ingannato. - Il giovane ripiglia il sacco, e va nel prato. Intanto gli si accostano due cortigiani e tanto lo accarezzano che si fan dare due delle lepri. Avute che le hanno, le chiudono in una carrozza e aspettano come riuscirà la faccenda.
- Adesso, - pensano, - ripiglierà le cinque lepri sì, ma come ne potrà portar sette al re? Certo questa volta l’ardito è incappato nella rete.
Il contadino, che non sapeva di tante malizie, lascia andar le lepri, e poco dopo dà mano alla penna, e zufola. Ed ecco che tutte corrono nel sacco; quelle stesse, ch’erano chiuse nella carrozza, spezzano i vetri e vanno a raggiungere le compagne. I cortigiani, visto tutto, contano al re com’è riuscita la cosa, ed egli sempre più pieno di stizza chiama il giovane e gli dice: Va al granaio, troverai un gran monte di grano d’ogni specie: frumento, frumentone, orzo, miglio, panico. Entro ventiquattr’ore io voglio che tu faccia tanti mucchi quante son le specie del grano. Ove non riuscissi, la tua ultima ora è suonata. - Mesto il contadino va in granaio, si mette all’opera; ma poi disperato siede in un canto; nè anche un anno gli sarebbe bastato a compiere quel lavoro. Allora comparisce una formica e gli dice: Ti ricordi, o giovane, quando io e le mie compagne morivamo di fame e tu ci desti del pane? Noi promettemmo di aiutarti, quando te ne fosse venuto il bisogno. Ora il bisogno è venuto; e io farò venire i miei eserciti e non passeranno ventiquattr’ore che l’opera sarà compiuta. - Appena dette queste parole, da tutte le bande del granaio sbucano eserciti di formiche. Si mettono all’opera, e molto prima del tempo fissato, il frumento, il frumentone, l’orzo, il miglio e il panico se ne stanno in mucchi distinti. Passano le ventiquattr’ore e si va in granaio a vedere come se l’è cavata il giovane, e si vede l’opera fornita. Grande è la sorpresa e non sanno spiegarsi come ciò sia avvenuto. Però il re non era ancor contento. Voleva tentarle tutte. Chiama il giovane e gli dice: Prendi questo sacco, va nel fiume che corre qua vicino, e tu lo riempirai per una metà d’acqua e per l’altra metà di fumo. Questa è l’ultima prova; se riesci, avrai la mia figlia; se no, la morte.
Il contadino va al fiume, e non c’era verso che potesse cacciar l’acqua nel sacco. Disperato si butta lungo disteso sulla riva e aspetta la morte. In quella gli comparisce l’uccello che gli aveva data la penna, e gli dice: Mi conosci? Son quello, a cui hai dato del pane, e ora vengo ad aiutarti. Ascoltami, piglia il sacco, immergilo nell’acqua e vedrai che questa non ti scapperà più, te lo prometto io. Poi accendi la tua pipa e caccia nel sacco fumo e fumo e fumo, da ultimo tieni ben stretto, che non se ne vada; porta il sacco al re, e se non sarà contento, non voglio esser più quello che sono. - Il contadino fece nè più nè meno di quanto gli disse l’uccello, e tornò col sacco, così riempito per metà d’acqua e per metà di fumo. Quando il re vide anche questo, gli diede la figlia come sposa e in dote metà del regno.
Commento
La pianta misteriosa da abbattere è un motivo meno diffuso, ma gode ugualmente della sua popolarità in alcune zone dell’Europa. Di solito è l’albero a essere magico, per un qualche motivo, e si rigenera da solo durante la notte; qui invece è un albero normale, perché a renderlo impossibile da abbattere sono le streghe che lo rigenerano costantemente. Siccome le streghe sono in combutta col re, è più che altro una truffa ordita dal sovrano per divertirsi a far rotolare teste, non certo un mistero, ma sono dettagli.
Gli animali riconoscenti sono l’aiutante magico che permetterà al contadino di superare ogni prova, incluse le solite prove supplementari a cui il re ricorre per rimangiarsi la promessa iniziale. Curioso il molteplice intervento dell’uccello, prima come penna e poi in persona, quando è invece molto più frequente che ogni animale sia attivo per una sola prova specifica. Come al solito e come si merita, al re andrà male e il contadino otterrà principessa e metà regno, secondo il tariffario standard riconosciuto nelle fiabe. Storia di rivalsa? Forse, ma in fondo è un elemento che ai narratori piaceva sicuramente inserire, in apparenza, proprio come agli ascoltatori sarà certo piaciuto sentire.