Adriano - racconti e altro

La rosa

Un mercante aveva tre figliuole. Un giorno, dovendo recarsi alla città per le sue faccende, domandò quale dono avrebbe potuto portar loro. Le due maggiori subito chiesero un bell’abito, e la minore s’accontentò di una rosa. Ritornandosene a casa, quand’era già vicino, gli sovviene della rosa, e quasi quasi sarebbe tornato alla città per essa, perchè s’era dimenticato di comperarla. Pure pensa: Mi ricorderò un’altra volta. - Giunto a casa, regalò gli abiti alle due maggiori, e disse alla minore che la rosa se l’era dimenticata. Rimase ella mortificata, e dovette in santa pace godersi anche le derisioni delle sorelle.

Dopo alquanto di tempo convenne al mercante andar ancora alla città. Al suo partire la minore delle figlie gli raccomandò che si ricordasse della rosa, se le voleva bene. Ma anche questa volta, fossero le faccende o altro, fatto è ch’era poco distante da casa, quando gli corse alla mente la raccomandazione della figlia. Dolente oltremodo, si ferma e pensa se deve tornare alla città per la rosa, o tirar dritto. Ed ecco che vede in mezzo alla campagna un magnifico palazzo. S’avvia a quello, entra, chè niuno gliel’impedisce, non ode uno zitto; giunge in una sala e vede apparecchiata una mensa con ogni sorta di cibi e di vini. Egli aveva fame, era stanco dal viaggio, si mette a tavola e mangia e beve allegramente. Intanto era venuto sera, e già che lì c’erano stanze con letti belli e apparecchiati, pensa di passarvi anche la notte. E così fa. La mattina per tempo si desta e si fa alla finestra e vede un bellissimo giardino; scende e va a passeggiare per quello. C’erano nel giardino ogni sorta di fiori e anche una magnifica pianta di rose. - Ecco il caso mio, - dice il mercante, va al rosaio e coglie una rosa. Non l’aveva appena colta, che ode una voce: Perchè cogli tu delle mie rose? - Il mercante gira gli occhi di qua e di là, e non vede nessuno. Pure risponde: Mi scuserai; io la pagherei ben volentieri, se sapessi a chi. - Or bene, - ripiglia la voce, - giacchè sei disposto a pagarmela la rosa, voglio che tu mi conduca una delle tue figlie. - Il povero padre, all’udire una cosi strana domanda, rimase maravigliato. Partì di là e, tornato a casa, diede la rosa alla figlia. Però si mostrava così mesto, che le figlie gli erano sempre attorno per saperne la cagione. Finalmente, costretto dalle loro preghiere, narrò che era giunto in quel palazzo, che aveva udita quella voce, la quale domandava nient’altro che una sua figlia. La maggiore, all’udir ciò, si mise a ridere e disse: Se è tutto qui il guaio, ci andrò io, e vedrò questo palazzo incantato.

Ebbe appena dette queste parole, che s’udì il romore d’una carrozza. La giovane monta, e i cavalli via di galoppo. La carrozza si ferma innanzi al palazzo incantato. La giovane scende, entra e vede di qua e di là stanze ammobigliate con lusso veramente principesco. E questo è il curioso, che la mense è imbandita di vivande ancor fumanti e non si vede anima nata. Ella per nulla spaventata, si mette a tavola, mangia e beve allegramente, aspettando ciò che accadrà. Verso sera ode una voce; pareva venisse dalla finestra. La voce diceva: Bella giovane, permetti ch’io entri un poco in tua compagnia. - La giovane alza gli occhi, e vede alla finestra un orrendo biscione che la guarda pietosamente. Indispettita risponde: Vattene al diavolo, brutta biscia. Che pensi tu? di venir a tenermi compagnia? - Appena ebbe dette queste parole, il palazzo scomparve, e la giovane si trovò in mezzo alla campagna deserta. Non sapendo che far di meglio, tornò a casa e contò al padre e alle sorelle quanto le era accaduto. Il padre era quasi fuor di sè per il dolore, e andava spesso dicendo: Me l’immaginava io che la doveva riuscire così, già quella rosa mi sarà cagione di guai. -

Dice un’altra delle figlie al padre: Se tu mi lasci, voglio andarmene al palazzo incantato. - Dette queste parole, ecco la carrozza. La giovane monta, e via. Giunge al palazzo, entra e trova tutto d’una bellezza appena immaginabile. Le mense son pronte, non manca che sedersi. La giovane mangia, beve e aspetta. In sulla sera la voce dalla finestra si fa udire: Bella giovane, permetti che io entri un poco in tua compagnia.

- Entra pure, - risponde la giovane, senza alzar gli occhi.

La finestra s’apre, ed entra nella stanza un orrendo biscione, che con mille contorcimenti si avvicina alla giovane. Questa, impaurita, si scosta e grida: Va al diavolo, brutta biscia, mi fai spavento. - Subito il palazzo scompare ed ella si trova in mezzo alla campagna. Torna a casa e conta ciò che le è accaduto. Il padre si dispera e dice: Me l’immaginavo che la sarebbe riuscita così. Questa rosa già mi sarà cagione di guai.

Dice la minore: In somma voglio andarci anch’io; le mie sorelle se lo son cavato il gusto, me lo caverò anch’io. - Il padre la prega e la scongiura che non faccia, perchè le toccherà sventura. Ma già la carrozza è pronta. La ragazza parte, e poi le succede come alle sorelle. Si trova nel palazzo incantato; mangia, beve, e aspetta la sera. Questa viene, e si fa sentire la solita voce. La ragazza risponde: Entra pure, amabile biscione, la tua compagnia mi è cara. - La finestra s’apre, e il biscione s’accosta alla giovane e comincia a discorrerle. Così passano alcune ore, in capo alle quali il biscione dice alla ragazza: Adesso devo andarmene, ti ringrazio della tua bontà. Tu sola non hai avuto ribrezzo della mia bruttezza. Arrivederci a domani. - E così ogni giorno il biscione veniva a trovare la giovane, e questa ormai s’era così avvezza ai bei ragionamenti di quello, che aspettava con impazienza il momento in cui era solito venire. Un dì ella gli disse: Senti, amabile biscione; stanotte ho fatto un sogno che mi spaventa. Mi pare di vedere il mio povero padre ammalato gravemente desiderar di vedermi. Se tu mi permetti, andrei a vederlo. - Rispose il biscione: Va pure, perchè sei buona. Però, siccome nella tua assenza potrebbe accadermi una qualche disgrazia, così tieni questo anello. Fino a che tu lo vedi tale e quale, vorrà dire ch’io sto bene. Se invece lo vedessi annerire e farsi brutto, vorrà dire che mi trovo in grave pericolo. Allora tu vola, e sono certo che mi salverai. - La ragazza promise tutto, prese l’anello e se n’andò.

Venuta a casa, trova veramente il padre ammalato, come s’era sognata. Ma al primo vederla, subito risanò. La giovane ogni giorno guardava l’anello, e un dì tra gli altri gli parve che cominciasse ad annerire. Corse subito dal padre e lo pregò che le permettesse di tornare al palazzo incantato, perchè certo al biscione doveva esser accaduta una qualche disgrazia. Il padre la scongiura che non parta; ma già la carrozza è pronta e la giovane arriva al palazzo. Tutto è a suo luogo come prima, solo manca il biscione; invano lo chiama; non comparisce. Addolorata, scende nel giardino, tende l’orecchio e le pare di udire un lamento. Va al luogo d’onde veniva il lamento, e vede il povero biscione lungo disteso pressochè morto che mandava gemiti da far pietà. La giovane si china e vede confitto nel capo del moribondo un ago. - Sarà questo la causa della sua morte, - pensa, e senza perdere un minuto, glielo trae fuori. Ed ecco il biscione in un tratto si muta in un bellissimo giovane. Tutto quello che prima era incanto, scomparisce; il palazzo, c’è, ma dapertutto servitori e donne, che attendono alle loro faccende. Il giovane si getta ai piedi della sua liberatrice dicendo: Tu m’hai salvato da sicura morte, buona ragazza. Un mago, mio nemico, m’aveva ridotto in quello stato, che hai veduto. Io sono figlio di re e, se ti piace, sarai mia sposa. - Fu ben contenta la giovane e, mandati a chiamare il padre e le sorelle, si fecero le nozze splendidissime. E il padre andava sempre dicendo: Quanto era pazzo io a credere che quella rosa mi sarebbe stata cagione di guai. Ora m’avvedo invece che la fu sorgente di gioie e di allegrezze.

Commento

Variante sul tema della “Bella e la bestia”, un altro tipo di fiaba molto diffuso in Europa e altrove. Il padre parte per un viaggio e si offre di portare regali alle tre figlie: le prime due chiedono vestiti, la terza chiede una rosa o variazioni sul tema. Le fiabe che cominciano così sono legione e tutte si sviluppano allo stesso modo: la rosa è rubata nel giardino della casa di un qualche mostro, che chiederà al padre ladro di pagarlo consegnandogli una delle sue figlie, oppure è ottenuta da venditori sospetti che fanno richieste analoghe. Soltanto la terza figlia andrà bene, o perché si assume subito la responsabilità, oppure perché le prime due falliscono la prova.

Una volta che la ragazza ha imparato a convivere con la creatura mostruosa e si è affezionata in un qualche modo, dovrà tornare a casa perché il padre è malato, perché c’è un matrimonio o per una qualunque ragione. Il mostro le dona un anello, che la terrà aggiornata sul suo stato di salute. La ragazza per qualche motivo rientra troppo tardi e trova il mostro morto o almeno in agonia. Lo resuscita in un qualche modo (spesso con l’amore, ma non nel caso di questa fiaba), il mostro diventa il solito principe affascinante colpito da una maledizione, i due si sposano e tutti vissero felici e contenti.

Lo schema di base della storia è sempre lo stesso, ma le varianti hanno un loro interesse perché ci possono fornire informazioni sul paese in cui sono raccontate, o anche solo sul modo di pensare del narratore. Qui troviamo un tentativo di inserire una morale conclusiva, ma non è molto forte.

Più interessante è semmai l’ago che la protagonista trova conficcato nella testa del biscione. In più versioni della fiaba di Biancaneve, tra cui quella che troviamo anche nella presente raccolta, è uno spillone magico conficcato nella testa a far sembrare morta la ragazza. Sistemi simili li vediamo in altre storie, dove aghi e spilloni conficcati in qualche parte del corpo della vittima sembrano essere un modo comune per maledirla e causarle danni magici, trasformazioni incluse. Che sia così anche in questo caso? Che l’ago nella testa del biscione non sia la causa del suo malessere momentaneo, ma l’origine della maledizione che lo ha colpito? Possibile, specie se consideriamo che in altre storie del tipo “bella e bestia” il mostro di turno rischia di morire a causa dell’allontanamento della ragazza, come potrebbe essere accaduto anche qui, e non perché è stato trafitto da qualche oggetto. Ma è solo una ipotesi, sia chiaro.