Sangue di pesce
Una volta c’era un pescatore tanto povero che a stento poteva vivere, e sì non aveva che la moglie da mantenere. Pareva che il diavolo l’avesse tolto a perseguitare, poteva gettar le reti quanto voleva, non tirava su che pochi pesciatelli tanto da non morir di fame. Era quasi per darsi alla disperazione. Pure un giorno andò al mare, gettò la rete e poi cominciò a tirarla su. Gli pareva questa volta di far molto maggior fatica che non le altre; e tira e tira, la rete è su, e dentro c’è un pesce di così smisurata grandezza, che il pescatore, fuori di sè per la gioia, disse: Oh! finalmente io uscirò di stento, di questo pesce avrò le centinaia di lire. Mentre pensava alla sua fortuna, un’altra maraviglia venne a sorprenderlo. Il pesce parlava e diceva: Tu non m’ucciderai, non è vero, buon uomo?
- Che non t’uccida, caro il mio pesce? - risponde il pescatore, - sarei ben gonzo. Senti questa, mi capita in mano la fortuna, e me la lascerò scappare anzi per far piacere a un bel pesce.
- Te ne prego, sii buono, lasciami andare; ti darò una ricompensa tale che sarai contento. Sappi, buon uomo, che io sono il Padre dei pesci, e se tu mi salvi, farò sì che le tue reti saranno sempre piene, e tu camperai lautamente.
- Di’ tu davvero? - domandò il pescatore.
- Davvero, e te ne do parola d’onore, - rispose il Padre dei pesci.
- Ebbene, e io ti lascio. - Aperse la rete e il pesce se n’andò libero. Da quel giorno in poi il pescatore non gettava le reti che non le tirasse su con istento, a tale che in poco tempo da povero ch’egli era cominciò ad arricchire, e pure non lasciava il mestiere.
Un giorno getta la rete, e non tira su ancora il Padre dei pesci! Dice il pescatore: Questa volta non ti lascio andare. Sarei ben pazzo se lo facessi.
- Ingrato, - disse il pesce, - adesso che ti sei fatto ricco per opera mia, adesso mi vorresti ricambiare con la morte. Ritorna in te, e sii quell’onesto pescatore che sei sempre stato. Salvami la vita, e io ti farò ricco il doppio, il triplo di quello che sei adesso. - Il pescatore fu commosso, e lasciò andare il Padre dei pesci.
Aveva egli una moglie assai curiosa, la quale aveva visto il marito sempre più arricchirsi di giorno in giorno e non sapeva come ciò avvenisse. Era sempre attorno al buon uomo per cavargli il secreto, e il pescatore, finchè potè, stette duro; finalmente, vinto dalle preghiere della donna, le raccontò per filo e per segno la storia del Padre dei pesci. Alla donna la storiella non parve vera e disse al marito: Senti, tu vuoi ridere alle mie spalle, e mi vieni fuori con certe cose che non le crederebbe un bimbo. Guardati bene, la gente comincia a mormorare delle tue ricchezze. Io certo non sarò quella che ti faccia del male, chè mi darei la zappa sui piedi; però o mi dài altre ragioni del tuo arricchire, o, tirata dal demonio, potrei giocarti, contro mia voglia, un brutto tiro.
Rispose il pescatore: Eppure la cosa sta appunto come io te l’ho detta; se non la vuoi credere, non so che farti, peggio per te.
- Ebbene, – ripigliò la donna, - giacchè stai pur fermo nel volermi sbeffeggiare, fa’ ch’io veda questo famoso Padre dei pesci, e allora mi starò cheta. - Bisognò che il pescatore promettesse quanto quella voleva. Volle fortuna che proprio il giorno dopo, gettando le reti, tirasse su il Padre dei pesci. Questa volta non valsero le preghiere e le promesse, il pescatore contò la storia della moglie e il suo pericolo. Per cui il pesce, senza più pregare per la vita, disse all’uomo: Vedo ch’ormai mi conviene morire. Io t’ho fatto del bene e, se ora m’ascolti, intendo fartene anche morendo. Ti prego dunque: quando tu m’hai sventrato, getta le budella nel mare, e io risusciterò; già per te non valgono nulla. Poi del mio sangue ne darai tre gocce alla tua moglie e ti farà dono di tre bei bambini; tre gocce le darai alla tua cavalla e questa ti farà dono di tre bei poledri; e poi tre gocce le darai alla tua cagna e ti farà dono di tre bei cani. Non basta, devi versarne ancora tre gocce nel tuo giardino, e vedrai a suo tempo uscirne tre taglienti spade. Il resto del sangue tu lo porrai in tre ampolle, e sopra ciascuna scriverai il nome di uno dei tuoi figliuoli. Mettili in collegio questi, già che sei ricco, e che v’apprendano tutto ciò che s’appartiene a giovani signori. E quando saranno in età da correre il mondo, dà a ciascheduno un cavallo, un cane e una spada, e lasciali andare alla ventura. Ogni giorno tu guarda le ampolle e, fino a che il sangue sarà bello rosso, stà pur con l’animo tranquillo, ciò vuol dire che i tuoi figli sono fortunati nei loro viaggi. Se invece il sangue di un’ampolla comincia a intorbidarsi, vuol dire che il figlio, il cui nome è scritto sopr’essa, si trova in pericolo. Se farai quant’io ho detto, te ne chiamerai contento. - Il pescatore fece nè più nè meno di quello che gli aveva detto il Padre dei pesci, ed ebbe tre figli, tre cavalli, tre cani e tre spade. Fece educare i figli in un collegio e, quando furono grandicelli, li chiamò a sé, e disse al maggiore: Eccoti un cavallo, un cane, una spada e una borsa di danaro, e mettiti alla ventura per il mondo, che il ciel ti benedica. - Il ragazzo montò a cavallo, e via. Cammin facendo udì che lontano lontano era tenuta come schiava in un palazzo incantato la figlia di un re. Disse il giovane: Più bella avventura di questa non potrei incontrare; se io la libero questa ragazza, la fo mia sposa. - Cammina e cammina, giunge a un crocicchio e non sapeva quale delle vie prendere. Vede una vecchierella che gli stende la mano e chiede l’elemosina. Il giovane s’accosta e le dà alcune monete. La vecchia domanda: Dove andate, buon giovane?
- Vo a liberar la figlia di un re, ch’è schiava d’un drago in un palazzo incantato.
- Dio ve ne guardi; è un’impresa che ha condotto tanti altri alla perdizione.
- Ma io sono coraggioso, e certo riuscirò.
- Va bene questo; pure ascoltate il consiglio d’una povera donna, quale son io. Il palazzo incantato, al quale voi andate, ha un cancello di ferro tutto irrugginito, dietro a cui sta un furioso mastino, che s’avventa contro chi gli si avvicina. Voi prendete dell’olio e del pane, e forse riuscirete nell’impresa.
Il giovane fece come gli raccomandò la donna. Cammina, cammina, arriva al palazzo incantato. Quando è vicino, gli esce incontro una brutta strega gridando: Cavaliero, cavaliero, dove te ne vai?
- Vengo a liberare la figlia del re.
- Ebbene, metti al guinzaglio quel cane, altrimenti non entrerai.
Il giovane scende da cavallo e mette al guinzaglio il cane. Ma già la vecchia gli è sopra, lo tocca con la bacchetta magica, e in un punto il giovane, il cavallo e il cane rimangono di sasso.
Il pescatore ogni giorno guardava le tre ampolle del sangue. Un giorno s’accorge che il sangue dell’ampolla, su cui era il nome del figlio partito, è tutto torbido. Disperato, chiama i due figli, e loro dice: Ahimè! vostro fratello o è morto o certo si trova in gran pericolo.
- Non vi disperate, padre, - dice il mezzano, - datemi cavallo, cane, spada e danaro, e io andrò in cerca di lui, e prometto di salvarlo.
Il padre lo abbracciò e baciò e gli diede quanto domandava.
Il giovane monta a cavalo; trova nel crocicchio la vecchietta. Le fa elemosina, per suo consiglio si provvede d’olio e di pane e s’avvia al palazzo incantato. Giunge, e la vecchia strega gli viene incontro e lo minaccia se non mette al guinzaglio il cane. Il giovane si lascia persuadere, smonta da cavallo, mette al guinzaglio il cane; ma subito, tocco della bacchetta magica, è mutato in sasso.
Pensate alla disperazione del povero padre, quando dall’intorbidarsi dell’ampolla s’accorse che anche il secondo figlio era morto, o almeno si trovava in gran pericolo. Il minore dei figli lo consola e gli dice che andrà egli a liberare i fratelli, ma questa volta vuol portare seco l’ampolla del sangue di pesce, perchè così: se io morrò, voi non avrete ad assistere alla mia agonia. Il padre acconsentì, baciò in fronte il figlio, e lo accomiatò. Egli era tutto fiducioso perchè si ricordava le promesse del Padre dei pesci.
Il giovane parte, trova la mendicante, le fa elemosina e segue i suoi consigli. Giunge al palazzo incantato. Può gridar la strega quanto n’ha in gola: legate quel cane, o cavaliere; legate quel cane, ve ne prego. Il giovane non l’ascolta, cava la spada e d’un colpo le recide il capo e intanto il suo cane s’azzuffa col mastino del palazzo incantato e lo strozza. Va avanti ardito il giovane, unge con l’olio i cardini e i catenacci del cancello che subito s’apre. Appena entro, quale spettacolo si presenta! Da tutte le parti gli vengono incontro, liberati dall’incanto, principi, duchi, conti e nobili donzelle, e più bella di tutte queste la figlia del re. Ma non è contento di questo il giovane: cerca i fratelli. Vede in un canto due statue, assomigliano in tutto ai fratelli, si ricorda dell’ampolla, unge col sangue le statue, ed ecco farsi vivi ed abbracciarlo teneramente. Così l’incanto fu rotto. Fatto questo si reca, seguito da un corteo di principi, duchi, conti e nobili donzelle, al re del paese. Gli presenta la figlia liberata, e la domanda in isposa. Il re, maravigliato del valore del giovane, gliela concede e si fanno le nozze sontuosamente. Anche il vecchio pescatore e la sua moglie devono esser presenti alle feste. Si mandano a chiamare e vengono, abbracciano i figli e credono morir di gioia. E neppure la vecchietta del crocicchio fu dimenticata, e, perchè il pescatore aveva già narrato la sua vita, per le bocche di tutti volavano i ringraziamenti al Padre dei pesci.
Commento
Qui troviamo quasi tutti gli elementi di base della tipica avventura fiabesca a cui sono dedicati i tre volumi di The legend of Perseus. La nascita magica dei tre figli, ognuno dei quali dotato di uno o più “gemelli” animali, l’oggetto magico a cui la loro vita è collegata (quello che il più volte citato Hartland chiama “life token”) per controllare il loro stato di salute, la partenza per liberare la principessa prigioniera, la strega che li pietrifica, il terzo figlio che ha successo e salva tutti, l’aiutante magico, il lieto fine in cui tutti i buoni sono premiati.
Il Padre dei pesci è la prima figura interessante che compare. Il nome stesso ce lo segnala come una versione ridotta del Signore degli Animali: non controlla l’intera vita selvaggia, come facevano le antiche divinità che rivestivano questo ruolo, ma solo il sottogruppo specifico relativo al suo tipo. Questo personaggio gestisce anche la propria morte e resurrezione, spiegando in dettaglio come il suo cadavere dovrà essere trattato: una parte di lui genererà i tre figli, i tre cavalli, i tre cani e le tre spade, mentre il suo sangue diventerà l’indicatore della salute dei tre figli. Le interiora dovranno essere gettate in mare e il Padre dei pesci rinascerà dai propri frammenti.
Niente di strano, fin qui. I tre fratelli nascono da una parte del corpo del Padre dei pesci e sono dunque collegati a lui; sulla base di questa connessione, che il sangue del “padre” virtuale funzioni come indicatore del loro stato di salute ha senso, perché tanto i figli quanto il sangue sono una parte del pesce e dunque collegati sia a lui, sia tra loro. Nati assieme, tanto i bambini umani quanto i loro aiutanti animali (cane e cavallo) sono legati dalla stessa origine e dunque dallo stesso destino: tutti condividono lo stesso sangue (il sangue di pesce da cui prende nome la fiaba stessa). Proprio questo sangue comune sarà poi usato, non a caso, per sciogliere l’incantesimo che aveva trasformato in statue di pietra due di loro.
La vecchia strega è un altro motivo ricorrente in fiabe di questo tipo. Chiederà sempre di legare il cane o l’aiutante animale di turno, ricorrendo a una qualche scusa, e poi ucciderà, catturerà o pietrificherà chi obbedisce alla sua richiesta. Che l’eroe di turno le tagli la testa, dopo aver rifiutato di obbedirle, è considerato da Hartland un ulteriore segno che storie simili sono da categorizzare come appartenenti alla leggenda di Perseo. Sia come sia, la somiglianza generale è indiscutibile, anche se si può discutere sulle interpretazioni specifiche e su come siano da porre in relazione tra loro.
Da notare che, a un certo punto, il fratello maggiore dichiara che la principessa è prigioniera di un drago, ma in realtà non è così. Probabilmente un lapsus del narratore, che si è lasciato sfuggire il dettaglio di una fiaba differente.