Adriano - racconti e altro

Okikurumi, Samayunguru e lo squalo

Okikurumi e il suo aiutante Samayunguru uscirono un giorno in mare e arpionarono un grosso squalo, che fuggì via, su e giù per il mare, con la lenza e la barca. I due uomini divennero molto stanchi a forza di tirare e non potevano impedire che la barca fosse trascinata via in tutte le direzioni. Le loro mani sanguinavano ed erano piene di vesciche sia sul dorso che sul palmo, finché alla fine Samayunguru crollò morto sul fondo della barca. Alla fine Okikurimi non poteva più tenerlo e maledisse lo squalo, dicendo: «Squalo cattivo! Taglierò la corda. Ma la punta dell’arpione, fatta per metà di ferro e per metà di osso, resterà infilzata nella tua carne; sentirai nel tuo corpo le vibrazioni del ferro e il grattare dell’osso; e sulla tua pelle cresceranno l’albero rasupa [Hydrangea paniculata] e l’albero shiuri [Prunus ssiori], di cui il manico è fatto, e l’erba hai [canapa] con cui la punta dell’arpione è legata al suo corpo, e l’albero nipesh [tiglio] di cui è fatta la corda che lega l’arpione stesso, così che, per quanto tu sia un grande pesce, non sarai più capace di nuotare nell’acqua; e tu morirai, e alla fine sarai spinto a riva alla foce del fiume Saru; e neppure i corvi, i cani e le volpi ti mangeranno, ma svuoteranno il loro intestino su di te e alla fine tu marcirai nella terra.»

Lo squalo rise, pensando che quello fosse solo un essere umano che raccontava balle. Okikurumi tagliò la corda e, dopo molto tempo, riuscì a raggiungere la terraferma. Allora resuscitò Samayunguru, che era rimasto morto. In seguito lo squalo morì e fu spinto a riva alla foce del fiume Saru; e la punta dell’arpione fatta per metà di ferro e per metà di osso era conficcata nella sua carne; e aveva sentito nel suo corpo le vibrazioni del martellare del ferro e il grattare dell’osso; e nella sua pelle stavano crescendo l’albero rasupa e l’albero shiuni di cui era fatto il manico dell’arpione usato da Okikurumi, e l’erba hai con cui la punta dell’arpione era legata al manico, e l’albero nipesh di cui era fatta la corda legata all’arpione; e anche i corvi mangiatori di carogne e i cani e le volpi non mangiavano lo squalo cattivo, ma si svuotavano solo delle loro feci sopra di lui; e alla fine marcì nel terreno.

Per questo state attenti, o squali del giorno d’oggi, se non volete morire come questo squalo morì!

(Trascritta a memoria. Raccontata da Ishanashte il 24 novembre 1886.)

Commento

Una variante di questa storia ci è riferita da Batchelor nel suo Ainu life and lore, pagg. 302-303. In quella versione, i pescatori sono due persone anonime, anziché l’eroe culturale Okikurumi e il suo tirapiedi, lo squalo è sostituito da un pescespada e nel finale l’animale diventa un’isola, oltre a essere ricoperto da vegetali di vario genere. Manca anche la “morale” conclusiva, ma questa potrebbe anche essere stata rimossa da Batchelor stesso, che apparentemente non aveva grossi problemi ad apportare qualche ritocco alle storie che citava, sopratutto “interpretando” in chiave cristiana alcuni personaggi, luoghi o eventi (Dio, Diavolo, Gehenna, eccetera).

Per quanto riguarda il nome di Samayunguru, aiutante di Okikurumi in questa e altre storie, si possono fare alcune considerazioni più o meno interessanti. Samai era uno dei termini con cui gli ainu indicavano il Giappone ed è derivato da sam, avverbio che significa “vicino, accanto”: Samai-mosir era il termine completo, dove la parola mosir significa “paese”, inteso come territorio. Mosir può anche significare “mondo”, d’accordo, ma qui è usato ovviamente nella sua accezione più limitata. Samai-un-guru era un termine con cui si indicava una persona giapponesi in generale, almeno ai tempi di Batchelor e nelle aree da lui visitate, e significava grossomodo “Il tizio che sta qui accanto”. In una grafia più moderna, la parola diventerebbe samayunkur. L’aiutante di Okikurumi era dunque chiamato “Giapponese”? Può essere e avrebbe un suo senso, se accettiamo di interpretare Okikurumi come un Minamoto no Yoshitsune fuggito a Ezo. La storia però non finisce qui.

Se diamo una occhiata agli ainu che vivevano a Sachalin, troviamo un altro personaggio piuttosto interessante. Questo personaggio è Jajresupo, seguendo la grafia utilizzata da Bronisłav Piłsudski: un nome che significa grossomodo “bambino (po) che ha allevato (resu) se stesso (yay)” e che lo caratterizza come un uomo primordiale. Un altro nome di questo personaggio, con cui è noto ai comuni ainu all’interno delle storie in cui compare, è Samajekuru, oppure Samaje Kamui. Suona familiare? Abbastanza. Secondo Piłsudski, questo suo nome alternativo sarebbe proveniente da Ezo (l’attuale Hokkaidō), perché lui lo aveva sentito utilizzare soltanto da ainu che avevano vissuto a lungo a Ezo. Potrebbe dunque essere l’aiutante di Okikurumi, che nei paesi settentrionali ha trovato maggiore fortuna e fatto carriera in proprio, diventando eroe in prima persona, invece di restare il fedele tirapiedi di un eroe.