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Il Diavolo in carrozza

Quando ero bambino, mia nonna utilizzava spesso una particolare espressione per indicare il tuono: lo chiamava “il Diavolo in carrozza”. Quando ero a casa sua e si sentiva tuonare, lei diceva sempre «C’è il Diavolo in carrozza» o variazioni sul tema. Ai tempi pensavo fosse soltanto una sua particolarità, una cosa che diceva lei e basta, magari per farmi divertire. Dopotutto, una strada del comune era conosciuta col nome popolare di “via del Diavolo” e un posto scomodo da raggiungere era “a casa del Diavolo”, per cui l’immagine di un Diavolo in carrozza non mi appariva poi così strana: se aveva una via, avrà avuto anche un veicolo con cui percorrerla, magari per tornare a casa.

Solo che non funzionava così, in realtà. Quella particolare espressione non era soltanto un vezzo di mia nonna, ma è diffusa anche in altre zone del nord Italia. Sulla Rivista delle tradizioni popolari italiane, infatti, F. Valla scriveva che “Anche a Saliceto come in Toscana, quando tuona, le donne del popolino dicono che il diavolo batte la moglie: dicono anche va in carrozza attraverso le vie del cielo”. Se questo valeva per Saliceto, in provincia di Cuneo, ritroviamo l’immagine del tuono come rumore prodotto da una carrozza anche in Friuli, come ci raccontava Dino Coltro nel suo Gnomi, anguane e basilischi. A pagina 118, parlando del Vecio del Temporale, possiamo infatti leggere che “In un certo senso, i Vecchi del Temporale ricordano i Benandanti friulani, i quali, però, non sono dei vecchi, anzi si presentano come uomini grandi, appunto i Belavant che scorrazzavano in cielo con enormi carri, producendo i tuoni. Nel bellunese si sentono già alla celebrazione delle Palme.” Sempre Dino Coltro, alla pagina 171 del suo Mondo contadino (2009), ci propone una interpretazione opposta del tuono, di certo veneta, anche se non è indicata la località precisa: “Il brontolio lontano di un temporale l’è el Signore che passa in caroza per le strade del Paradiso”.

Vediamo dunque che nell’Italia del nord non era così insolito attribuire il rumore del tuono a una qualche figura soprannaturale che percorreva il cielo su un carro o una carrozza, almeno a livello popolare. Per il momento non ci interessa se questa figura fosse il Diavolo, Dio o altro ancora: era un personaggio che attraversava il cielo e le ruote del suo veicolo provocavano il rumore che noi chiamiamo tuono. Niente di strano, fin qui: per chi faceva esperienza quotidiana di carri, carrette e variazioni sul tema che percorrevano strade sassose, come erano di certo le strade di campagna o meno fino a non molto tempo fa, la somiglianza acustica tra il rumore delle ruote e quello del tuono può avere senso. Il discorso diventa più interessante se guardiamo più indietro nel tempo, ad altre figure soprannaturali che percorrevano il cielo con un carro e causavano temporali.

Thor è senza dubbio la divinità più famosa che corrisponde a questa descrizione. Era un dio del tuono, viaggiava nel cielo e il suo mezzo di trasporto abituale era un carro trainato da due caproni. Se il fulmine era il suo martello, scagliato contro i giganti, il tuono era il rombo del suo carro. Fin qui, tutto bene. Diventa un poco più difficile spiegare la sua presenza in Pianura Padana, a meno che non lo vogliamo considerate un altro turista germanico in viaggio verso la riviera romagnola. Non è impossibile che sia stato lasciato per strada dalle popolazioni barbariche che hanno invaso l’Italia alla caduta dell’Impero Romano: i Longobardi sarebbero i primi indiziati, per esempio, visto che nell’Italia del nord c’è anche una regione che prende nome da loro. Un problema è che, spesso, queste popolazioni erano cristianizzate quasi subito, per cui potrebbero non avere avuto il tempo materiale per far attecchire le proprie credenze più antiche tra la popolazione italica.

Se guardiamo a divinità più vicine a casa, troviamo subito Giove, che impugnava la folgore, e tra le sue tante attività c’era anche quella di mandare la pioggia e le tempeste: era Giove Pluvio, per l’appunto. Allo stesso modo, Zeus era un dio delle tempeste e usava la folgore anche per combattere, come attestato dalla mitologia greca: le armi della tempesta sono proprio quelle che lo aiutarono nella battaglia contro i Titani per salire al potere, e le ricevette dai tre ciclopi primordiali, nati da Urano e Gea subito dopo Crono, almeno secondo la Teogonia di Esiodo. Il problema di queste due divinità, però, è che non avevano grandi collegamenti col carro, soprattutto col carro da guerra. Le scorribande per cui Zeus è famoso non sono certo quelle nei cieli, per radunare le nubi, ma quelle a un livello molto più terreno, a caccia di sottane. Se è vero che in una delle sue imprese “amatorie” aveva assunto l’aspetto di pioggia dorata, è altrettanto vero che il suo legame diretto con le tempeste sembra più che altro un residuo del passato, qualcosa rimasto da epoche precedenti, scivolato in secondo piano quando Zeus, come Giove, divenne il simbolo del potere e il reggitore dell’ordine cosmico, garante dei giuramenti.