Apriti smart
Il signor Leonardo Zoppi aveva due problemi in quella calda serata di novembre, mentre il resto del quartiere gli scorreva attorno in un leggero brusio annoiato e indifferente. Non che fossero in molti a scorrere: giusto quattro gatti, a quell’ora e in quel periodo, ma i quattro gatti passavano oltre quasi come se lui non esistesse. Uno sguardo, un mezzo sorriso, un cenno della testa e poi via, verso vite e mondi distanti, o verso i fatti propri. Qualunque cosa stesse facendo quel tizio, non li riguardava.
Il che era vero. Quel tizio, al secolo Leonardo Zoppi, stava cercando di risolvere un problema, uno dei due che aveva al momento. Niente di difficile, in condizioni normali; peccato che le sue stessero diventando molto anormali, e lo stavano diventando in fretta. Perché, e questo è il punto, potevano anche non essere problemi difficili, i suoi, ma erano pressanti e richiedevano soluzioni rapide.
Il primo era la porta. Rifiutava di aprirsi.
Era un portone smart, di nome ma non molto di fatto. L’assemblea condominiale aveva votato quasi all’unanimità per installarlo, approfittando dello sconto offerto dall’azienda che li vendeva. Come si poteva rinunciare a un affare simile? Usando il cervello, aveva cercato di spiegare Leonardo, ma gli altri non lo avevano ascoltato. Se aspettiamo i prezzi saliranno, avevano obiettato. Ma c’era davvero bisogno di cambiare il portone? Non andava già bene così? Leonardo lo aveva chiesto e il resto dei condomini gli aveva risposto che no, non andava bene e sì, era necessario, perché il nuovo era in offerta speciale. Un vero affare. Solo uno stupido non ne avrebbe approfittato.
Solo gli stupidi cambiano quello che funziona benissimo, aveva ribattuto Leonardo.
Solo uno stupido si oppone al progresso, specie se è in offerta speciale, aveva ribattuto l’assemblea.
Quel particolare tipo di tennis verbale era continuato per un quarto d’ora, poi l’amministratore si era stancato e aveva aperto le votazioni. Che Leonardo Zoppi aveva perso.
Avevano comprato il portone smart, lo avevano fatto installare con tanto di cerimonia e festicciola demenziale nel giardinetto sul retro e adesso quel catorcio rifiutava di aprirsi. Intelligente come un amministratore di condominio, davvero. Leonardo sbuffò.
Era brutto già a guardarlo, quel portone. Assomigliava al genere di portello che puoi trovare in una storia di fantascienza anni Cinquanta, quando il futuro aveva tante lucine, qualcosa di positronico a valvole ed era alimentato a energia nucleare, che faceva bene alla salute e sbiancava i denti. Pure il fastidioso sibilo con cui si apriva ricordava una fantascienza a basso budget anni Cinquanta, oppure una perdita d’aria. O entrambe le cose, se ti sentivi generoso.
Leonardo non si sentiva generoso. Si sentiva incazzato. Erano cinque minuti che cercava di aprire il portone ed era molto vicino al suo personale punto di ebollizione. In più di un senso. E ancora non si voleva aprire, il bidone. Difettoso. Ecco perché costava poco: perché era uno scarto. Hah!
Leonardo si era identificato con l’impronta digitale. Il portone non era convinto che fosse autentica. Leonardo aveva usato la chiave magnetica e inserito il PIN. Il portone non era convinto che fosse il suo. Leonardo gli aveva ordinato di aprirsi, scandendo con cura sia il proprio nome che le istruzioni. Il portone non era convinto che la voce fosse davvero la sua. Leonardo lo aveva mandato a svolgere attività impossibili per entità non biologiche. Il portone non aveva riconosciuto l’istruzione.
Spostandosi leggermente da una gamba all’altra, Leonardo studiava la prossima mossa. Sfondarlo? Fuori questione. Era blindato e pesava molto più di lui. A sfondarsi sarebbe stato Leonardo, e molto prima del portone. Suonare a un vicino e farsi aprire? Si odiavano quasi tutti, ma valeva comunque la pena di provare. Citofonò al signor Barolla, che abitava al pianterreno e con cui non aveva faide in corso, al momento, almeno per quanto ne sapesse lui. Gli avrebbe aperto? Era un condominio. Ci potevano sempre essere faide in corso in cui eri coinvolto a tua insaputa. Tempo di scoprirlo.
Leonardo guardò la camera del citofono e tentò un sorriso rassicurante.
«Sì? Chi è?» disse la voce gracchiante del signor Barolla.
«Sono Zoppi. Leonardo Zoppi, quarto piano. Potrebbe aprire, per cortesia? Il portone non mi lascia entrare. Non so cosa abbia.»
Seguì una breve pausa. «Quarto piano, eh? Zoppi, eh? Guardi che non mi frega, eh? Io non la faccio mica entrare, eh? Lo so come funziona!»
«Mi scusi, ma guardi che io abito...»
«Ah, abita, eh? Qui mi dice che non la riconosce. Estraneo non registrato, ecco cosa mi dice. E lei abita, eh? Allora vada a casa sua, se lei abita!»
«Ma questa è casa mia.»
«Guardi che chiamo i carabinieri se non se ne va, eh? Delinquente! Si vergogni!»
Leonardo si arrese. Doveva essere successo qualcosa. Cosa? Un guasto, perdita di dati, altro ancora. Il sistema di sicurezza del condominio sembrava non riconoscerlo più. E adesso? Poteva aspettare che un vicino dovesse entrare o uscire, ma poteva aspettare? Spostò il peso da una gamba all’altra, quasi senza accorgersene. Poteva forse aspettare ancora per un poco, ma non per molto.
Non c’era un qualche meccanismo di emergenza, in caso di guasti? Forse. Era quasi convinto che il tecnico lo avesse spiegato al tempo dell’installazione, ma lui non stava ascoltando granché, aveva il muso lungo per la spesa e la sconfitta in assemblea e brontolava sottovoce invece di seguire. Brutta mossa. Adesso ne pagava le conseguenze.
Catorcio schifoso! Rotto di sicuro. Sibilava sempre quando si apriva, anche appena installato. Solo un branco di scemi come i suoi condomini lo poteva comprare. Hah! Ha i riconoscimenti vocali, e i biometrici, e la chiave magnetica per gli anziani. Un affare! Che non si apriva. Di nuovo, hah!
E adesso? Il tempo scorreva e i problemi si aggravavano.
Poteva telefonare a qualcuno? Sì, certo che poteva, ma chi sarebbe stato capace di aiutarlo a entrare in casa? Conosceva forse qualche scassinatore? Beh, c’era un commercialista in rubrica, ma quello non contava come scassinatore. Poteva però averne qualcuno tra i clienti. No, seriamente: aveva una persona a cui rivolgersi, una capace di aiutarlo col problema del portone?
Ci pensò in fretta, sempre spostando il peso da una gamba all’altra, e decise che sì, poteva chiamare Mario, Mario Donelli, un suo collega. Solo qualche mese prima gli aveva raccontato che anche nel suo condominio avevano sostituito il portone ed erano passati a uno smart. Stesso modello del loro? Improbabile: sarebbe stato troppo bello. Poteva però essere simile, magari tutti funzionavano più o meno allo stesso modo, e magari Mario aveva ascoltato le istruzioni, oppure da loro c’erano già stati incidenti simili, qualcuno rimasto chiuso fuori, e gli avrebbe saputo dire come era andata.
Siccome non aveva nulla da perdere e il tempo cominciava a stringere davvero, Leonardo chiamò.
Mario rispose, qualche convenevole, ascoltò la spiegazione del collega, gli fece un paio di domande e lo rassicurò. Successo anche da loro, sì. Tizio del secondo piano, rimasto chiuso fuori, portone e citofono che non lo riconoscono, problema più o meno uguale.
«E come si è risolto? Gli ha aperto qualcuno o, non so, ha sbloccato il portone?»
«Nessuno gli voleva aprire, perché nessuno lo riconosceva, no? Come fa con te. Segnali di estraneo sospetto, possibile truffa, eccetera. Viveva da solo, nessun familiare che gli aprisse, e comunque era un condominio, lo sai anche tu come funziona. Metà dei condomini odia l’altra metà, figurati che ti fanno un piacere che sia uno.»
Leonardo annuiva. Capiva, capiva benissimo. «Allora come è finita?»
«Beh, questa ti sembrerà strana, è stupido anche solo a dirlo, ma...»
«Ma?»
«Lo ha supplicato in ginocchio. Il portone. Si è inginocchiato davanti al portone e lo ha pregato di farlo entrare. Ti giuro. Non l’ho visto io, ma c’è stata anche un’assemblea condominiale. Lui voleva i danni morali o qualcosa del genere, non ricordo di preciso. Hanno riso tutti.»
«Si è inginocchiato e ha pregato il portone?»
«Sì. Non so la logica, ma è andata così. Magari, non so, è una posizione che attiva qualcosa nella memoria del portone, un qualche comando. Sai come sono i programmatori. Fuori di testa.»
«E il portone si è aperto?»
«Beh, non subito. Prima gli ha fatto una serie di domande per verificare la sua identità, come i test che trovi su certi siti, quelli per identificarti come umano. Odiosissimi.»
Leonardo aveva presente. Clicca sulle auto, clicca sui passaggi pedonali, clicca sui semafori, e via e via, uno dopo l’altro, test di Turing ribaltato in cui l’umano deve convincere il computer. «Quindi io mi devo inginocchiare e pregare il portone, poi mi farà una serie di domande e alla fine si aprirà.»
«Se rispondi bene e lo convinci, sì. O almeno il nostro modello ha fatto così. Il vostro non so. Vale comunque la pena di provare, se non puoi entrare in altro modo.»
Leonardo sospirò. Che brutto mondo. Ringraziò, salutò, riagganciò. Fissò il portone. Sembrava più odioso del solito: non lo avrebbe mai creduto possibile, eppure ci stava riuscendo, quello stupido e irritante aggeggio. Smart non lo era di sicuro, ma stronzo? A palate. Poteva quasi immaginarlo lì a ridere dell’umano chiuso fuori. Maledetta assemblea che lo aveva votato.
Leonardo Zoppi si bloccò. L’assemblea! Ecco da dove veniva quella stupida idea di inginocchiarsi e pregare il portone. Doveva essere stato l’amministratore a richiederla. Anzi, no: la funzione era già presente, magari per punire e umiliare chi si opponeva, e l’amministratore l’aveva fatta calibrare per attaccare lui, che aveva votato contro. Giusto! Come aveva fatto a non pensarci prima?
E la storia di Mario e del suo coinquilino? Ma era ovvio: un altro che si era opposto all’acquisto del portone ed era stato punito. Logico. Inevitabile. Tutto si spiegava. Ci rifiuti? Allora ti inginocchierai davanti a noi e ci pregherai di perdonarti. Bastardissimo.
Vero, ma c’erano i due problemi da risolvere. E in fretta. Oh beh, se proprio doveva...
Si inginocchiò davanti al portone, proprio di fronte alle videocamere, per farsi inquadrare meglio. Il riconoscimento facciale era importante, no? Poteva non riconoscerlo come inquilino, ma almeno lo avrebbe riconosciuto come umano e supplicante. E adesso il peggio.
«Ti prego, portone, apriti! Ho bisogno di entrare. Abito in questa casa. Ti supplico!»
Colse un flash con la coda dell’occhio e sapeva che almeno un passante lo stava fotografando, forse anche di più e forse, ma quasi di sicuro, lo stavano pure filmando. Poteva immaginarsi i loro post su tutti i peggiori social network: guardate questo impiegato che supplica la porta. Non sarà patetico? E giù un tag dietro l’altro, commenti di insulti e di compatimento, e chi più ne ha più ne metta. Ma i suoi problemi erano urgenti e aveva bisogno di risolverli. Al resto avrebbe pensato poi.
Dovette pregarlo altre tre volte, modificando un poco la formula, prima di centrare quella che forse era la frase giusta. Gli rispose una voce femminile falsamente sensuale, piacevole come un cactus in un orifizio in cui sarebbe meglio non inserire mai cactus o oggetti spinosi.
«Avviata la procedura di riconoscimento di emergenza per il signor Leonardo Zoppi. Per dimostrare la sua identità, risponda alle seguenti domande.»
L’interrogatorio cominciò. Dapprima aveva senso: domande sulla sua vita, i suoi gusti, persone che aveva conosciuto e frequentato, posti in cui era stato. Era lungo e Leonardo aveva fretta di finire ed entrare, molta fretta, ma resistette e rispose. Alla trentesima domanda circa smise di avere senso. Gli chiedeva informazioni su altre persone, vecchi compagni di scuola, colleghi di lavoro, qualche altro condomino. Voleva conoscere i loro gusti, dettagli su certi episodi della loro vita, almeno nei limiti in cui avevano incrociato la sua. Cosa ha fatto X nel posto Y? Perché lo ha fatto? E cosa aveva detto W a Z, quando erano nel posto Q? E così via, per un tempo che sembrava infinito.
Leonardo rispose a tutto, anche se a volte la risposta era solo un «non lo so», oppure una ipotesi che poteva essere tanto vera quanto campata per aria. Ma il portone continuava e continuava, mentre il poveraccio saltellava da un piede all’altro, di nuovo in piedi ma in ginocchio su altri fronti.
Era sicuro di non farcela, quando l’interrogatorio si fermò. «La ringraziamo per il contributo. La sua identità è stata verificata. Lei è Leonardo Zoppi e ha diritto a entrare. Ci scusiamo per il disagio.»
Finalmente! E adesso apriti, maledetto portone!
Il portone si aprì col suo solito sibilo acuto, come una forte perdita d’aria. Psssssh.
E in attimo di imbarazzo e disperazione anche il secondo problema di Leonardo si risolse: non forse nel luogo e nel modo in cui lo avrebbe voluto risolvere lui, ma i post che lo immortalarono ebbero tanti like e un certo lieto fine ci fu. Per altri, almeno.