Bisogni
C’era l’uomo e c’era il lampione. Era smart. Il lampione, dico. L’uomo non lo era. Decisamente. Se non era smart, aveva però un bisogno e il lampione lo avrebbe potuto soddisfare. Non che fosse così necessario il lampione, ma era questione di stile. Solo che era smart. Questo complicava le cose. La strada però era deserta. Questo semplificava le cose. E il bisogno era un bisogno.
Silenzio. Potevi sentire ronzare gli insetti, solo che non c’erano insetti e così non si sentivi davvero. Li avresti però potuti sentire, se ci fossero stati. Case spente, finestre nere, non un cane per strada. Il momento giusto. Solo che non lo era. Non proprio. Perché il lampione era smart e il suo occhio non smetteva mai di guardarti. L’uomo lo sapeva. Pure, aveva un bisogno. Era urgente. Impelleva quasi.
Tempo passò, ma non troppo. C’era l’uomo e c’era il lampione, in un angolo deserto e silenzioso di un paese deserto e silenzioso. Notte quieta, appena ventilata. Profumava di qualcosa che non era poi profumato, non proprio, ma lo sembrava e questo poteva bastare. Specie se avevi altri problemi, e il nostro uomo li aveva. Attese, a disagio.
Ticchettio di unghie sull’asfalto. Un cane, randagio. Passò a testa bassa, il lampione lo illuminò per un momento. L’uomo sospirò. Ovvio. Il cane lo guardò di sfuggita, poi proseguì. Il lampione tornò a spegnersi. Attendeva. Come il lampione, così l’uomo. Era una sfida.
Ecco il problema. Era smart, il lampione. Si accendeva quando ti avvicinavi, si spegneva quando ti allontanavi. L’uomo si sarebbe dovuto avvicinare. Significava finire sotto i riflettori. Nessuno era lì a guardare, d’accordo, ma il lampione guardava. E poi, adesso nessuno era lì. Ma dopo? Non potevi sapere. Non potevi prevedere. Pure, il bisogno era un bisogno.
Alternative? Nessuna all’altezza. Sembrava messo apposta, il lampione. Era lì. Ti fissava. Chiamava come una sirena. L’uomo non aveva cera nelle orecchie, solo cerume. Non aveva corde a trattenerlo. Aveva un bisogno. E il bisogno chiamava, forte. L’uomo rispose.
Avanzò. Il lampione si accese. L’uomo attese. Nessuno reagiva. Le case restavano buie, la via vuota e desolata. L’uomo raggiunse il lampione, testa bassa e volto rivolto a terra. Si fermò, si guardò per l’ultima volta attorno. Tutto taceva. Abbassò, estrasse, puntò, fuoco! Il sollievo lo avvolse. Fu allora che la sirena cantò davvero. Assordante.
Un suono spaccatimpani uscì dal lampione, l’ululato di una banshee con la colite e il mal di denti. Il sottile silenzio della notte fu vaporizzato, come certe città giapponesi in un certo agosto. L’uomo si bloccò in parte. Un’altra parte non si poteva più bloccare. Il panico lo avvolse.
E adesso? Che significava? Le finestre si accendevano come luminarie di Natale, una dopo l’altra ai suoi lati. Sorpreso, come uno scarafaggio in cucina, quando scatta l’interruttore. E adesso? Ma ogni imbarazzo gli fu risparmiato, a modo suo. Il lampione aveva altre difese. Efficaci.
Il flusso risalì il flusso, ormai sgocciolante, ma ancora sufficiente. La scarica lo colse dove poteva fargli più male e l’uomo la sentì, fino all’ultimo volt. Poi i suoi problemi finirono e giustizia fu fatta in perfetta autonomia. Tolleranza zero per chi deturpa la città. È una questione di decoro, capite.