Adriano - racconti e altro

Ci scusiamo per il disagio

Mezzogiorno di una normale domenica padana, cielo nebbioso e aria satura di polveri sottili, segno che l’economia procede di buon passo e il paese è la locomotiva della galassia. Per Piero Mustacchi il clima non era un fastidio, al momento. Il paese a volte lo era, ma non adesso. Adesso il suo primo, vero problema era un elettrodomestico. Lo fronteggiava nella cucina non illuminata dal sole nel suo non ridente buco smart, che a volte chiamava “casa” per mancanza di alternative migliori. Era ora di pranzo ed era soprattutto ora che l’aggeggio si degnasse di funzionare. Solo che non lo faceva.

Piero Mustacchi fissava il frigo smart. Il frigo smart fissava Piero Mustacchi.

«Apriti!» ordinò con voce chiara e pronuncia precisa, come raccomandato dal manuale.

«Impossibile contattare il server. Ci scusiamo per il disagio,» rispose la voce femminile del frigo.

«Apriti!» ordinò di nuovo Piero.

«Impossibile contattare il server. Ci scusiamo per il disagio.»

Piero Mustacchi sospirò e si accasciò contro il muro. Problema col server, hah! Come capitava a lui almeno una volta alla settimana e ai colleghi anche di più, a giudicare da quello che gli dicevano sul lavoro. O che non gli dicevano. Gli suggerivano. Gli alludevano. Ma dicevano? Mai! Sapevano tutti cosa era capitato a Elettra Circassi, reparto assistenza clienti. O meglio, non lo sapevano, che era il punto. Lo sospettavano. Ma... meglio non parlarne, capite anche voi.

«Che ore sono?» chiese all’assistente domestico.

«Sono le ore dodici e nove minuti, caro Piero,» rispose un’altra voce falsamente femminile.

Dodici e nove minuti, fantastico! E ancora non aveva cominciato a pranzare. E alle tredici sarebbe cominciato il suo turno domenicale. E a colazione... no, meglio non pensarci. Solo un altro piccolo problema, ci scusiamo per il disagio. Col ketchup. E un cubetto di ghiaccio. Cucina smart, già.

Perché non poteva avere una casa stupida, ma dove qualcosa facesse almeno finta di funzionare? Un elettrodomestico ogni tanto, niente di più. Invece aveva un inferno parlante, dove ogni giorno c’era un qualche problema nuovo. Bug, server irraggiungibili, traffico sulla rete, palle varie. E neppure ti potevi sfogare con una bestemmia o due, oppure una parolaccia generica o due se eri religioso. Era in ascolto, la casa. Faceva la spia, la casa.

E... potevano succedere brutte cose. A te, ad altri. Quindi, il silenzio era oro.

Piero Mustacchi pensava che fossero scemenze da complottista, all’inizio. Sembravano scemenze, il genere di roba che trovi in un racconto di fantascienza anni sessanta o settanta, stile Philip Dick. Ne aveva letti molti, da giovane. Era un genere che gli piaceva. Era fantasia, dopotutto, e la fantasia è il medicinale migliore per un ragazzo introverso e fesso, come Piero sapeva di essere sempre stato.

Solo che adesso non lo era più. Fantasia, dico. Introverso, probabilmente lo rimaneva ancora. Fesso, di sicuro. Che vita triste.

Era successo mesi fa, quando aveva rifatto da poco l’appartamento approfittando di bonus, incentivi e palle varie, ma soprattutto per evitare le multe orribili per chi non sceglieva liberamente di farlo. Il bene del pianeta, il clima, solita solfa. Le persone responsabili si devono adeguare e Piero non era il più responsabile degli umani, forse, ma non si poteva permettere di pagare le multe e così il buco di appartamento in cui si annidava era diventato smart, sostenibile, inclusivo e soprattutto palle varie.

Nonché spione.

Piero aveva commentato a bocca piena una notizia particolarmente ridicola, recitata dall’assistente domestico mentre lui sedeva al tavolino per una parca e solitaria cena a lume di LED. Neppure se lo ricordava più cosa fosse stato. Un qualche decreto stupido, cose così. Non era stata neanche pesante la sua critica. Aveva bofonchiato una forma di dissenso, tutto qui. Niente insulti, niente invettive.

Il giorno dopo aveva ricevuto una multa per vilipendio delle istituzioni e aveva perso ventisei punti dal suo status di cittadino. Piero aveva capito l’antifona e smesso di parlare in presenza di testimoni. O di aggeggi smart, che era ancora peggio. Specie perché la multa gliel’avevano detratta dal conto e non c’era poi così tanto sul suo conto, anzi. Prodigi del digitale.

Così adesso fissava il frigo con tutta la calma di un maestro zen anestetizzato pesante. Un brontolio cupo dallo stomaco lo avvisò che era ora di mangiare. La voce dell’assistente domestico ricordò che il su turno cominciava alle ore tredici, cioè tra quarantasei minuti esatti. Grazie mille.

«Apriti!» ordinò per l’ennesima volta all’elettrodomestico, sperando senza speranza che qualunque problema ci fosse col server si fosse risolto, nel bene o nel male. Non pretendeva poi così tanto, no? Solo che il frigo si aprisse. Avrebbe afferrato la prima cosa che gli capitava sotto mano e l’avrebbe mangiata anche cruda, se necessario, come ai tempi dell’università, quando cibarsi era un problema e le soluzioni erano... beh, diciamo “interessanti”.

«Impossibile contattare il server. Ci scusiamo per il disagio.»

Piero Mustacchi sospirò. Poteva uscire di casa alle dodici e ventisei, volendo. Se correva e aveva un minimo di fortuna coi mezzi pubblici, sarebbe arrivato in ufficio alle dodici e cinquantasette, forse un po’ troppo vicino al limite ma ancora in tempo. Giusto? Non era davvero costretto a saltare quel pranzo. Non in senso stretto. Se l’aggeggio avesse ripreso a funzionare...

Ma l’aggeggio non riprese a funzionare. Piero valutò per un attimo se forzare lo sportello, ma lasciò perdere. Se avesse danneggiato il frigo, e a forzare lo sportello l’avrebbe danneggiato di sicuro, con le spese e le multe sarebbe finito sottozero. Rischiava anche che il suo status di cittadino diventasse giallo orina, mentre adesso era giallo canarino deperito. Non ne valeva la pena, non per un pasto. Sì, in effetti erano due i pasti, perché aveva saltato anche la colazione, ma era lo stesso.

Pure...

Piero lanciò un ultimo sguardo di puro odio al frigorifero, scrollò le spalle e si andò a cambiare. Un fantastico turno di tredici ore lo attendeva e lo avrebbe dovuto affrontare a stomaco vuoto. C’era di peggio nella vita e magari prima o poi gli sarebbe anche venuto in mente cosa, ma non era lo stesso una prospettiva affascinante. Era però la vita. La sua vita.

Uscì, partì e arrivò in ritardo di un minuto e sedici secondi, causa malfunzionamento sulla linea, ci scusiamo per il disagio. Il gracchiare dello smartphone lo avvisò della multa mentre si identificava all’ingresso dell’edificio. Fantastico. Pancia vuota e a breve anche conto vuoto. Una domenica che poteva anche essere descritta come bestiale, ma solo per valori molto ributtanti di bestia.

Piero Mustacchi lavorò e pensò a cose tristi. Nella pausa caffè incontrò il dottor Trefossi e scambiò qualche chiacchiera mentre l’altro beveva e lui faceva la cura del sole, perché il conto era bloccato e non poteva neppure prendersi una schifezza dalle macchinette. Ci scusiamo per il disagio.

Il dottore si lamentò dei continui problemi sulla linea, che stavano diventando davvero insostenibili, e Piero gli diede ragione, aggiungendo tutte le disgrazie che gli erano capitate di recente. Lo fecero parlando di altro e con giri di parole e figure misteriose che avrebbero fatto invidia ad alchimisti e carbonari. C’erano orecchie ovunque e solo poche erano attaccate a un cranio. Lo sapevano tutti e si erano dovuti adattare, una sorta di selezione naturale che li aveva spinti a evolversi in direzioni fino a pochi anni prima inimmaginabili, se non dai più pessimisti. Un ascoltatore occasionale le avrebbe scambiate per le classiche chiacchiere su meteo e tempi andati, donne e motori, sport e altro.

Si scambiarono così parecchie informazioni e si sfogarono un poco, tornando in ufficio più contenti di quanto lo fossero stati prima della pausa. Piero riuscì anche a pensare a cose meno tristi o a meno cose tristi, nonostante lo stomaco che ululava e la monotonia infinita del lavoro, che anche un bot difettoso avrebbe trovato squallido. Ridendo e scherzando, il suo turno finì.

Uscì dal palazzo ed erano passate da poco le due di notte. Piero si fermò sul marciapiede deserto, un frammento di cervello ancora in ufficio e il resto che cercava di domare lo stomaco imbizzarrito. La notte non era malaccio, nel complesso. Umida come un pannolone da cambiare, ma la nebbia si era alzata e potevi ammirare... beh, ok, non c’era molto da ammirare, a parte le sagome squadrate di fila e fila di palazzi quasi identici, marciapiedi vuoti e una strada poco frequentata, ma era comunque un progresso rispetto alle pareti del suo ufficio e il loro verde malinconia, che ti svuotava l’anima.

Case, case, case, luci a LED e altre case: il mondo che lo circondava. Lassù, da qualche parte, c’era un cielo stellato, ma non apparteneva alla città. Non era mai appartenuto davvero alla città. Soltanto il nero stinto e sbiadito della motte metropolitana apparteneva alla città, e non era poi molto meglio del verde malinconia, se ci pensavi bene. Era solo diverso. Era un cambiamento.

Lo stomaco lo riportò al presente con un brontolio che avrebbe allertato l’INGV.

Mangiare, già. Ecco cosa avrebbe dovuto fare. Tornare a casa, mangiare e poi, beh, andare a letto, è ovvio. Il prossimo turno sarebbe cominciato alle undici, ma in un altro reparto, e aveva almeno una possibilità di riuscire a spremere sei o sette ore di sonno, se faceva in fretta. Quindi avrebbe fatto in fretta. Piero annuì e smise di contemplare il vuoto cittadino. Raggiunse la banchina e vide che tutti i servizi erano bloccati, causa piccolo problema col server, ci scusiamo per il disagio.

Niente mezzi pubblici. Doveva camminare. Di notte. Per chilometri, spesso senza marciapiede. E a stomaco vuoto. Sei o sette ore di sonno? Hah! Ritenta, sarai più fortunato. Pensando a cose volgari, ma facendolo solo con la parte più nascosta del cervello, Piero Mustacchi si incamminò nella lunga marcia che lo avrebbe ricondotto a casa, la sua personale anabasi attraverso terre dimenticate da dio e maledette dagli uomini. E dai mezzi di trasporto pubblici, in apparenza. Poteva andare peggio, ok. Almeno non pioveva. Per adesso.

Continuò a non piovere anche quando fu arrivato a casa, le gambe distrutte, lo stomaco in rivolta e tanta voglia di morire. O di uccidere qualcuno, come alternativa, ma il suo stato di forma e la natura non violenta che lo aveva da sempre contraddistinto rendevano più probabile la prima opzione. Non più piacevole, ma solo più probabile. Ma senza fretta, beninteso.

Si identificò al portone di ingresso, si identificò di nuovo alla porta di casa, entrò, si afflosciò come un corpo morto sul primo oggetto a disposizione, che per sua fortuna fu una poltrona scomoda e dal sedile quasi sfondato. Era una delle poche cose non smart in quell’appartamento. Praticamente il più fidato degli amici che Piero avesse sulla faccia della Terra. Che è triste, ma è la vita.

Era tardi. Era così tardi che ormai era quasi presto. Piero Mustacchi non aveva mai saputo davvero di vivere lontano dall’ufficio. Lo sapeva sì, a un certo livello, ma era pura conoscenza, che nella sua mente conscia non proiettava alcuna traccia. Ne proiettava parecchie sui suoi piedi, adesso. Tolse le scarpe e li poteva quasi sentire friggere nelle calze. Una era bucata, entrambe erano fetide. Si poteva dire più o meno lo stesso dei piedi, che non avevano buchi ma vesciche. E li fiutavi, oh sì.

Aveva mai camminato così tanto in vita sua? Forse una volta da ragazzo, quando aveva perso per un qualche motivo ormai dimenticato l’ultimo treno per il suo paesello e si era dovuto fare almeno otto chilometri a piedi. Ma era solo sera ed era giovane, forte. Ok, forse non così forte, ma giovane sì e il suo stomaco era pieno. Accettabilmente pieno. Adesso, invece...

Adesso Piero era di mezza età portata male, a digiuno dal giorno prima, anzi da due giorni prima, la sua forma fisica era simile a una fetta di groviera ammuffito e il suo morale era così in basso che le formiche si dovevano chinare per poterlo guardare negli occhi. E aveva fame. Aveva famissima.

Si alzò. Si trascinò a piedi scalzi fino alla cucina col passo di un novantenne emorroidato e artritico, si fermò davanti al frigo, lo fissò, strinse le labbra, fece lo sguardo più truce che gli riuscisse, decise che il suo sguardo truce non era un granché, lasciò che i muscoli del viso si afflosciassero nel solito muso da bassotto lapidato e alla fine parlò.

«Apriti!»

E il frigo si aprì. Era vuoto.

No, non era vuoto. Abbandonata nel mezzo del deserto bianco e grossomodo asettico si stagliava la sagoma misera di una fetta di pane. Era grigiastra e pelosa.

«Perché?» sospirò Piero. «Perché tanto dolore?»

Gli rispose la voce artificiale femminile dell’assistente domestico. «Il servizio clienti ha sostituito il tuo frigorifero con un nuovo modello più performante e sostenibile, in ottemperanza al decreto 997 reso esecutivo nel pomeriggio di ieri. Tutte le spese sono state accreditate sul tuo conto. Grazie.»

«E il contenuto? E il cibo? Che fine ha fatto il mio cibo?»

«Il tuo frigorifero è un nuovo modello più performante e sostenibile. Il servizio clienti ha rimosso il vecchio modello assieme a tutto il suo contenuto, per smaltirlo a norma di decreto. Ti ringraziamo per la gentile collaborazione. Grazie a te il mondo sarà un posto migliore, caro Piero.»

Piero Mustacchi tese il braccio verso il frigo nuovo. Afferrò il pezzo di pane ammuffito, incredulo e un poco perplesso. Più di un poco, in effetti. Perché? Poteva capire la sostituzione dell’aggeggio, sì: era insensata come tutto il resto della sua vita, ma nella sua insensatezza aveva un senso. Ma perché lasciargli un pezzo di pane ammuffito nel frigo nuovo? Perché non cibo vero? Lo chiese a voce alta.

«Il contenuto del tuo nuovo modello di frigorifero è quello che si poteva comprare con la somma a disposizione sul tuo conto, dopo avere detratto le spese di sostituzione e smaltimento.»

Piero aveva un orribile sospetto, che era quasi una certezza. «Quanto è rimasto sul mio conto?»

«Sei in debito di duecento euro. Il tuo status di cittadino è stato adeguato alla tua nuova condizione di debitore. Grazie.»

Piero tolse di tasca lo smartphone, lanciò l’app di cittadinanza e controllò. Era giallo orina. Il nuovo status era giallo orina. Perché gli avevano cambiato il frigo. E gli avevano portato via tutto il cibo. E altre cose, che al momento non gli venivano in mente ma erano lì, a due passi da lui. Tendi la mano e le puoi toccare. Come poteva toccare il pane ammuffito. Chiuse gli occhi e borbottò appena.

«La tua affermazione è gravemente lesiva delle più elementari regole del vivere civile. Ho inoltrato a chi di dovere i dati relativi al tuo comportamento. Ci saranno conseguenze.»

Piero fissò la scatoletta dell’assistente domestico. «E vi scusate per il disagio?»

«Ci scusiamo per il disagio.»

Per la prima e presto ultima volta nella sua vita, Piero Mustacchi non li scusò. E poi scoprì cosa era capitato a Elettra Circassi, reparto assistenza clienti. Quando accadde anche a lui.

di Adriano Marchetti