Le citta' invivibili - Gertonietta
Così narrò Marco Equatore, mercante, viaggiatore, avventuriero, esploratore e dei balzelli sommo elusore, sedendo alla corte del grande Kublai Kricet. Al cospetto del glorioso sovrano, che dall’alto del suo trono tutto il mondo dominava, narrò di ciò che aveva veduto nella città di Gertonietta, ove era stato ambasciatore, per suo conto e per proprio profitto.
Cavalcando per tre giorni verso levante, poi altri due giorni verso settentrione, infine prendendo la seconda uscita alla rotonda, si arriva alla città di Gertonietta, dalle sessanta cupole di argento, tutte annerite dal tempo e dalla poca manutenzione. Vie lastricate in marmo, che ieri fu bianco e oggi lo è molto meno, dividono e squadrano alti palazzi, istoriati da bassorilievi e ariosi di colonnati infiniti.
E le fontane? Vogliamo parlare delle fontane? Innumerevoli, come stelle nel cielo e mosche su una carcassa, sollevano spruzzi ad altezze dove sognano i cormorani, anche se di cormorani non ce ne sono da quelle parti, e lo scroscio delle acque è un inno, un coro, un ritmo, un qualcosa che stimola la diuresi, e che canta le lodi degli dèi, scandendo la vita pacifica di quella gente.
E le statue? Parliamo anche delle statue, già che siamo nelle spese? Ma sì, crepi l’avarizia! Le statue di mille e ancora mille, ossia di duemila antichi eroi, antichi sovrani, antiche divinità e antiche altre cose, sorvegliano e osservano la città dai frontoni dei templi, dalle facciate dei palazzi, dai tetti delle case, da dietro i cespugli. Il loro volto benevolo, scolpito a immortalare una stipsi terminale e forse irreversibile, trasmette pace, gioia, serenità e un poco di fastidio ai devoti cittadini, e anche a quelli meno devoti. Nessuna mano di bimbo le scarabocchia, irriverente e giocosa, ma molti piccioni le decorano a modo proprio, incontinenti e festosi.
Ma niente di questo è davvero nuovo, niente può giungere come vera sorpresa a un viaggiatore, che ha già incontrato e assaporato più meraviglie di quante ne possa mai contare in un pomeriggio lungo e noioso. Ciò che davvero rende unica la città di Gertonietta è arrivarvi ai primi di settembre, sul far della sera, quando le zanzare estive escono dal torpore e si innalzano in volo tra le quiete vie, sui cortili, sui palazzi, sulle case dove abitano i cittadini più umili e umidi.
È il tempo in cui le prime luci si accendono, nelle finestre e nei cortili: luci multicolori, festose, che rivaleggiano coi colori del cielo al tramonto, mentre le giornate ormai si accorciano e i primi, vaghi pensieri di autunno ti sfiorano la mente, e la memoria. È il tempo in cui nugoli di falene circondano e soffocano quelle luci, per morire a secchiate sul suolo, sui piattini che reggono le candele, dentro le lampade aperte, nelle bevande lasciate sul tavolo e non ancora finite. È il tempo in cui, dopo un lungo giorno di lavoro, i tafani si ritirano, gonfi di sangue e di soddisfazione, felici a modo loro.
Anche gli uomini sono stanchi, dopo una giornata di duro lavoro e dure punture. Così siedono con le famiglie e gli amici, o con gli amici e le famiglie, attorno alle fontane musicali e nel verde fresco dei giardini. Lì chiudono gli occhi, per un istante, e s’immergono nella pace della città, abbandonati i pensieri del mondo e le preoccupazioni della vita. Ma quella pace è soltanto illusione. Le fontane musicali hanno acque ricolme di larve e i giardini brulicano di insetti, affamati. E il respiro stanco degli uomini li attira, li chiama, e loro arrivano. Sono la voce antica della sera.
La pace s’infrange e si trasforma in schiaffi, grugniti, applausi, maledizioni e qualche bestemmia, soffocata ma non troppo. Le statue di dèi ed eroi assistono, mute e indifferenti, mentre quella pace attesa per tutto il giorno, assaporata nelle lunghe ore di calura, svapora in un attimo, tra tafani che se ne vanno e zanzare che arrivano. Non c’è pace tra gli ulivi, già, ma soprattutto non c’è pace con gli insetti, ditteri o meno che siano.
Ed è proprio allora, nel cuore di quella sempiterna staffetta crepuscolare, che un pensiero si affaccia alla tua coscienza, invincibile, indicibile. Il pensiero che quel momento, così bello e fragile, così prezioso e volatile, sia assieme la prova incrollabile della perfezione della natura, che non lascia nel mondo spazi vuoti, e della non esistenza di Dio, che non lascia agli uomini un momento di pace.
Ma il fumo dello zampirone solletica la tua mente, riportando in superficie ricordi di notti passate, notti d’infanzia, quando vegliavi coi genitori nel cortile o sul balcone, e quella piccola spirale verde bruciava, bruciava, senza allontanare neppure una zanzara, ma illudendoti, illudendo. E nel ricordo, in quella immagine di estati lontane, perdute nel tempo, puoi quasi fingere di essere stato felice, sì, anche tu, una volta, un tempo. Sei stato felice, allora, e puoi quasi illuderti che un giorno lo sarai di nuovo, in un futuro che ancora non vedi. Perché forse anche la felicità è una zanzara, benevola, e alla fine torna da te, per quanto lontana sembri essere volata.
Poi una zanzara vera ti punge e l’illusione s’incrina. Perché Gertonietta è la città delle sessanta cupole di argento, dei viali di marmo, delle duemila statue, ma anche di milioni di zanzare, tafani, pappataci e altre cose assortite, con un pungiglione urticante e tanta fame. È una città da visitare, sì, ma in fretta. E ben coperti. O con dosi industriali di repellente.
Kublai Kricet lo fissò ammirato. «Sembra un sogno,» disse il sovrano. «Ma è proprio vero ciò che mi racconti?»
«Parola di Marco Equatore!»
E Marco Equatore non mente mai, a parte quando compila la dichiarazione dei redditi.