Il distributore automatico di santita'
Come era sua abitudine da anni, dopo una mattinata di lavoro Erone uscì di casa e si immerse in una caldo, luminoso e sabbioso pomeriggio egiziano, come era il caso per la maggior parte dei giorni lì ad Alessandria. Le condizioni meteo della sua città non avevano mai spiccato per varietà, almeno per quanto lui potesse ricordare, e il sole assomigliava spesso a uno di quegli ospiti non invitati, che non li sloggi neppure chiamando i legionari. Oh beh, in quel caso specifico gli andava bene. Andava spesso bene, a quell’ora del giorno.
C’era ancora molto lavoro che lo attendeva, ma lavorare subito dopo pranzo non era mai una buona mossa. Era una verità che aveva testato sul campo. Quando hai mangiato da poco, ti ritrovi col cibo che ti galleggia ancora nella pancia, domato solo a metà e forse non del tutto morto, e i tuoi pensieri scorrono con la pigrizia di uno studente che si rigira a letto, nel tentativo di prolungare i secondi che lo separano dall’inizio di una nuova giornata. Non erano condizioni per lavorare. Quando poi avevi per le mani il progetto commissionato da un tempio, occuparsene soltanto quando si poteva contare su tutta la propria concentrazione era fondamentale: rischiavi sempre di offendere qualcuno al piano di sopra, magari senza neppure accorgertene.
Camminare andava bene. Camminare serviva, o almeno a Erone piaceva pensarla così. Aveva avuto parecchie idee fantastiche nel corso delle camminate fino al porto e ritorno, e alcune non gli erano neppure esplose in faccia, il che le rendeva ancora più fantastiche. E poi un poco di moto facilitava la digestione, svegliava il corpo, attivava l’intestino, eccetera eccetera. A nessuno mancavano mai giustificazioni valide per qualunque attività, se le cercava bene. La più valida di tutte lo attendeva giù a Faro, ma Erone non era ancora pronto ad ammetterlo con se stesso. Lo avrebbe fatto più tardi.
Per la strada lo accolse la solita folla di passanti che pensavano ai fatti propri, passanti più stazionari che osservavano e commentavano i fatti altrui, venditori ambulanti umani che cercavano di vendere più o meno qualsiasi cosa tu potessi immaginare e, novità degli ultimi tempi, venditori non umani che cercavano di rifilarti anche molte cose che non avresti mai voluto immaginare, almeno non da sobrio e senza lo scudo protettivo di una febbre alta. O tempora o mores! Dove sarebbe andata a finire la città, di quel passo? Probabilmente da nessuna parte, dato che di solito le città non vanno molto in giro, anche se il Nilo sembrava impegnarsi parecchio ad allontanare il mare un poco di più ogni giorno. Il che era comunque un problema da architetti, non certo suo.
Erone procedeva tranquillo, dietro la sua barbetta da filosofo ellenistico alla moda e una tunica che era quasi pulita, nelle parti che più si notavano. Nessuno lo infastidiva, o almeno non troppo, anche se di tanto in tanto qualcuno cercava di vendergli cibi di dubbio gusto e commestibilità ancora più dubbia. Ma li poteva ignorare, non erano interessanti. Era interessante il problema che aveva adesso e che, con un poco di fortuna, avrebbe potuto discutere con qualcuno sullo Eptastadio, quella lunga banchina di pietra che univa la città all’isoletta di Faro, nella baia. C’era sempre qualcuno con cui si poteva discutere, sullo Eptastadio, e a volte quel qualcuno ti stava anche ad ascoltare.
Specialmente se quel qualcuno rispondeva al nome di Tiresia.
Non l’indovino, per amore di Zeus. Erone non sapeva che farsene di indovini, soprattutto perché di solito non lo contattavano per qualche lavoro. Meglio i sacerdoti, tutto sommato, che lo cercavano spesso con richieste strane di costruire qualche pseudoportento che lasciasse i fedeli a bocca aperta e, se possibile, con meno soldi in tasca, a maggiore gloria di “inserire il nome del dio o della dea”. Il che era buono e giusto. Era lavoro, in fondo, e al lavoro non si guarda in bocca. Il lavoro si mette in bocca, semmai: sotto forma di cibo. Ma si parlava di Tiresia, il non indovino.
Erone lo aveva incontrato in fondo allo Eptastadio, quasi sulle sponde dell’isola di Faro, sotto la torre che dominava il mare e guidava le navi con la sua luce. O almeno che le guidava prima del ritorno delle sirene, che avevano ridotto di parecchio l’importanza della torre di Faro, che ormai era diventata quasi una semplice attrazione turistica, nonché bagno pubblico di preferenza per gabbiani e volatili vari. Erone non approvava.
Erone non aveva approvato neppure il tritone di mezza età che era emerso dall’acqua e gli si era avvicinato, mentre sedeva a studiare i papiri su cui aveva abbozzato un possibile miglioramento per la sua eolipila. Era importante migliorare l’eolipila. Era importante soprattutto stabilizzarla, perché al momento non è che esercitasse molto controllo sul vapore prodotto e un vapore mal controllato era un vapore infelice, pronto a condividere la propria infelicità con tutto ciò che gli stava attorno, entro un certo raggio di deflagrazione. Erone lo aveva testato e non era impaziente di ripetere il test. Faceva molto male alla stabilità della sua casa, sul lungo termine, e rendeva più difficile assumere nuovi collaboratori manuali.
Studiava e modificava i progetti, quando il tritone gli si era avvicinato per la prima volta. Aveva osservato i papiri con l’aria del vecchietto X che guarda la costruzione di una nuova casa, oppure le riparazione di un ponte, o anche i semplici interventi di manutenzione agli acquedotti, e commenta il risultato dal basso della sua suprema competenza negativa. Erone era stato pronto a scacciarlo, magari con un paio di insulti a rafforzare il concetto, ma non lo aveva fatto. Non lo aveva fatto perché il tritone non aveva commentato, ma aveva gentilmente chiesto spiegazioni, cosa che di rado succedeva. Le aveva ricevute. Aveva chiesto spiegazioni su un dettaglio del progetto. Erone aveva risposto, vagamente perplesso. Il tritone si era poi schiarito la gola e aveva fatto notare che quello era sbagliato, dilungandosi poi sui dettagli per cui il tubo era troppo largo e sarebbe stato opportuno ritoccare la sfera qui e qui, aggiungendo anche un nuovo tubo qui, che convogliasse il vapore qui, così da ridurre la pressione esercitata qui, il che avrebbe dovuto stabilizzare la macchina qui, qui e anche qui.
Dopo aver ricostruito tutti i vari qui e aver srotolato il nodo gordiano che gli si stava creando nella testa, Erone aveva fissato il tritone. Lo aveva fissato davvero, come un essere umano e non come una curiosa specie di tonno parlante. «E tu chi sei?» gli aveva chiesto.
«Un tritone. Mi chiamo Tiresia, se è questo che vuoi sapere.»
«Tiresia? Come l’indovino?»
«No. Tiresia come io. Ho scelto il nome perché mi piaceva il suono, ma non ha niente a che fare con indovini e scemenze varie. Le profezie sono una stupida perdita di tempo.»
Il che era bastato a conquistare Erone. Avevano parlato per un po’, scoprendo di avere interessi in comune, come lo studio dell’acqua e dell’idraulica in generale, utilizzare liquidi per compiere lavori e così via. Tiresia ne sapeva parecchio sull’acqua. Il che era normale, da un certo punto di vista, col fatto che era un tritone e nell’acqua ci viveva tutto il giorno, ma lui aveva anche idee interessanti su altre cose che si potevano fare con l’acqua, cose diverse dal bere, nuotare o lavarsi. A fine giornata, Erone lo avrebbe ingaggiato più che volentieri come assistente, dimenticando del tutto la propria iniziale antipatia verso tritoni e altri nuovi arrivati, ma Tiresia aveva diversi problemi di mobilità al di fuori dell’acqua, come una coda di pesce al posto delle gambe, e così si era dovuto accontentare di averlo come collaboratore esterno. Dopotutto, sapeva dove trovarlo.
Quel pomeriggio Erone arrivò come sempre alla fine dello Eptastadio, sotto la mole immensa della torre di Faro. Non proprio all’ombra, perché il sole al momento era dalla parte sbagliata, ma questo non avrebbe fatto differenza. C’erano gabbiani, in cielo. Parecchi gabbiani. E i gabbiani, come altri volatili, avevano la pessima abitudine di consegnare spiacevoli regali a chi si trovava a passare sotto di loro, spesso e volentieri. Da buon scienziato primordiale, Erone lo aveva sperimentato di persona, soprattutto la volta in cui avevano centrato il papiro col progetto, invece della sua testa. Era stato un macello. Così adesso installava sempre un piccolo baldacchino, quando si fermava da quelle parti, col comodo effetto collaterale di ricavarne anche una specie di ombra personalizzata.
Lo montò e sedette, fissando le acque. Tiresia sarebbe arrivato a breve. Arrivava sempre a breve. Il tempo di sistemare tutto e sedersi ed ecco che il mare si increspava, l’increspatura si avvicinava e alla fine la testa testa di un tritone spuntava dalle acque, capelli scuri e un poco brizzolati, la barba non proprio corta e curata, come voleva la moda del periodo, ma nel complesso rispettabile. Una barba da filosofo, di quelli un poco vecchio stampo. Successe anche quel pomeriggio.
Chissà come faceva Tiresia a essere sempre così puntuale? Probabilmente un qualche speciale senso da animale, legato alla sua natura di tritone, solo in parte umana. Il che era vero, sebbene non come pensava Erone. Tiresia possedeva sì un senso speciale che gli permetteva di sapere quando l’amico si stava avvicinando, ed era anche un senso che poteva essere definito animale, volendo, in quanto comune a molte specie viventi di quel tipo, tra cui Erone stesso. Un senso meglio noto come vista, grazie a cui Tiresia poteva leggere l’orario nel cielo, osservare chi stesse percorrendo lo Eptastadio e infine distinguere le varie persone in base a caratteristiche peculiari come la faccia o i vestiti.
Sarebbe stato molto semplice per lui spiegare all’amico umano che i cosiddetti sensi speciali erano riducibili al guardare chi si avvicinasse lungo i moli nel periodo di tempo in cui Erone era abituato ad arrivare, ma Tiresia preferiva non farlo. Avrebbe significato deluderlo e magari farlo sentire un poco stupido, il che tendeva sempre a mettere di cattivo umore gli umani.
«Allora, oggi che problema hai?» chiese, sollevandosi dalle acque e sedendosi accanto a Erone sulla muratura dello Eptastadio, per quanto la sua anatomia ittica gli permettesse di sedersi. Non proprio bene, insomma, ma a sufficienza per fare una chiacchierata e studiare qualche progetto.
«Oh, un lavoro richiesto da un tempio, uno dei soliti, sai,» spiegò Erone, togliendo i papiri dalla sua borsa e accarezzandoli con un vago sorriso. «Vorrebbero qualcosa per distribuire l’acqua santa, che è poi acqua normale, su cui i sacerdoti hanno recitato qualche formuletta per consacrarla al dio tal dei tali e quella roba lì, lo sai.»
«Non un lavoro particolarmente difficile.»
«No, ma sai, vogliono anche qualcosa che faccia un po’ scena, che sembri, sai com’è, miracolosa e che funzioni un po’ da sola, come se fosse il dio a donarti l’acqua, dopo che hai fatto la tua offerta.»
«Ah, una baracconata. Qualcosa come una statua del dio, che piange acqua santa quando tu infili le monete? E magari piange più acqua, se tu offri più soldi, già che ci siamo?»
«Qualcosa del genere, sì. In realtà io pensavo a una cosa un po’ più semplice e carina, sai, tipo una fontanella che spruzza acqua in base al tipo di moneta che inserisci, però anche la statua non è male, già. Ha un che di... di sacerdotale, sì. Scommetto che a loro piacerebbe.»
«Scommetto anch’io. Diamo un’occhiata ai progetti, dai.»
Erone srotolò il papiro, dopo aver controllato che non ci fossero gabbiani nei paraggi, soprattutto in linea orizzontale sopra di loro. Non che servisse davvero controllare, con la tela che li riparava e li ombreggiava, ma le abitudini sono dure a morire, anche per chi è di mente logica e razionale, o chi si considera essere di mente logica e razionale. Tutto tranquillo, a parte il pastiche linguistico che saliva dalle navi all’ancora poco lontane da loro, dove marinai salivano e scendevano, trasportando carichi e facendo tutte quelle cose che i marinai sono soliti fare all’arrivo in porto o poco prima di partire. Cose che dovevano essere molto interessanti, a giudicare dal volume con cui parlavano.
Il progetto sul papiro era molto semplice. Rappresentava una fontanella dotata di fessura in cui era possibile inserire monete, ma anche altri oggetti di forma analoga, volendo. La moneta azionava poi in un sistema di contrappesi, che erogava acqua in quantità proporzionale al valore della moneta, da stimare in base al suo peso specifico. L’acqua zampillava dalla fontanella e il fedele poteva farci ciò che voleva, almeno nei limiti del lecito all’interno di un tempio.
Lo studiarono assieme per un poco, con Tiresia che faceva domande ed Erone che rispondeva e che, di tanto in tanto, annotava a margine alcuni appunti fatti dall’amico. Valutarono poi la possibilità di sostituire la fontanella con una statuetta, le zone attraverso cui i tubi dell’acqua potevano passare nel corpo della statua, senza essere giudicati blasfemi o irriverenti dal sacerdote medio e soprattutto senza svelare il trucco al fedele medio, valutarono il sistema migliore per assicurarsi che la moneta fosse una vera moneta e non una patacca, riesaminando storie di corone immerse in acqua, belle da sentire ma del tutto inattuabili in pratica, perché la differenza sarebbe stata forse di una gocciolina minuscola, infine dibatterono su cosa fosse meglio usare: fontanelle o statue piagnucolanti?
«Stiamo parlando di un tempio, no? Vai con la statua. Ai sacerdoti piacerà,» disse Tiresia.
«Non mi convincono molto le lacrime, però.»
«Puoi sostituirle con quello che ti pare, oppure con quello che il sacerdote preferisce. In fondo, si tratta solo di cambiare il foro di uscita, spostarlo dagli occhi e sistemarlo altrove. Ad esempio, puoi far sgorgare l’acqua da un’anfora che il dio tiene in mano, oppure fargliela uscire dalla bocca, da un otre di vino, da quello che vuoi. Prepara un modello funzionante, qualche bozzetto della statua e poi lascia che sia il sacerdote a scegliere. Così gli andrà bene di sicuro, no?»
«Sì, direi di sì. Non avrà niente da lamentarsi. Anzi, potremmo anche accordarci per più statue, già che ci siamo, ognuna che spruzza acqua santa da una parte diversa. Anche se...»
«Anche se?»
«Anche se secondo me ci sarebbe un uso migliore per questa idea. Uno più, come dire, popolare. È una buona idea, nel complesso, no? Sarebbe un peccato usarla solo per qualche tempio.»
Tiresia sorrise, accarezzandosi la barba ancora umidiccia e sempre salmastra. «Stai forse pensando a mettere fontane di ogni tipo in giro per la città, che distribuiscono acqua, vino, birra e altre bevande ai passanti, in base alle monete che inseriscono?»
Erone lo guardò. «Perché non una fontana sola, che può distribuire di tutto? Inserisci le monete, poi scegli cosa bere usando, non so, una leva o qualcosa del genere, e la fontana spruzza ciò che vuoi.»
Ci fu un momento di silenzio.
«Idea interessante, sì,» cominciò a dire Tiresia. «Ci sono parecchie cose da sistemare, però, e non so quanto sia possibile utilizzarla in una città.»
«Ci vorrebbe un legionario per ogni fontana, già, o qualcosa per assicurarsi che nessuno la derubi o la rompa, magari per bersi tutto,» aggiunse Erone.
«Bisognerebbe poi studiare un modo per rifornirla in continuazione, altrimenti si rischia di restare a secco di una bevanda, o anche di tutte.»
«Costerebbe parecchio progettare e montare fontane di questo tipo.»
«Ci vorrebbe un ricco mercante che sia interessato a entrare in affari.»
«A lanciarsi in un commercio del tutto nuovo.»
«Un commercio rischioso, almeno all’inizio.»
«Rischioso, certo, ma le possibilità...»
«Eh, le possibilità...»
Rimasero entrambi a fissare l’orizzonte, in silenzio. Le possibilità! Bagni pubblici e terme in cui un cliente poteva bere quello che voleva inserendo un paio di monete, magari mentre si rilassa al caldo, al freddo, o anche al tiepido. Anfiteatri in cui gli spettatori potevano fare la fila davanti alla fontana, prima dei combattimenti, per riempire le anfore di vino e scolarlo tra un urlo e l’altro, mentre i loro gladiatori preferiti cercavano di sbudellarsi a vicenda, o almeno fingevano di. Circhi dove potevi bere qualcosa di buono per un paio di monete, mentre ti godevi una sana corsa con le bighe. E tutto grazie a fontanelle automatiche, che distribuivano ciò che volevi tu. Grandioso. Decisamente poco filosofico, ma grandioso nondimeno.
«Pensi davvero che si potrebbe fare?» chiese poi Erone, un poco timido e incerto.
Tiresia alzò le spalle. «Beh, in teoria sì, non vedo perché non dovrebbe poter funzionare. Su un lato pratico, però... Mah, non è che conosca molto bene la vita di superficie, io.»
Erone sognò ancora un poco, poi si sgonfiò in un sospiro. «Sarà meglio pensare al tempio, intanto. È più urgente e almeno è sicuro, sono soldi che mi arriveranno. Ho bisogno di fondi per l’eolipila.»
«Fontane costruite ovunque ti porterebbero molti soldi.»
«Sì, beh, vero, ma non so, io sono più bravo a inventare che a commerciare. Dovrei trovarmi prima un finanziatore e non so neanche dove cominciare a cercarne uno. Mah, penso che alla fine resterà solo una idea, sai com’è. Come succede spesso, in fondo.»
«Come succede spesso, già. Tuttavia...»
«Tuttavia...»
Guardarono ancora un poco verso l’orizzonte, dove mare e cielo si incontrano, oltre il delta del Nilo e nelle profondità del Mare Nostrum, o più precisamente Mare Eorum, la pozzanghera di proprietà dei romani. Tuttavia.
«Beh, ora devo andare e mettermi al lavoro,» disse Erone. «È stato un vero piacere rivederti e come sempre mi sei stato di grande aiuto col mio progetto. Peccato che tu sia bloccato in acqua, sai. Avere un collaboratore come te mi aiuterebbe parecchio a casa. Potremmo modificare assieme i modelli, non soltanto i progetti su papiro, che... beh, non è proprio la stessa cosa.»
«Non posso farci molto, lo sai. Costruiscimi un paio di gambe e magari ne riparleremo.»
«E risalire invece il Nilo fino a...»
«Ci sono i coccodrilli.»
«Ci sono i coccodrilli, giusto. Niente, sarà per la prossima volta, allora.»
Si salutarono e ognuno ripartì per la propria strada, o per la propria acqua. Erone scosse più volte la testa, mente camminava attraverso la folla sempre affollata di Alessandria e schivava venditori di ogni tipo e ogni forma. Quante idee che gli regalavano quegli incontri! E dire che all’inizio era stato così ostile ai tritoni e agli altri nuovi arrivati... Oh beh, si vive e si impara. Era ancora ostile a una buona parte della nuova gente, ma non a loro in quanto tali. A irritarlo erano quelli che venivano soltanto a intasare le strade, come umani di forma diversa e come se non ci fosse già abbastanza gente vecchia. Loro sì che gli sembravano inutili. I pochi che venivano a portare nuove idee, nuove conoscenze e si univano ai filosofi per spingere più in là le tenebre dell’ignoranza... Beh, Erone ne avrebbe accolti a decine, potendo. Erano sempre i benvenuti, almeno per lui.
Averne di più...
Altri ne sarebbero arrivati, più avanti, ma non adesso. Adesso era il tempo delle statuette piangenti a gettone, per guadagnarsi da vivere grazie alle commissioni dei templi locali. Domani, magari... Ma domani è un altro giorno, come è lapalissiano anche per chi ha vissuto secoli prima che qualcuno ne facesse un tormentone di cartapesta, e agli altri giorni si pensava sempre un altro giorno.
Aveva una statuetta da fabbricare, il primo distributore automatico sacro della storia: santità a tutti, in punta di moneta. Il che era ancora più particolare, perché le monete non avevano punta./p>