Guardrone
Il dottor Giosuè Trofia spostò le mani dalla tastiera, scollò lo sguardo dallo schermo e si girò verso la finestra. Si sentiva osservato. Non aveva senso, perché abitava al dodicesimo piano e davanti al suo palazzo non c’erano ancora edifici alti a sufficienza perché qualcuno potesse guardargli in casa. Era semplicemente impossibile essere osservati.
A volerla dire tutta, poi, fino a quel momento Giosuè non aveva mai nemmeno creduto che esistesse davvero quella particolare sensazione, non in rerum natura. Mi sento osservato era solo una frase da libri, da film, ma storia inventata. O così aveva sempre pensato, a ragione o a torto.
Pure, adesso si sentiva osservato. Era come un prurito alla base della nuca.
«C’è qualcuno davanti alla finestra?» chiese all’assistente domestico.
«Nessuno si trova davanti alla finestra,» rispose la finta voce femminile dell’assistente.
«Sì, adesso non c’è nessuno. Questo lo vedo. Ma prima? C’era qualcuno davanti alla finestra?»
Breve pausa. «Nessuno si trovava davanti alla finestra. Prima.»
Giosuè valutò la risposta, considerò l’ipotesi di scavare più a fondo, facendo domande più precise e definitive, poi scrollò le spalle. Era una sensazione stupida. Se lui non vedeva nessuno e l’assistente domestico non rilevava nessuno, era ovvio che non ci fosse nessuno. La finestra smart era collegata all’assistente: riconoscere chiunque cercasse di guardare in casa era una delle sue funzioni. Non una delle più usate, quando abiti al dodicesimo piano, ma la funzione c’era e, per l’appunto, funzionava. Un guardone sarebbe stato subito identificato e l’assistente domestico lo avrebbe saputo. Siccome la risposta era stata negativa, nessuno era stato identificato e non c’erano guardoni. QED.
Tranquillizzato dal ragionamento, il dottor Giosuè Trofia tornò a lavorare. Magari solo un piccione o altri animali volanti di passaggio. Niente di serio. O fantasia, che era ancora più probabile.
Niente accadde per circa un minuto, poi il piccolo drone si sollevò e tornò a sistemarsi davanti alla finestra, per riprendere il suo lavoro. Il bersaglio fissava lo schermo del computer, come prima, e la stanza era ancora nelle stesse condizioni precedenti. Nulla spostato, nulla rimosso. Aspettò, guardò, registrò. Prometteva di essere un lavoro lungo, lento e noioso, ma per un drone sono aggettivi privi di significato. Esiste una programmazione, esistono ordini da eseguire. Niente altro. Avrebbe atteso per mesi, se il suo programma lo richiedeva. Così era la vita. La sua, almeno. Se la potevi chiamare vita. Alcuni forse lo avrebbero fatto. C’è gente di ogni tipo, al mondo.
Era un drone molto piccolo, simile a un modellino di elicottero. Non aveva armi come i suoi fratelli maggiori e non era minaccioso. Non era neppure pericoloso. Non proprio. Sembrava un giocattolo e come un giocattolo si comportava, per la maggior parte del tempo. Il suo lavoro era guardare, per la maggior parte del tempo. Osservare. Studiare. Esaminare. E, ma solo quando il momento era giusto, agire. Quando agiva, smetteva di assomigliare a un giocattolo e diventava molto più pericoloso.
Siccome quando agiva non c’erano testimoni, questo non era un problema.
Seduto alla scrivania, il dottor Giosuè Trofia continuava a lavorare. Di tanto in tanto aveva ancora la sensazione di essere osservato, ma l’assistente domestico lo rassicurava sempre che alla finestra non c’era nessuno, ed era logico che non ci fosse nessuno, così non se ne preoccupava davvero. Solo un piccolo caso di paranoia, come capita a tutti nella vita. Il lavoro era più importante.
«Non c’è mai stato nessuno davanti alla mia finestra, vero?» chiese, giusto per sentirsi meglio.
«Nessuno è mai stato all’esterno della finestra,» gli rispose la finta voce femminile.
Il dottor Giosuè Trofia scrollò le spalle. Doveva essere vero. Era logico, quantomeno. Chi si poteva mettere davanti a una finestra al dodicesimo piano? Un qualche scalatore urbano? Hah, che pensiero stupido. Si girò di nuovo, giusto per sicurezza, e la finestra era vuota. Cielo grigiastro, pomeriggio a metà, tanto tempo davanti e nessuno dietro di lui a spiarlo. Ovviamente.
Si concesse una riflessione molto rapida sul fatto che tutto gli aggeggi parlanti sembravano avere la voce di una donna, per chissà quale stupida scelta di chissà quale stupido manager o designer o quel che era. Probabile retaggio della letteratura vittoriana, quando tutte le case erano infestate da schiere di cameriere, servette e sguattere, al servizio di protagonisti indolenti. Oppure una qualche idea del tipo “donna uguale oggetto”? Irrilevante, almeno per lui, ma era un dettaglio curioso.
Che non lo aiutava nel lavoro, così il dottor Giosuè Trofia lo rimosse dalla mente conscia e ritornò a immergersi nelle sue sudate carte digitali. Dopo un’ultima occhiata alla finestra e una grattatina alla nuca, dove provava un vago fastidio. Osservato, già: che idea sciocca. Psicosomatica, forse.
Così proseguiva, con qualche breve pausa per controllare altri documenti, verificare fonti e citazioni dovute, rinfrescarsi la memoria, confrontare, correggere, rileggere. Non era divertente, ma il lavoro non lo era quasi mai, almeno in base alle esperienze personali di Giosuè. Era lavoro, appunto: certo, poteva anche essere piacevole, a volte, ma divertente no. Era aggettivo riservato ad attività diverse e quasi mai si intrecciavano col lavoro. Nel suo caso specifico, mai. Per gli altri, chissà.
Dopo quasi due ore aveva pressoché finito, almeno per il momento. C’era tempo per rileggere e per correggere, più avanti e a mente fresca, ma per quel giorno era meglio fermarsi. Ci sono limiti dove la produttività diventava negativa e Giosuè li sapeva riconoscere. Ne aveva raggiunto uno proprio in quel momento. Per oggi, stop. Per domani, ci penseremo domani.
Il dottore salvò il documento nel cloud, assieme al resto della sua attività professionale. Era la cosa giusta da fare: accessibile sempre e ovunque, sia per lui che per clienti che ne avevano bisogno. Era il progresso e Giosuè si sentiva sempre favorevole al progresso. Con giudizio, nei limiti in cui aveva reali benefici da offrire. Cambia quando ti serve, non cambiare quando ti danneggia. O giù di lì.
Giosuè Trofia annuì. Tempo di distrarsi e passare ad altro.
Il dottore si stiracchiò sulla sedia, tirando le braccia verso l’alto e contorcendo la schiena in tutte le direzioni in cui si poteva contorcere. Il solito concerto di scricchiolii e schiocchi gli fece da colonna sonora. Aaah! Già meglio. Gli piaceva abbastanza il suo lavoro, ma era un’attività troppo sedentaria sul lungo termine. Troppo ripetitiva. Troppo vincolante. Di tanto in tanto aveva davvero bisogno di una pausa per dedicarsi a passatempi che, ok, erano altrettanto sedentari, ma almeno schiudevano la sua mente e la espandevano in altre direzioni, questo e quello. Gli piacevano di più, insomma.
Ma erano solo un passatempo, sia chiaro.
E comunque era una cosa personale. Riguardava lui solo.
«Cassetto con la chiavetta,» disse il dottor Giosuè Trofia.
La scrivania smart aprì un cassetto. Conteneva tutta la paccottiglia che si accumula sempre in tutti i tipi di cassetti, a prescindere da quanto possa essere ordinato il loro proprietario, ma soprattutto, e in effetti sopra tutto, conteneva anche una chiavetta. La chiavetta.
Il dottore la prese. «Chiudi il cassetto,» disse, e il cassetto si chiuse. Inserì la chiavetta in una delle prese USB del computer, ne aprì il contenuto, fece scorrere i documenti e trovò quello che voleva al momento. Quello di cui sentiva il bisogno. Due click e il file si aprì in un processore di testo.
Per quasi tre ore Giosuè fu perso nel magico mondo della poesia, per valori molto bassi di poesia e di magico. Cominciava un verso, si fermava, lo cancellava, ricominciava, si fermava di nuovo, sulle dita contava le sillabe, cambiava una parola, annullava la modifica, cambiava un’altra parola, altra contata di sillabe, lasciava scorrere lo sguardo sul verso, lo leggeva, lo declamava, annuiva, provava una intonazione differente, si autoconvinceva, passava al verso successivo. Non un lavoro semplice e non un lavoro in senso stretto, per il dottore, ma un gran bel modo per distrarsi e passare il tempo.
Finì. Il sonetto era grezzo, era brutale e aveva bisogno di chissà quante altre modifiche prima che lo si potesse anche solo prendere in considerazione per lasciarlo leggere a una persona molto fidata, se mai lui ne avesse trovata una, ma sì, era completo. Per adesso. Brutto, ma completo.
Il dottor Giosuè Trofia salvò il documento sulla chiavetta, la smontò dal sistema operativo, la staccò dal computer, «Apri il cassetto per la chiavetta». La ripose. «Chiudi il cassetto». Sospirò. Controllò un’ultima volta se ne fosse rimasta qualche traccia sul computer, magari tra i documenti recenti o in altre aree che aveva dimenticato di disattivare o bonificare. No. Tutto sparito. Ottimo.
La poesia era un passatempo fantastico e lui l’amava molto, ma non era il genere di attività che puoi lasciare in giro, non se hai una certa immagine da difendere. E lui l’aveva, o almeno era convinto di averne una, che spesso è la stessa cosa. Il dottor Trofia, un poeta? Figuriamoci. Uno come lui, mai!
Sorrise. Uno come lui mai, ovvio. In pubblico. In privato, invece... Ma il privato era privato, come il pubblico era pubblico: tieni sempre distinti i due livelli e non avrai mai problemi. Era stato il suo motto non ufficiale da sempre e gli aveva sempre dato buoni risultati. Finora. Non c’era motivo per cui non avrebbe dovuto continuare a dargliene.
Giosuè spense il computer, si alzò, guardò verso la finestra. Vuota, ovvio. E ormai cominciava pure a fare scuro, ma alla tapparella avrebbe pensato poi. C’erano cose urgenti da fare, prima. E la cosa urgente da fare lo diresse di buon passo verso il bagno. Il salotto rimase vuoto.
Il drone riapparve alla finestra. La stanza era vuota, il bersaglio uscito. Tempo di lavorare.
Inviò un segnale all’assistente domestico, prodotto e distribuito dalla sua stessa multinazionale. Una breve pausa e l’assistente domestico inviò un segnale alla finestra smart a cui era connesso. Un’altra breve pausa e la finestra si aprì. Il drone entrò senza fare rumore, l’elica che ruotava silenziosa nella sala dall’aria piuttosto viziata. Si diresse verso la scrivania e il computer. Li raggiunse.
Altro segnale all’assistente domestico. Un attimo e la scrivania smart apriva un cassetto. Quello con la chiavetta. Il drone si abbassò e si posò un poco incerto sulle cianfrusaglie che conteneva. Un arto piccolo e rudimentale spuntò da un suo lato, quasi una pinzetta attaccata a un tentacolo. Afferrò la chiavetta e la inserì in una presa USB sul ventre del drone. Per un minuto circa non accadde altro, poi l’arto si mosse di nuovo, staccò la chiavetta e la ripose nello stesso punto da cui l’aveva raccolta poco prima. Terminato il lavoro, rientrò nel lato da cui era spuntato.
Il drone si sollevò in silenzio e si diresse verso la finestra ancora aperta. Uscì, svanì nella sera che si faceva notte a poco a poco. Ma notte di giugno, notte chiara. A un ordine dell’assistente domestico, cassetto e finestra si richiusero. Tutto a posto, tutto normale. Operazione conclusa con successo.
Il dottor Giosuè Trofia rientrò soddisfatto. La spedizione in bagno si era conclusa con successo, era stata una giornata produttiva e proficua sotto diversi aspetti e adesso si poteva rilassare in poltrona. Il meritato riposo del guerriero, se lo volete chiamare così. Giosuè non lo voleva più di tanto, ma la immagine non era malaccio e a volte la usava, anche se solo nei suoi monologhi interiori. Non era il genere di cose che puoi dire ad alta voce, quando hai una certa immagine da difendere.
Peccato che quella immagine da difendere non l’avrebbe conservata ancora per molto. Seguendo la sua programmazione e le istruzioni del server, il drone aveva recuperato i documenti che un utente irresponsabile si era rifiutato di mettere al sicuro nel cloud della multinazionale e li aveva sostituiti con una robusta quantità di materiale protetto da copyright. Era il minimo che si potesse fare ed era per il suo bene. Quando un utente si ostina a mantenere segreti e non aderisce alle magnifiche sorti e progressive di un mondo fatto di servizi digitali, castigarlo è una necessità. È quasi un borderline sociopatico, quell’individuo. Bisogna correggerlo. È un dovere morale.
Per dimostrare poi quanto fosse insicuro usare dispositivi primitivi come le chiavi USB, paragonate ai servizi cloud, il drone aveva anche inviato una notifica al Centro per la Tutela del Diritti Umani Imprenditoriali, sezione Copyright, avvisando che a quell’indirizzo era nascosta una grande quantità di documenti audiovisivi protetti, ottenuti illegalmente. Un pericolo che non avrebbe mai corso se si fosse degnato di caricare tutto nel cloud, perché i files sarebbero stati controllati con cura e scremati prima di essere salvati. Tenere segreti in locale era un crimine orrendo. Lo sapevano tutti. Potevano esseri cose abominevoli, nascoste in una chiavetta. Era malvagia.
Il dottor Giosuè Trofia non lo sapeva. O meglio, non sapeva cosa fosse successo nel salotto di casa sua mentre lui era in bagno, con la complicità del fidato assistente domestico. Sapeva solo che c’era qualcuno che aveva appena suonato alla porta. Che strano! Non attendeva visite. Chi poteva essere a quell’ora? Oh beh, c’era un solo modo per scoprirlo.
Con tutta la tranquillità di chi non si aspetta l’irruzione di un branco di energumeni in divisa, armati e molto violenti, pronti a distribuire giustizia e libertà alla prima persona che si fosse trovata davanti a loro, lo sventurato Giosuè ordinò all’assistente domestico di aprire la porta smart.
Il suo fidato assistente eseguì.