Adriano - racconti e altro

Il cacciatore di droni

Accadde questo. Un supercolosso dello e-commerce mondiale, con la complicità o la connivenza di altri colossi a base silicone, aprì una nuova frontiera nella lotta ai peggiori criminali che l’umanità avesse mai conosciuto, la feccia più ributtante che la società avesse mai dovuto affrontare nella sua storia: i violatori di copyright, quei miserabili che non avevano alcun rispetto per gli autori e per chi lucrava sulla loro pelle. Individui così spregevoli non meritavano di essere considerati umani e da umani non sarebbero stati trattati. Era il momento di fare pulizia.

Per riportare giustizia, pace e armonia nel mondo economico, il colosso lanciò a sorpresa un pesante bombardamento tattico arricchito all’uranio contro i domicili dei principali colpevoli, localizzati e identificati dai suoi infallibili algoritmi sulla base di quante probabilità avessero quegli esseri di decidere di procurarsi illegalmente e condividere materiale protetto, invece di ricorrere a un onesto e lodevole streaming imbottito di DMR. Era la punizione che si meritavano.

Fu un successo senza precedenti, che colpì una volta per tutte i criminali e chiunque avesse avuto il cattivo gusto di farsi trovare nel raggio di alcuni chilometri. Rese anche inabitabili alcune aree più o meno grandi in diversi stati, ma era il prezzo del progresso e della democrazia e nessuno dei governi ebbe qualcosa da ridire. Al contrario, dopo che ogni membro ebbe ricevuto una donazione del tutto spontanea pari a qualche secondo dei profitti del supercolosso, quei governi soppressero ogni voce critica e concessero al generoso contribuente immunità e impunità totale sul territorio nazionale, nei secoli dei secoli e retroattiva. Non che quei galantuomini avessero mai fatto qualcosa di sbagliato o discutibile sia chiaro: era solo per metterli al sicuro da calunnie e maldicenze dei tanti invidiosi.

Che poi, di fatto, le aree colpite non erano così invivibili. Se i proprietari avevano la precauzione di concedere solo affitti brevi, la gente poteva ancora abitarci benissimo per tutto il tempo necessario. E il supercolosso era davvero un modello di bontà: dava lavoro a così tante persone e a condizioni così illuminate che non era proprio possibile per i suoi dirigenti commettere azioni disdicevoli.

Così la vita continuò, almeno per chi non si era fatto trovare in una delle aree colpite.

Pochi sopravvissero ai bombardamenti tattici. Uno di loro fu il professor Geronimo Magri, che ebbe la fortuna di trovarsi quel giorno in un ospedale privato di una regione a distanza di sicurezza, unico in cui ci fossero chirurghi con una qualche probabilità di operarlo con successo. La sua famiglia era a casa e la loro casa era in una zona dove si trovavano di sicuro violatori di copyright, ma non è una buona ragione per fare i negativi e guardare a dettagli irrilevanti. L’importante è che il professore si salvò e a breve avrebbe avuto una vita a cui tornare. Se l’intervento fosse andato bene, ovvio.

Così vollero gli dei, o chi ne faceva le veci e a volte pure le feci.

L’operazione andò benissimo, due mesi di degenza e terapie lo rimisero in forze e Geronimo Magri fu dimesso curato, con un debito enorme e sprovvisto di famiglia, che era stata quasi letteralmente vaporizzata assieme a casa e vicinato. Ma è sempre importante guardare al lato positivo, quando ti capita qualcosa, e il lato positivo era che lui era vivo, era appena uscito dall’ospedale con la borsa a tracolla, faceva caldo, il cielo era di un incantevole grigio luminoso e aveva pure qualche spicciolo in tasca. Cosa poteva chiedere di più?

Geronimo non lo sapeva, ma era deciso a scoprirlo.

Tornò nel posto in cui un tempo sorgeva la sua casetta bifamiliare, vide che la zona era un cumulo di macerie transennato, posò la borsa a terra, alzò lo sguardo al cielo e giurò vendetta, che per forza di cose doveva essere tremenda e tutto il resto, come vuole una tradizione millenaria. Non sapeva a chi lo stava giurando e ancora meno come avrebbe fatto un professore di matematica delle medie a vendicarsi, o di chi si sarebbe dovuto vendicare, ma era almeno un proposito e gli dava qualcosa da fare nel breve termine. Al resto avrebbe pensato poi, se necessario.

Tempo passò. Disegnato contro un cielo piuttosto bigio, ma che ancora non prometteva pioggia, un piccolo drone da consegne volava verso il suo bersaglio. Sotto di lui si stendeva un tratto di terreno abbandonato: qualche edificio in rovina, una spruzzata di alberi deformi, erbacce a non finire, pezzi e scaglie di cemento che sembravano una partita a Tetris. Era il tipico panorama quasi urbano e non del tutto selvatico che potevi trovare più o meno ovunque in quella parte del mondo e forse anche in molte altre parti simili del mondo. Al drone non interessava. Al drone interessava solo il punto dove doveva arrivare per scaricare il pacco, e il punto era un po’ più in là. Per arrivarci doveva sorvolare il tratto di terreno abbandonato e questo gli bastava.

Non che a un drone potesse interessare qualcosa, non in senso stretto. Seguiva il suo programma e il suo programma lo guidava dal magazzino ai vari clienti. Il resto del mondo era irrilevante.

Solo che stava per diventare molto rilevante.

Qualcosa si mosse nel terreno abbandonato. Un fruscio, un altro fruscio, un breve luccichio che non luccicava poi molto e blam! Uno sparo.

Il drone si fermò per un attimo, oscillando incerto.

Blam! Un secondo sparo.

Il drone cominciò a perdere quota e puntò al suolo con movimento a spirale. Inviò un messaggio di allarme, segnalando il malfunzionamento e le coordinate esatte a cui si trovava, poi un terzo blam lo ritirò definitivamente dal servizio. Piombò a terra come un uovo in caduta libera da una finestra.

Una figura umana emerse dalle erbacce, un grosso fucile da caccia nelle mani e nessuna pietà negli occhi. E un raffreddore piuttosto fastidioso, che lo fece starnutire tre volte di fila.

Geronimo Magri si guardò attorno. Tutto calmo, per adesso, ma non lo sarebbe rimasto a lungo. Tra non molto sarebbe arrivato un altro drone a controllare, e non uno di quelli col pacco regalo. Uno di quelli che distribuivano giustizia e democrazia a grosso calibro. Meglio non farsi trovare.

Si sistemò il fucile a tracolla, si avvicinò alla preda e controllò il bottino. Il pacco era probabilmente ancora intatto; la ferraglia lo era molto meno, ma qualcosa da recuperare c’era sempre. Era esperto, ormai. Sapeva come smantellarli, sapeva cosa tenere e sapeva cosa lasciare. E sapeva soprattutto chi era pronto a comprare i pezzi in buono stato.

Geronimo si accovacciò al suolo e cominciò a smantellare rapidamente il drone. Tutto quello che gli sembrava riciclabile finiva in un borsone, sia pezzi interi che materie prime. Il resto se lo potevano pure riprendere i suoi padroni, oppure potevano lasciarlo ad arrugginire nel campo. Non era un suo problema. Non aveva più molti problemi, lui, a parte sopravvivere un giorno dopo l’altro.

Quando ebbe concluso il lavoro, il cielo era ancora vuoto. Ottimo. Vide che aveva fatto più in fretta di quanto si sarebbe aspettato. Forse stava migliorando lui, forse stavano peggiorando i droni. Non faceva alcuna differenza: il risultato era lo stesso. Un ultimo sguardo a un frammento non raccolto, il ghigno malefico del supercolosso che sarebbe rimasto ad arrugginire tra le erbacce. Il posto che si meritava. Anche troppo bello, in realtà, ma non c’erano sempre fogne a portata di mano.

Chiuse il borsone, lo raccolse, se lo caricò in spalla, partì al piccolo trotto. Tempo di tornare in città e concludere qualche affare. C’erano sempre affari da concludere, dopo un buon lavoro. Affari per lui, ovvio. Per chi aveva spedito il drone, beh, qualcuno in meno. Ed era giusto così.

Il Ragioniere era il Ragioniere. Un tempo doveva avere avuto anche un nome vero e forse lo teneva ancora da qualche parte, ma per i clienti era solo il Ragioniere. Nessun chiedeva altro. Non era quel genere di persona a cui fai molte domande, il Ragioniere. «A quanto?» era la più frequente.

Poteva essere sulla settantina o dintorni. Alto, secco, quasi del tutto calvo, sempre ben rasato. Aveva un vecchio paio di occhiali legati al collo: a volte li indossava, più spesso erano spinti sulla fronte, a decorare la terra di nessuno tra sopracciglia e capelli estinti. Faceva pensare a una mantide, sia per il modo in cui si muoveva, sia per la fisionomia generale. Non lo era. Era un umano: una specie molto più pericolosa, anche e soprattutto per i propri simili.

Ma era onesto, a modo suo, e comprava e vendeva di tutto. Contanti o baratto, fatture e scontrini li lasciava ad altri, il Ragioniere. Lui pensava al sodo. A Geronimo Magri andava bene così.

«Preso un altro?» chiese il Ragioniere, fissando Geronimo che entrava nella penombra fitta del suo antro, un magazzino dilapidato e pericolante che gli faceva da ufficio, quando ne serviva uno.

«Un altro. Non grosso, ma è qualcosa.»

Geronimo posò a terra il borsone e sospirò. Era pesante. Diventava sempre più pesante, sembrava, o era lui a diventare più debole. Irrilevante. Riusciva ancora a fare quello che doveva fare: il resto non contava. E poi si invecchia tutti, prima o poi. Tranne quelli che non fanno in tempo.

Il Ragioniere girò attorno alla vecchia scrivania che li separava, guardò il borsone con l’occhio del mercante di bestiame che si prepara all’acquisto, annuì, si accovacciò, aprì. Geronimo si appoggiò a una parete, braccia incrociate e occhi chiusi. Aspettava, immobile.

Poteva sentire i fruscii e i tintinnii delle cianfrusaglie, mentre il Ragioniere le ispezionava. Forse gli avrebbe fatto un buon prezzo, forse no. Irrilevante. Spesso lo faceva, perché era onesto a modo suo e il bottino di Geronimo era quasi sempre di qualità, facile da sistemare e smerciare. C’era sempre mercato per le materie prime e i pezzi ancora interi a volte finivano anche all’asta. La tecnologia la volevano tutti, specie i concorrenti. Non che ci fosse più molta concorrenza, ma era un dettaglio.

Il Ragioniere si abbassò gli occhiali, sistemandoli sul naso. Disse un prezzo. Geronimo annuì. Fece un cenno al pacco. «Quello?»

Il Ragioniere lo esaminò in fretta, si strinse nelle spalle. Fece un prezzo, molto più basso. Geronimo annuì di nuovo. Il Ragioniere cominciò a trasferire il materiale dal borsone a uno spazio dietro alla scrivania. Lavorava piano. Non aveva fretta, il Ragioniere. Geronimo ne aveva ancora meno.

Finì e si raddrizzò con un secco schiocco delle ginocchia. Si spazzolò le mani, aprì un cassetto, tolse una scatoletta di metallo, la aprì, contò le banconote, richiuse la scatoletta, la mise via, posò i soldi sulla scrivania. «Servito,» disse. «Ma potrei anche offrirti un euro e tu accetteresti lo stesso, eh?»

Geronimo Magri si stinse nelle spalle. «Facciamo qualcosa di più. Quello che basta per mangiare.»

«E per il fucile.»

«E per il fucile, anche.»

Il Ragioniere sorrise storto. «Davvero solo un fucile? Sempre lo stesso fucile?»

«Solo un fucile, sì.»

«Un normale fucile da caccia.»

«Un fucile da caccia. Personalizzato.»

Il Ragioniere ghignò. «Lo sai che stai solo perdendo tempo, vero? Non mi lamento, io ci guadagno, ma stai comunque perdendo tempo. Giusto per avvisarti.»

Geronimo si strinse nelle spalle. «Di tempo ne ho e non ho altro da farci.»

Il Ragioniere annuì. «Giusto. E sono comunque fatti tuoi. Sappi però che ti stanno puntando. Prima o poi ti saranno addosso. Le voci girano e ti fai notare troppo.»

«Prima o poi mi saranno addosso loro, sì. Intanto li punto io. E sparo. E li centro.»

«E io mi occupo di fare pulizia. A ognuno il suo.»

Geronimo raccolse i soldi e li infilò in tasca, recuperò il borsone vuoto, salutò, uscì. Un altro lavoro concluso. E adesso? Era sempre la parte peggiore, adesso. A caccia era vivo. A caccia aveva da fare, un obiettivo, uno scopo. Prima e dopo aveva solo il nulla. Ed era il migliore degli obiettivi, uno che non sarebbe finito mai. Ci sarebbero stati sempre altri droni e lui li avrebbe aspettati. Sì, cercava di svuotare l’oceano con un secchiello e lo sapeva. Era folle. Era anche meglio di niente.

Di nuovo nella sua stanza, poco più di una topaia in una zona in cui neanche i drogati andavano, se lo potevano evitare. Troppo squallida anche per loro. Per Geronimo Magri andava bene così. Aveva poche pretese e quelle poche si potevano riassumere nelle normali esigenze di ogni forma di vita, di preferenza animale: una tana, cibo, varie ed eventuali. Il bagno rientrava nelle varie ed eventuali: un catorcio, ma funzionava. Il cibo era quello che trovava e costava di meno, l’acqua la fornivano già i rubinetti e le fontanelle, di vestiti non ne servivano molti e costavano ancora meno.

I proiettili, ora, quelli sì che costavano. Proiettili e fucile. Manutenzione, modifiche, aggiornamenti. I soldi del Ragioniere finivano quasi tutti lì. Ed era giusto. Col fucile li guadagnava e per il fucile li spendeva. Era tutta la sua vita, adesso. La sola ragione di vivere. Il fucile e la caccia.

Geronimo guardò dal buio della stanza al buio esterno. Notte, abbastanza serena. Luci in città e una manciata di stelle sparpagliate lassù. Le osservava, le studiava. Una di loro non era una stella, ma lo habitat in cui si era rifugiato il gran capo del supercolosso, assieme alla sua corte dei miracoli. Così si diceva, almeno. La Terra faceva troppo schifo per lui. Molto meglio giocare al principe Prospero, lasciando che i suoi schiavi e le sue mandrie umane andassero all’inferno come preferivano. Prima però dovevano depositare portafogli e carte di credito: poteva esserci ancora qualcosa che non si era riuscito a intascare, se cercava bene. Difficile, ma non impossibile.

Quanto avrebbe voluto essere la Morte Rossa, Geronimo. Ma non lo era. Era solo un umano con un fucile e qualche carabattola, di mezza età nel corpo e qualche secolo nello spirito. Ammesso che ce ne fosse davvero uno. Lui ne dubitava. Non si era mai sentito spiritoso.

Vendetta. Non un grande movente, ma quello che aveva. Gli avevano polverizzato la vita mentre era chiuso in un ospedale. Adesso lui avrebbe polverizzato la loro. O almeno ci avrebbe provato. Piano piano, una goccia alla volta: li voleva dissanguare così. Un drone dopo l’altro e una consegna dopo l’altra. Secchiello contro oceano, ovvio, ma un secchiello era tutto ciò che aveva e in qualche modo se lo sarebbe dovuto far bastare. A volte fai del tuo meglio, a volte quello che resta.

Geronimo mangiava senza appetito un cibo al sapore di pizza artigianale cotta in forno a legna. Non ci assomigliava molto. Poteva essere stata una specie di mozzarella all’inizio della sua vita, ma cosa fosse diventata adesso era un mistero su cui non volevi indagare, non mentre la stavi mangiando. Il solo lato positivo che si potesse trovare era che costava pochissimo e ti riempiva. Grossomodo. E in ogni caso non aveva importanza. Il cibo è cibo e alla fine diventa sempre la stessa cosa. A volte non deve neppure cambiare molto.

Come era stata la sua vita, prima? Quasi non lo ricordava più. Non lo avrebbe mai dimenticato. Ma prima era prima e adesso era adesso. Adesso c’era la caccia e poi, beh, il poi sarebbe arrivato.

Di bombardamenti non ce n’erano più stati. Troppo costosi, dicevano. Rapporto profitti-perdite in negativo, dicevano. Questo e quello, dicevano. Irrilevante. Ce n’era stato uno ed era bastato. A tutti, forse. A lui di sicuro. Il resto era quello che rimaneva.

Altri giorni, altre battute di caccia. Geronimo Magri cambiava posto, ma il copione non cambiava. I terreni desolati e inselvatichiti non mancavano, le rovine neppure. Trovavi il luogo giusto, lungo la traiettoria, e ti appostavi. Aspettavi. Il drone sarebbe arrivato, prima o poi. Ne arrivavano sempre da fuori città, dai magazzini che erano da qualche parte in quella direzione. Quando ne arrivava uno, in viaggio isolato, tu prendevi bene la mira. Mano ferma, sguardo fisso. Blam!

Il drone cadeva, alla fine, e lui andava a smembrarlo. A volte i pacchi erano salvabili, a volte no, ma i pezzi c’erano sempre. Lo squartava, recuperava tutto quello che poteva essere rivenduto, riempiva il borsone e alla fine si allontanava in fretta, prima che arrivasse la cavalleria. Un giorno sì, sarebbe arrivata in tempo e tanti saluti a tutti. Quel giorno attendeva ancora. Geronimo non aveva fretta.

«Diventa sempre più pericoloso, lo sai,» gli disse il Ragioniere mentre smistava l’ultima consegna. «I droni non viaggeranno sempre da soli. Presto avranno la scorta, hai sentito?»

Geronimo Magri aveva sentito, ma non gli interessava. Facessero pure.

«La pelle è tua, libero di farne quel che ti pare.» Il Ragioniere si alzò in un concerto di articolazioni in sol minore. «O stai preparando qualcosa per uscire in grande stile?»

Geronimo scosse la testa. «Ho il mio fucile. Mi basta.»

«Non ne discuto.» Poi il rito del pagamento si ripeté, sempre uguale tranne che nella cifra. Il denaro usciva dalla scatoletta e finiva sulla scrivania. Geronimo lo raccoglieva e lo infilava in tasca. Tanti saluti e alla prossima. Uno usciva, l’altro restava ad aggirarsi nella penombra del magazzino. Ogni tanto scuoteva la testa, più spesso scrollava le spalle e pensava ai propri affari. Era la vita.

Poi il giorno arrivò.

Geronimo Magri era in agguato tra gli alberi deformi di un terreno abbandonato. Poco lontano, una fattoria dal tetto sfondato e dalle mura in rovina si sgretolava pian piano, sparendo tra la gramigna e i cespugli spinosi. Potevi ancora intravedere lo scheletro in decomposizione di un altro edificio, un fienile o una stalla, forse altro ancora, ma non lo avresti visto ancora per molto. Era quasi andato.

Ogni tanto qualcosa frusciava nell’erba alta. Animali di qualche tipo, che si facevano i propri fatti da animali di qualche tipo. Pochi insetti ronzavano, superstiti mutanti dell’eccidio. Faceva caldo. Il sole era un disco bianco in un cielo di candeggina sporca. Niente vento, niente altro. Solo l’attesa, e Geronimo in agguato. Attendeva il la. Attendeva il momento di entrare in scena.

Arrivò. Un puntino nero in cielo, ancora lontano. Geronimo lo seguiva con lo sguardo, mentre piano piano si ingrandiva, si avvicinava, si definiva. Da puntino di pennarello a punto sbavato, macchia di Rorschach, drone. Il nuovo bersaglio. La nuova goccia di sangue da far scorrere. Geronimo afferrò il fucile, controllò il mirino, si preparò, caricò, puntò. Blam!

Il drone oscillò in cielo. Blam!

Il drone cominciò a perdere quota, scendendo a spirale. Geronimo preparò un altro colpo, poi attese. Forse non sarebbe servito. Doveva averlo preso bene col secondo sparo. Meglio così, ma mai dire gatto se non l’hai nel sacco. Mai dire drone se non è a terra sventrato. Si alzò lentamente, il fucile in pugno sempre puntato sul bersaglio.

Bzzz!

Geronimo sentì un improvviso ronzio da calabrone incazzato nero. Veniva da dietro di lui. Si girò.

Dove prima c’era solo cielo vuoto, adesso c’era... cosa c’era? Geronimo strinse le palpebre. Era una specie di disturbo nell’aria, ma non riusciva a capire cosa fosse. Non lo riusciva a mettere a fuoco. Si era sbagliato? Possibile, ma non lo credeva.

Il primo drone stava scendendo incerto, danneggiato ma non morto. Geronimo gli dedicò soltanto il più distratto degli sguardi, prima di tornare a fissarlo sul qualcosa che era lì, ma non vedeva ancora. Ma era lì di sicuro, anche se non lo vedeva bene. Quindi...

Geronimo alzò il fucile e puntò. Non sparò mai. Fu qualcos’altro a sparare per primo, e sparò duro, falciando a metà il cacciatore. Non un colpo secco ma una raffica, che danzò uno sfrenato cancan di sbuffi d’aria sul suo corpo. Ma non era solo aria. Non era solo vento a far gonfiare e svolazzare la giacca di Geronimo. Era molto, molto più solido. Ed erano tanti.

Accadde quasi all’unisono. Mentre il primo drone, ferito ma non ucciso, si posava incerto al suolo, il suo cacciatore si accartocciava in un gomitolo confuso di arti, il fucile caduto a terra, il sangue a formare una pozzanghera attorno a lui. Non morì subito. Geronimo Magri ebbe il tempo di vedere un’ultima cosa, il suo assassino, il drone killer militare che perdeva la tinta mimetica, adesso che il suo bersaglio era fuori combattimento, e cominciava a ronzare attorno al compagno ferito, in attesa dei soccorsi. Lo avrebbe protetto, se necessario, come richiedeva il suo programma.

Mentre Geronimo moriva senza fretta, il cacciatore del cacciatore inviava un messaggio alla casa. Il problema era risolto, sarebbe rimasto a sorvegliare la zona in attesa di nuove direttive.

Finiva così, dunque. Non un lieto fine, ma una fine. Peccato non avere steso anche l’ultimo, ma non aveva più importanza. Almeno ci aveva provato. E chissà, magari esisteva un’altra parte e qualcuno lo stava aspettando. Poteva esserci un lieto fine per un ex professore di matematica delle medie? Lo avrebbe scoperto a breve. Una fine c’era di sicuro. Meglio di niente.

Geronimo chiuse gli occhi, inspirò, espirò e spirò. Poco lontano, il drone ferito e il suo protettore lo ignorarono. Attendevano direttive per riprendere il lavoro. Era importante, sapete.

di Adriano Marchetti