Adriano - racconti e altro

Il suo programma preferito

Seduto su una panchina del parco comunale, Claudio Piva cercava di leggere, mentre il lampione lì accanto lo intratteneva trasmettendogli il suo programma preferito. Due bambini giocavano un poco più in là, due madri spettegolavano tra loro e ogni tanto li controllavano, un tizio giovanile ma non troppo portava a spasso una specie di topo dalla coda corta, che magari era anche un cane e magari si vergognava di esserlo, un anziano trafficava con lo smartphone su un’altra panchina, gente veniva e andava, cose irrilevanti accadevano, il sole splendeva, era il marzo più caldo di sempre dall’anno scorso e tutto procedeva tranquillo, nei secoli dei secoli amen.

Claudio sospirò. Smise per un momento di leggere e guardò male il lampione. Il lampione lo ignorò e continuò a intrattenerlo trasmettendo il suo programma preferito. Suo del lampione, forse, perché a Claudio non piaceva proprio. Lo trovava stupido. La musica che mandavano tra una chiacchierata stupida e l’altra era forse leggera, da un certo punto di vista, e magari aveva pure successo, almeno per un certo pubblico. Claudio non aveva gli strumenti per negarlo. Poteva solo dire che, secondo il suo modesto parere, era una badilata di letame in faccia. O nelle orecchie. O entrambe.

Non lo detestava. Non proprio. C’erano alternative peggiori. Avrebbe solo desiderato che ci fossero anche alternative migliori, ma ancora non ne aveva trovate e così a volte gli capitava di ascoltarlo a casa, magari mentre cucinava o faceva altri lavori domestici. Era lievemente meglio che sentire quel che combinavano al piano di sopra, dove abitava una famiglia di ippopotami lobotomizzati in eterno calore, almeno a giudicare dai rumori che producevano. Così ascoltava la radio, per coprirli.

A casa, e in periodi molto ben determinati del giorno. Al parco, e mentre aveva di meglio da fare, se la sarebbe risparmiata volentieri. Era una distrazione. Un fastidio. Specie quel programma.

Vallo a spiegare a un lampione.

Poteva anche essere smart e regolare in tempo reale la quantità di luce necessaria, in base al meteo, al periodo del giorno, al numero di persone nelle sue vicinanze e alle attività a cui le persone nelle sue vicinanze si stavano dedicando. Secondo il sempre modesto parere di Claudio Piva, restava però una ferraglia ottusa, buona solo per far pisciare i cani.

Lampioni che regolano la quantità di luce necessaria, per risparmiare energia? Bella idea. Lampioni che ti spiano in continuazione per poterlo fare? Idea molto meno buona. Lampioni che comunicano coi server per scambiarsi informazioni su di te e decidere in quale modo intrattenerti? Idea pessima, ma così pessima che sembrava uscita dalla Società Cibernetica Sirio.

Claudio guardò malissimo il lampione, che perseverava nell’irrorarlo con pessima musica, poi tornò alla lettura. Inutile cambiare posto: siediti su un’altra panchina e la stessa cosa si sarebbe ripetuta. I lampioni erano ovunque e comunicavano tra loro. O meglio, comunicavano coi server, scambiavano informazioni e ricevevano comandi. Siccome Claudio Piva era catalogato da qualche parte come un tizio che ascoltava spesso quella trasmissione, tutti i lampioni gliela avrebbero fatto ascoltare, se lui si fosse trovato nelle loro vicinanze per più di un certo tempo.

Brutta storia. Non poteva sentire quello che trasmettevano gli altri lampioni, ma poteva immaginare. Sigle di cartoni animati per i bambini, di sicuro, e musica leggera per le madri, o magari programmi di pettegolezzi o roba simile. Notiziari? Per qualche adulto che era inserito nelle categorie giuste, se ce n’erano nel parco al momento, e magari liscio per qualche vecchio, oppure una di quelle reti che si specializzano nei grandi successi del passato. O forse erano tutti preconcetti suoi, ma non aveva alcuna importanza. Restava comunque una brutta storia.

Claudio Piva si girò verso il lampione. «Non potresti farmi ascoltare qualcosa di diverso?» chiese a bassa voce. Non era sicuro che quegli aggeggi lo potessero sentire, ma era probabile. Avevano certo un qualche tipo di microfono, no? Assieme a telecamere e altri sensori.

Il lampione non rispose, ma si azzittì per quasi due minuti, che era comunque un progresso. Claudio ne sarebbe stato soddisfatto, ma ovviamente non durò. Tempo di leggere un paio di pagine in pace e le trasmissioni erano riprese, ma con una novità: al posto del solito programma, adesso trasmetteva un notiziario. O meglio, non proprio un vero notiziario: sembrava una striscia continua di frammenti di notizie, un titolo e poche parole per ognuna, niente commenti, niente fronzoli. Trafiletti di fatti, di eventi, come una specie di buffet dove puoi assaggiare e basta, non mangiare.

Claudio Piva sospirò e scosse la testa. Non proprio qualcosa di decente, ma doveva accontentarsi di quello che passava il convento smart. Era molto improbabile che gli sarebbe mai arrivato qualcosa di migliore, non se doveva dipendere da un lampione e dal dossier raccolto su di lui nei server di un qualche gruppo, pubblico o più probabilmente privato che fosse. Oh beh, pazienza.

Lesse fino alla fine del capitolo, mentre uno sciame di notizioidi lo informava che erano cominciati i lavori per la diga di Gibilterra, che una nuova carestia aveva colpito l’Africa subsahariana, che una famiglia di cani era stata adottata da un notaio brianzolo, che si erano concluse le riprese del nuovo film recitato dalla riproduzione digitale di attori già morti, che due cantanti lirici erano stati invitati a esibirsi durante l’annuale convegno dei peggiori criminali del mondo a Davos, che un’altra specie di cetacei a lui ignota si era appena estinta ufficialmente, che questo e quello e quell’altro ancora.

A distrarlo e ricondurlo alla realtà fu un grido improvviso. Sembrava umano, o almeno umanoide. E sembrava anche piuttosto vicino, il che lo trasferiva all’istante dalla terra remota del problema altrui a quella molto più sgradevole del problema che potrebbe coinvolgermi. Claudio alzò la testa dal suo reader e cercò l’origine del fastidio. Non fu difficile trovarla.

Era accanto alla panchina dove l’anziano trafficava con lo smartphone. Un altro tizio, che Claudio non aveva notato in precedenza, era fermo sotto al lampione e aveva la faccia rossa. Aveva anche un paio di occhialini alla John Lennon e una bizzarra pettinatura che forse aspirava a essere un afro ma non ci stava riuscendo molto bene, era in giacca e cravatta, era bianco, era di quella generica mezza età che potrebbe essere autentica o prodotta da vari ritocchi estetici a basso prezzo, impugnava una specie di bastone da passeggio da gentiluomo vittoriano e sbraitava.

Lo fissavano tutti, adesso, o almeno tutti quelli che si trovavano nelle vicinanze, inclusi i bambini e il topo al guinzaglio. Claudio non poteva negare che fosse uno spettacolo interessante, a modo suo, di certo meglio di un notiziario infinito, così spense il reader e cominciò a guardare anche lui. Cosa si sarebbe inventato, quel tizio? E con chi ce l’aveva?

Col lampione, in apparenza. Il vecchio che non trafficava più con lo smartphone si era allontanato al massimo e fissava l’urlatore dall’estremità opposta della panchina. Si sarebbe anche potuto alzare, già che c’era, e godersi lo spettacolo da una distanza di sicurezza, ma non lo faceva. Restava lì, solo un poco più lontano. Oh beh, contento lui.

Claudio cercò di capire cosa stesse urlando l’urlatore, ma era impossibile. Forse parlava in dialetto, forse era straniero, forse la rabbia gli aveva fatto perdere la capacità di articolare parole sensate, ma tutto ciò che usciva dalla sua bocca era una lunga striscia di fonemi, quasi a casaccio, dove le vocali sembravano predominare. Usciva anche una notevole quantità di sputacchi, ma li possiamo ignorare perché raramente fanno parte di una comunicazione tra esseri umani. Quando ne fanno parte, quella comunicazione di solito sta per passare a una fase molto più fisica e manuale.

Anche le urla dell’urlatore sembravano voler passare a una fase più fisica e manuale. Aveva alzato il bastone da passeggio e lo agitava contro il lampione, sempre tra un urlo e l’altro. Le madri si erano avvicinate ai bambini, forse per protezione o forse per portarli via, ma al momento tutto il pubblico era ancora presente e non pareva volersi allontanare. Era una scena interessante.

Dopo un’altra scarica di urlacci, l’urlatore si azzittì, fece un saltello, si tese al massimo verso l’alto e colpì il lampione appena sotto il vetro che contiene la lampadina, il LED, quello che era. Sempre che il vetro fosse ancora vetro. Magari era plexiglas o roba simile. Claudio non lo sapeva, ma non lo riteneva molto interessante, al momento. Il tizio aveva colpito il lampione.

Tutta la folla sembrò trattenere il fiato.

L’urlatore riprese a urlare, agitò di nuovo il bastone verso l’alto, quindi saltellò di nuovo ed ecco un secondo colpo contro il lampione. Colpì il vetro, stavolta, ma il vetro non si ruppe, segno forse che non era vetro ma un materiale più resistente. Sul serio, che stava succedendo?

Claudio Piva se lo chiese, ma non aveva una risposta valida. L’urlatore stava facendo quello che lui, e forse molti altri, avrebbero fatto volentieri, cioè cercare di spaccare uno di quei maledetti lampioni smart, ma era una follia. Potevi averne voglia e non c’era nulla di male, ma farlo? Bisognava essere pazzi sul serio. Spaccarne uno portava molto peggio che sette anni di guai. Portava...

Claudio fermò il monologo interiore. Guardò la scena. La guardò davvero. Una panchina del parco, un lampione a due passi di distanza. Era uguale a mille altre panchine, in quello e altri parchi, come il lampione era uguale a mille altri lampioni. Anche l’accostamento era normale: trovavi spesso una panchina accanto a un lampione, almeno nei parchi e nei viali. Scena comune.

Sulla panchina c’era un vecchio. Prima era più vicino al lampione, o così lo ricordava Claudio, ma adesso si era spostato all’estremità opposta. Perché proprio sotto al lampione c’era l’urlatore.

Clic.

Claudio Piva capì, o almeno sospettò di avere capito. Il lampione era smart. Quando percepiva una persona ferma nelle sue vicinanze, si preparava a offrirle un qualche servizio di intrattenimento o di informazioni. Era un servizio tarato sulle preferenze della persona, così come erano state registrate e catalogate sui server a cui era collegato. Servizio su misura. Per una persona specifica.

Cosa succedeva quando c’era più di una persona?

Dipendeva dai casi. Chi era arrivato prima, chi si trovava più vicino, chi apparteneva a una fascia di età o di interessi più commerciabili. Si era sviluppata quasi una mitologia attorno a come un oggetto smart scegliesse a chi dare la precedenza, perché di preciso non lo sapeva nessuno, se non chi aveva programmato gli algoritmi che facevano funzionare lampioni e affini. C’erano storie, e leggende, e superstizioni. Erano più o meno fantasiose e probabilmente quasi tutte sbagliate.

Irrilevante. C’erano due persone vicine allo stesso lampione: il vecchio e l’urlatore. Entrambi erano nel suo raggio d’azione. Una persona era tranquilla, l’altra stava urlando e picchiando il lampione. E non dovevi essere un investigatore geniale da romanzo, per capire che almeno una delle due persone non era contenta del servizio ricevuto.

Claudio Piva si alzò prima ancora di accorgersi che il suo corpo stava compiendo quella operazione. Un momento era seduto, il momento dopo era in piedi. Si avviò verso il vecchio e l’urlatore, a passo rapido, e fu solo mentre camminava che capì cosa gli stessero facendo fare le sue gambe.

Non aveva idea di cosa stesse accadendo, ma sapeva come interromperlo. Probabilmente. Almeno, sapeva come fare un tentativo per interromperlo. Poteva funzionare o poteva non funzionare, era un altro discorso e non dipendeva da lui. Tentare, però, dipendeva da lui.

Claudio guardò l’urlatore. Urlava e agitava il bastone, sempre incomprensibile e sempre scollegato dal resto del mondo. Non la persona giusta da avvicinare. Claudio non lo avvicinò. Puntò invece sul vecchio, ma girando alla larga, per tenersi il più possibile fuori dal raggio del lampione. Meglio non peggiorare le cose, se possibile. Si schiarì la gola.

«Mi scusi, potrebbe venire un attimo qui?»

Il vecchio si girò verso di lui. «Cosa vuole lei?»

«Volevo chiederle se poteva venire un attimo qui. È una cosa importante.»

Il vecchio squadrò il nuovo arrivato. Omuncolo insignificante, forse sulla quarantina o dintorni, aria da impiegato del catasto o qualche altro lavoro oscuro e noioso, dove ammuffisci alla scrivania e la luce del sole la vedi solo in un video. Se ne stava in piedi a un paio di metri da lui e gli chiedeva di venire un attimo lì. Mica normale, ovvio.

«Perché non viene qui lei? Non sono più un giovanotto, io! Ho bisogno di stare seduto.»

Claudio Piva sospirò nel profondo dell’anima. «Ma se viene qui un attimo, magari quella persona si calma. Non lo capisce come funziona?»

Il vecchio lo guardò male. «No e non me ne frega niente!»

Che personcina deliziosa. Claudio sperava proprio di poter diventare anche lui un anziano così ricco di amore e di buoni sentimenti verso il prossimo, un giorno. Almeno avrebbe avuto una ragione più che valida per considerare il suicidio. L’urlatore intanto saltò di nuovo e bam, un’altra botta contro il vetro non vetroso del lampione. Il tempo stringeva, ammesso che ce ne fosse ancora.

A mali estremi, estremi rimedi. Claudio Piva avanzò, strappò lo smartphone di mano al vecchio e si preparò a indietreggiare, prima che il lampione registrasse la sua presenza. Ci voleva tempo perché scattasse, giusto? Non bastavano due secondi.

Forse in generale no, ma quella volta bastarono.

Il lampione cominciò a trasmettere una striscia di notizie brevi sparate a un volume spaccatimpani, ma per Claudio fu solo l’inizio dei suoi problemi. Senza dargli tempo di indietreggiare e sfruttando l’effetto sorpresa del cambio di trasmissione, il vecchio si alzò, gli rifilò una ginocchiata nel peggior posto in cui si possa dare una ginocchiata a un altro uomo, gli strappò di mano il cellulare, brontolò qualcosa e se ne andò. L’urlatore emise una scarica di vocali senza senso, trovò l’energia per saltare ancora più in alto e diede una robusta bastonata al lampione. Qualcosa fece crac.

Claudio Piva era accartocciato nel suo piccolo universo di dolore personale, ma riuscì comunque a vedere la fine della storia, anche se in una nebbia di lacrime agli occhi.

La sua idea era stata di far allontanare per un poco il vecchio, così da lasciare una sola persona nella zona del lampione: con un cliente solo, la sua programmazione si sarebbe aggiustata e forse avrebbe calmato l’urlatore. O forse no, d’accordo, ma era un tentativo, il solo che gli fosse venuto in mente. Se quel tizio aveva dato i numeri a causa del lampione, magari bastava intervenire sul lampione per farlo tornare alla razionalità.

Adesso il vecchio si era allontanato, ma il lampione smart era ancora più stupido di prima. Doveva essere un modello difettoso, oppure le botte dell’urlatore avevano danneggiato qualcosa. Il fatto era che stava trasmettendo notizie con un tono da allarme antiaereo e tutta la gente del parco arrivava a vedere cosa stesse succedendo. Guardavano. Cercavano di commentare. Scattavano e filmavano. Si divertivano a condividere con frasette stupide di accompagnamento. Agivano da normale folla, per farla breve, e l’urlatore urlava e saltava.

Si concluse quando arrivò il drone di sicurezza, meno di un minuto dopo.

Richiamato forse da un allarme del lampione, dalla densità della folla, da chissà cosa, si abbassò sul parco come un piccione extralarge, puntò l’urlatore, gli rescisse unilateralmente il contratto a tempo indeterminato con l’Azienda Paese causa grave inadempienza, riprese quota e sparì, lasciando dietro di sé un rifiuto buono solo per essere riciclato come biomassa. La gente filmò, commentò, condivise e ricevette molte visualizzazioni. Era stato un pomeriggio positivo, nel complesso.

Mentre il pubblico si disperdeva dopo gli ultimi selfie don la biomassa ex umana, Claudio Piva uscì dal suo universo di dolore privato e guardò anche lui la carcassa a pochi metri di distanza. Non era così che avrebbe voluto far finire la storia, ma era andata a finire così. Sospirò.

Oh beh, almeno lui ci aveva provato. Non era servito, se non a prendersi una ginocchiata nelle palle, ma ci aveva provato. Forse aveva ancora qualche speranza di non diventare un vecchio così stronzo, da vecchio. Era consolante. Era meglio di niente, se ci pensavi bene.

Scuotendo la testa e camminando a gambe un poco allargate, Claudio Piva tornò sulla sua panchina a leggere, mentre il lampione ricominciava a intrattenerlo trasmettendo il suo programma preferito.

C’erano finali peggiori, dopotutto. Bastava uno sguardo alla biomassa per ricordarselo.

di Adriano Marchetti