La persona giusta
Mauro Mion era stato eletto sindaco del suo paese. Non lo voleva, ma il suo parere non aveva alcun peso e nessuno si era preoccupato di chiederglielo. Lo aveva calcolato l’algoritmo e l’algoritmo non poteva sbagliare, lo sapevano tutti. Quindi Mauro era stato eletto sindaco del paese. Dall’algoritmo.
«Non sarà un problema,» gli aveva spiegato un tizio in giacca e cravatta che era venuto a prenderlo assieme a quattro carabinieri in alta uniforme. «Dovrà solo ratificare le decisioni altrui.»
«Ma perché proprio io?»
«Perché lei è la persona giusta, in questo momento. Lo dicono i numeri.»
E chi era Mauro Mion per mettere in discussione i numeri? Nessuno. Era solo un piccolo falegname riservato e tranquillo, che amava passare le giornate in bottega a costruire piccoli oggetti e annusare il profumo del legno. Guadagnava poco, ma aveva anche bisogno di poco e tutto si compensava, più o meno. Una persona piccola, che aveva bisogni piccoli e li soddisfaceva con lavori piccoli.
Viveva anche in un paese piccolo, in effetti. Che fosse questo il motivo? Mauro non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo. Perché l’algoritmo tutto calcolava, ma niente spiegava. Così il tizio in giacca e cravatta e i quattro carabinieri lo avevano portato al municipio e il resto era storia, anche se non una di quelle col lieto fine. Non per il protagonista, quantomeno.
Adesso Mauro sprecava le giornate in un ufficio che puzzava di chiuso anche se teneva la finestra aperta. Invece di maneggiare il legno, le sue dita maneggiavano l’aria, mentre sedeva in attesa che il prossimo documento da firmare arrivasse. Girava i pollici, fissava il vuoto, si sentiva il muschio che gli cresceva sulle ossa e rimpiangeva la sua piccola bottega. Era inutile, Mauro. Ma prescelto.
A cosa serviva ormai il sindaco? A niente, a quanto pareva. Le decisioni erano prese altrove, spesso calcolate dall’algoritmo, e lui doveva solo mettere la firma, digitale e fisica. Perché la legge diceva così. Un algoritmo non può firmare; un umano sì. Così Mauro firmava, perché toccava a lui.
E perché toccava a lui? Perché lo aveva calcolato l’algoritmo, che gestiva l’intera amministrazione pubblica. Aveva sostituito tra gli applausi virtuali l’ormai vetusta e inefficiente democrazia, a cui in fondo non credeva più nessuno. Pochi si prendevano la briga di votare, le elezioni costavano tanto e alla fine a nessuno piaceva mai il risultato. Molto meglio lasciare che a scegliere il governo fosse un arbitro imparziale e più preparato. Un bell’algoritmo, scientifico e sicuro. Tutti contenti, giusto?
Giusto o meno che fosse, adesso funzionava così. L’algoritmo esaminava il cumulo di dati raccolti sulla cittadinanza, li incrociava con quelli sul resto del paese e alla fine calcolava chi si meritasse di occupare un determinato incarico pubblico. Stavolta era toccato a Mauro Mion, in quel suo piccolo angolo di mondo. Era il sindaco di cui il suo paese aveva bisogno in quel preciso momento.
Dopo tre mesi di quella vita, chiuso in una stanza ad aspettare l’arrivo di qualcosa da firmare senza doverlo leggere, Mauro non aveva ancora capito perché proprio lui. Sarebbe bastato chiunque altro. Sarebbe bastato anche un timbro, in effetti. Non c’era bisogno di un essere umano. La legge, certo: serviva una persona fisica che si assumesse certe responsabilità e non si poteva delegare a oggetti o altro, ma perché proprio lui? Cosa aveva fatto di male? Come aveva fatto a uscire il suo nome?
Aveva cercato di documentarsi un poco, durante gli infiniti tempi morti del suo non lavoro. Per quel che aveva trovato, non serviva fare qualcosa di specifico. Contava la somma di tutte le tue azioni, le tue dichiarazioni, i tuoi pensieri estrapolati dai tuoi atteggiamenti. Ogni cosa finiva nel calderone da cui l’algoritmo estraeva i risultati finali. Questa era la spiegazione ufficiale. A Mauro puzzava tanto di fregatura, ma cosa ne poteva sapere lui? Era solo un falegname e il computer lo usava giusto per pubblicizzare il proprio lavoro e ricevere ordini, pochi ma soddisfacenti.
Già, il suo lavoro. Aveva dovuto abbandonare tutto, perché l’incarico pubblico non era compatibile con altre attività. Lo stabiliva una qualche legge che aveva ottime ragioni per esistere, ma era anche una fregatura enorme per lui. Avrebbe ritrovato i suoi clienti abituali alla fine di quel tormento? Ne avrebbe ricevuti altri? Oppure se ne sarebbero andati tutti altrove, stanchi di aspettarlo? Non erano i pensieri più belli del mondo, ma Mauro non sapeva smettere di pensarli, nelle lunghe ore di niente e vuoto che componevano ormai tutta la sua esistenza.
Quando sarebbe finita? Quando lo decideva l’algoritmo. Quando calcolava che un’altra persona era più adatta di lui come sindaco, perché erano cambiate le condizioni di questo o quello. Non c’erano limiti precisi, perché tutto dipendeva da tutto il resto e bisognava essere fluidi, dinamici e altra roba che suonava come fuffa, ma era stato deciso così e tanto bastava.
Bastava agli altri, forse. A Mauro? Mica tanto.
Poi venne il giorno terribile e niente fu più come prima. Per Mauro Mion, almeno. Per gli altri forse non cambiò alcunché, ma gli altri sono gli altri e hanno i loro problemi. Quello di Mauro era che un tizio in giacca e cravatta era entrato nel suo ufficio e gli aveva parlato.
«C’è un problema col nuovo bilancio,» aveva detto il tizio in giacca e cravatta.
Mauro lo aveva fissato. «Bilancio?»
«Il bilancio per l’anno prossimo. Abbiamo una somma extra da assegnare.»
«E perché lo chiede a me, scusi?»
«Perché lei è il sindaco.»
Vero. Mauro Mion non poteva obiettare a questo, anche se avrebbe voluto farlo. «Ma non sono io a decidere, no? È l’algoritmo o quello che è. Io devo solo firmare. Me lo avete detto voi.»
Il tizio in giacca e cravatta si schiarì la gola. «In condizioni normali il suo ruolo consiste in effetti in una vidimazione delle decisioni calcolate come più appropriate per il benessere collettivo, questo è vero. Il problema è che le presenti non sono purtroppo condizioni normali.»
Ah, ecco la fregatura. «E quale sarebbe il problema?»
«I server sono temporaneamente fuori uso. Saranno riparati e ripristinati per domani, di questo noi ne siamo sicuri, ma il problema è che il bilancio finale deve essere approvato entro oggi. In assenza del computer, ad approvarlo deve essere il sindaco in pectore.»
«Che sarei io.»
«Che sarebbe lei, sì.»
«Quindi devo metterci la firma come al solito e tanti saluti, no?»
Il tizio in giacca e cravatta sembrò contorcersi nell’animo. «In circostanze ordinarie, sì. Il problema è che il disservizio sulla linea si è verificato prima che il bilancio fosse completato. Rimane dunque una voce da integrare e toccherà a lei decidere a chi assegnare l’ultima somma disponibile.»
Ah, doveva decidere lui. Mauro si morse le labbra. «Quale voce sarebbe?»
Il tizio in giacca e cravatta gli scaricò sulla scrivania un grosso malloppo di fogli. «Questa è tutta la documentazione disponibile. Siamo stati costretti a stamparla a causa del disservizio di cui le ho già parlato, ma qui c’è tutto ciò che le servirà per decidere. Abbiamo anche accluso alcuni precedenti a titolo di esempio, per mostrarle quali scelte siano già state fatte in circostanze analoghe.»
«Quindi io dovrò fare quello che c’è scritto?»
«Lei è il sindaco. Lei può decidere come ritiene migliore. La invito comunque a studiare con cura le precedenti decisioni calcolare come ottimali in circostanze analoghe. Saranno un valido supporto.»
Dunque poteva decidere liberamente, ma era meglio se decideva liberamente di seguire i consigli. Il problema era chiaro. Pure troppo. «Va bene. Studierò i documenti e prenderò una decisione.»
«Deve essere entro oggi. Non voglio metterle fretta, ma...»
Mauro annuì. «Ma deve essere entro oggi, ho capito. Lo farò, non si preoccupi.»
Qualche altra chiacchiera di circostanza e il tizio in giacca e cravatta se ne andò. Quasi di sicuro era un tizio in giacca e cravatta diverso da quello che lo era venuto a prendere a casa tre mesi prima, ma dopo un po’ diventano tutti uguali quegli impiegati e non era poi così importante distinguerli. Erano intercambiabili e volevano tutti la stessa cosa: dirgli cosa doveva fare e controllare che lo facesse.
E adesso? E adesso avrebbe dovuto leggere quella pila di cartacce. Sospirò. Doveva esserci qualche modo per evitarlo, no? Una specie di scorciatoia, qualcosa. I tizi in giacca e cravatta lo conoscevano e sapevano cosa aspettarsi da lui, ormai. Gli avevano preparato di sicuro una specie di bignami. Era logico. Era ragionevole. Era quello che sperava.
Così Mauro Mion cominciò a frugare nella montagna di fuffa, fermandosi ogni tanto a leggere una frase o due dai documenti che scartava. Cifre, dati, grafici, formule, qui e là poche parole. Come fai a leggere davvero quella roba? Come possono esistere persone che si interessano a certe cose? Vero, il mondo è bello perché è vario, ma a lui sembrava solo un inutile spreco di legname, che si poteva usare per attività molto più costruttive e utili. Uno sgabello, ad esempio, o una mensola.
Trovò un breve dossier che spiegava in lungo il bilancio per il prossimo anno, le voci già assegnate e la sola voce ancora da decidere. Erano pochi fondi, per quanto ne capiva lui, o almeno la cifra era piccola a sufficienza, paragonata a molte altre. Una roba da niente, giusto? Prima di andare a gambe per aria, l’algoritmo o chi per lui sembrava avere ridotto la scelta a due possibili destinazioni, anche se non aveva indicato alcuna preferenza o priorità.
Mauro scrollò le spalle. Beh, se erano solo due, non sarebbe stato un grande problema. Nel peggiore dei casi poteva tirare a sorte. Testa o croce, pari o dispari, quel che era. Non c’era neanche bisogno di andarsi a leggere i precedenti e tutte le altre storie strane. Hai due alternative, le osservi, ne scegli una e tanti saluti. Poteva farcela benissimo anche da solo, no? Dopotutto l’algoritmo lo aveva scelto come sindaco, quindi doveva possedere le doti necessarie per una decisione tanto semplice.
Mauro Mion osservò le due possibilità. C’era tanto burocratese e inutili parole inglesi, ma sembrava che da una parte ci fosse uno stanziamento extra per l’ospedale cittadino, anche se non gli era chiaro a cosa sarebbe servito di preciso, ma era un ospedale e quindi sarebbe stato per qualcosa di buono, è ovvio. L’alternativa era un aumento di stipendio per un qualche settore amministrativo con un nome poco chiaro e in inglese. O francese? C’era qualcosa di liaison, ma era un office, si parlava di staff e il tutto condito da una bandierina dell’Europa. A Mauro non piacevano le bandierine dell’Europa. Ci sono sempre fregature dietro le bandierine dell’Europa, gli insegnava la sua esperienza personale.
Ci pensò ancora un poco, sfogliando qualche pagina tanto per tenere le mani occupate. L’ospedale o il misterioso settore amministrativo? A chi assegnare gli ultimi fondi? Ma non aveva senso perderci troppo tempo. Gli ospedali fanno comunque qualcosa di buono, mentre le amministrazioni servono solo a succhiare soldi pubblici, lo sanno tutti. Non gli era mai capitato niente di buono quando si era dovuto immischiare in faccende di pubblica amministrazione. Vero, aveva avuto problemi anche in ospedale, quando lo avevano operato per quella ciste, ma era andata a finire bene, no? Più o meno.
Con una scrollata di spalle, Mauro Mion impugnò la penna e assegnò la somma all’ospedale.
Quando il tizio in giacca e cravatta venne a ritirare il bilancio finale, non commentò la decisione del sindaco, ma gli rivolse per un momento uno sguardo strano, prima di ritirarsi coi fogli firmati. Tutto a posto, giusto? Mauro non ne era così sicuro, ma quel giorno si sentiva meglio di quanto fosse mai stato negli ultimi tre mesi. Aveva fatto qualcosa. Qualcosa di utile!
Il mattino seguente fu svegliato alle cinque da una notifica sullo smartphone. Occhi semichiusi dalla cispa e tanta voglia di essere altrove, Mauro recuperò il cellulare dal comodino e lo attivò al quinto tentativo, dopo averlo spento per sbaglio al terzo. Una notifica, già. E sulla sua app di cittadinanza.
Mauro Mion la lesse una prima volta, poi scollò a forza le ciglia e la rilesse. Il testo non cambiava. Brutta storia, perché il messaggio era proprio quel genere di notizia che vorresti far sparire con la sola forza del pensiero, potendo. Peccato che lui non potesse.
C’era una buona notizia: non era più sindaco. L’algoritmo risorto dalle ceneri aveva calcolato che il suo incarico doveva essere assegnato a un’altra persona, perché sì. La cattiva notizia era che il suo status di cittadino aveva perso trecentosei punti ed era sceso al livello rosso chiaro. Non era ancora così malvagio come il rosso scuro, ma c’era troppo vicino. Cosa era successo? Che fine aveva fatto il suo vecchio verde pistacchio? Non c’erano spiegazioni. Non c’erano mai spiegazioni. Qualcosa ti succedeva e stop, tu la dovevi accettare così come era. Fine della storia.
Quanti diritti civili e umani aveva perso, adesso che il suo status era rosso chiaro? Mauro Mion non lo sapeva. Avrebbe tanto voluto non saperlo, ma lo avrebbe scoperto fin troppo presto.
Lo scoprì giusto un’ora dopo, quando quattro poliziotti in tenuta antisommossa vennero a prenderlo per trascinarlo fuori dal suo ormai ex alloggio. Era una sistemazione troppo alta per il suo status. E la sua piccola bottega? A voi indovinare se il suo nuovo status gliene dava ancora diritto. Avete tre possibilità e le prime due non valgono.
C’era però sicuramente qualcuno o qualcosa pronto a renderlo un esercizio molto più efficiente, per un lieto fine di un certo tipo. Non per Mauro Mion, ma così è la vita.