Magia simpatica
Pioveva, quando Enrico Nutria si svegliò. Non una pioggia forte, ma sottile e continua, a tratti quasi sgocciolata. La peggiore. E la stanza era buia. Ovvio. Guardò verso il comodino, dove le cifre verdi della sveglia gli dicevano che erano le tre e ventidue. Ovvio. Sospirò. Maledetta magia simpatica.
Sempre così. Quando pioveva di notte, lui si svegliava per andare in bagno. Sempre alla stessa ora, tra le tre e le quattro. Sempre. Sempre. Maledetta magia simpatica.
Una piccola azione qui, per ottenere una più grande conseguenza là. Versi un poco di acqua qui, per far cadere molta pioggia là. Il simile attira il simile, o qualcosa del genere. Frazer ne aveva parlato a lungo, nel suo mattone che non finiva mai, ma Enrico non aveva mai creduto a Frazer. Non aveva il giusto livello scientifico per essere creduto, capite. E poi, magia. Dai! Siamo seri. Viviamo nel terzo millennio, dopotutto. Se non si può esprimere con una formula matematica complicata, non è vero.
Enrico Nutria non credeva a certe sciocchezze. Era persona educata, colta e progressista, lui. Delle superstizioni non approvate dalla scienza si faceva beffe. Però funzionavano lo stesso. Era seccante. Messaggi subliminali o qualcosa del genere, era ovvio. L’acqua scorre, scende e a te viene voglia di andare al gabinetto. Succedeva a tanti, o almeno tanti dichiaravano che succedeva così. Per lui era la pioggia. La pioggia notturna. Solo quella. Il suono gli si imprimeva nell’inconscio o quel che era. Lo contagiava. Alla fine si doveva alzare per andare al gabinetto. Tra le tre e le quattro. Sempre.
Enrico lo detestava. Era insensato e retrogrado. Era avvilente.
Pure, Enrico Nutria si doveva alzare, se non voleva farsela addosso. Sarebbe stato imbarazzante alla sua età. Viveva da solo e nessuno lo avrebbe mai dovuto sapere, già, ma sarebbe stato imbarazzante lo stesso. Lo sarebbe stato dentro, capite. Così si alzò, sospirando contro l’arretratezza del mondo.
Barcollò fino al bagno, mancò di un soffio lo stipite della porta, che infiniti dolori già addusse alle sue dita del piede destro, entrò a luce spenta, caracollò altri due passi, si fermò, alzò l’asse, puntate, fuoco! Poteva sentire anche da lì lo scroscio della pioggia notturna, ma adesso andava bene. Ormai il peggio era accaduto e non ci sarebbero stati altri problemi. Non c’erano mai altri problemi, fino al mattino. Poi sarebbero cominciati i problemi del nuovo giorno, ma quelli erano, per l’appunto, tutto un altro problema. Non aveva senso pensarci prima. Enrico non ci pensò. Si sciolse nel sollievo.
Finì, valutò se lavarsi le mani, sospirò, scrollò le spalle. Ci avrebbe pensato il giorno dopo, adesso non ne aveva voglia. Due passi verso la porta, cric. Enrico si fermò. Cosa aveva calpestato? Niente di bello, ovvio. Non calpesti mai qualcosa di bello, al buio, di notte, in bagno. Uno scarafaggio o un altro orrore simile. Aveva voglia di scoprirlo? Significava accendere la luce. Troppo faticoso e poi il chiarore improvviso gli avrebbe infastidito gli occhi. Lasciamo perdere. Enrico lasciò perdere.
Fece un altro passo verso la camera. Il piede non si staccò dal suolo. Cosa succedeva adesso? Aveva calpestato qualcosa di colloso? Non aveva senso. Pure, il piede non si staccava. Perché adesso? Che aveva fatto di male per meritarselo? Enrico Nutria sospirò e allargò le braccia, povera vittima di un mondo spietato e disordinato, antiscientifico.
«Che succede adesso?» si lamentò a voce media.
«Magia antipatica», rispose qualcosa nel buio. «Esiste anche questa, non lo sapevi?»
Enrico non lo sapeva e non avrebbe voluto impararlo al buio, di notte, da una voce misteriosa e che suonava molto, molto male. Chi era? Cosa era? Perché tanto dolore?
Poi qualcosa di vasto e pesante calò su di lui. Crack!