Adriano - racconti e altro

L'occhio del vicino

Il geometra Martino Sburla si considerava una brava persona, col vizio di spiare i vicini. Non certo la peggiore delle abitudini, se ci pensate bene. Praticamente un peccatuccio, di cui quasi neppure ti accorgi. Una sciocchezza che spariva, se la paragonavi a tutte le sue altre qualità, tipo... beh, tutte le sue qualità. Non c’è bisogno di elencarle qui. Le conoscono tutti, giusto?

Intendiamoci: il geometra poteva anche spiare i vicini, d’accordo, ma non era uno di quegli orribili individui che trascorrono le giornate alla finestra o sul balcone, a guardare tutto ciò che accade e prendere nota, per spettegolarne alla prima occasione. Quelle sono davvero persone ripugnanti, che non si meritano alcuna pietà. No, il suo passatempo era molto più sedentario e intimista, se così lo si può definire. Peraltro, i vicini in questione abitavano al piano di sopra e sbirciando dalla finestra, lo capite anche voi, lui avrebbe visto ben poco. Una perdita di tempo.

Pure, il geometra li spiava. Soprattutto nell’intimità.

Aveva cominciato per caso. Fino a qualche mese prima, la famiglia che abitava sopra di lui era solo un branco di bisonti ritardati, che si inventavano qualunque cosa pur di infastidirlo in ogni momento coi rumori più molesti che si possano immaginare. Quel tipo di vicino che alle sei di una domenica mattina deve mettersi a martellare qualcosa, proprio sopra la tua camera da letto. Quello che indossa gli zoccoli e fa la marcialonga in salotto. Quello che deve condividere la propria musica con l’intero quartiere. Quello che è sempre alla finestra quando parla al telefono. Anzi, quando urla al telefono.

Quel genere di vicini, ci siamo capiti.

Il geometra Sburla fantasticava di avvelenarli nel sonno. Di bruciarli vivi nel sonno. Di sistemare un bel pacco di tritolo nella loro auto. Di incerare al massimo le scale che salivano all’appartamento in cui si annidavano. Di fare telefonate anonime ai carabinieri e denunciarli come pericolosi pedofili terroristi spacciatori violatori di copyright. Eccetera eccetera. Fantasticava insomma di vendicarsi a modo suo per i torti che era convinto di subire di continuo e riportare così un poco di giustizia in un mondo che ne aveva davvero tanto bisogno.

Non aveva mai mosso un dito. Non si era mai neppure lamentato con loro. Se ne stava rintanato nel suo appartamento a rodersi il fegato e nuotare nella bile. Era quel genere di persona, il geometra. Da un certo punto di vista, possiamo dire che quei due tipi di vicini sono fatti l’uno per l’altro. Quasi si completano, almeno fino a che qualcuno non va fuori di testa e diventa un caso di cronaca nera.

Tutto cambiò quando Martino Sburla si accorse che i cari vicini avevano sistemato videocamere nel loro antro di nequizie che probabilmente chiamavano “casa”. Le avevano installate per sicurezza, di sicuro, o forse solo perché andavano di moda, perché erano in offerta, un amico gli aveva suggerito di farlo o altre scemenze simili. Volevano avere sempre a portata di mano il loro nido d’amore, o a portata di clic, per controllare che tutto andasse bene. Poterlo guardare da lontano con smartphone, tablet, bypass, impianto rettale, quello che preferite.

Ma avevano commesso un errore. Non si erano preoccupati di verificare che le videocamere fossero sicure, oltre che di sicurezza. Non si erano preoccupati di verificare che soltanto loro vi potessero accedere. Non si erano preoccupati di controllare che la porta fosse chiusa, insomma. Porta virtuale finché volete, ma non per questo meno importante da sigillare.

Il geometra Sburla se n’era preoccupato e l’aveva trovata spalancata, con tanto di invito a entrare a chiunque passasse di lì. In senso figurato, beninteso, ma il punto era che le videocamere dei vicini li tenevano al sicuro come un preservativo rotto. E loro non lo sapevano. Probabilmente. Poveri fessi.

Siccome chiunque avrebbe potuto guardare in casa loro, Martino Sburla aveva deciso che sarebbe stato lui il chiunque e, in nome del buon vicinato, avrebbe tenuto d’occhio il loro appartamento, per sicurezza. Non voleva che qualche malintenzionato li potesse infastidire e violare la loro privacy, è chiaro. Sarebbe stato terribile. Risata malefica.

No, seriamente. Era una brava persona, il nostro geometra, e non lo avrebbe mai fatto per sua scelta. Era praticamente stato costretto dalle circostanze, capite? Non lo faceva per sadismo, o per sfogare frustrazioni, eccetera. Lo faceva per... ok, d’accordo, per sfogare frustrazioni. Ma senza cattiveria.

Cominciò così una intensa attività di guardonaggio a cui il geometra si dedicava con piacere quando ne aveva tempo, come alternativa a televisore o altre fesserie. Perché preoccuparsi di roba inventata da sceneggiatori con più soldi che neuroni, quando potevi osservare in diretta e sul tuo computer la vita reale e imbarazzante di gente che odiavi? La scelta era stata molto semplice.

Durante quei mesi aveva scoperto che la loro figlia adolescente aveva l’abitudine di girare per casa mezza nuda quando era da sola, e a volte anche senza il “mezza”, ma siccome a Martino piacevano più vecchie non l’aveva trovata molto interessante. Anche perché, diciamolo, aveva giusto quaranta o cinquanta chili di troppo, almeno per i suoi gusti. Il figlio, che frequentava le medie, dimostrava di avere perversioni da vecchio depravato in crisi d’astinenza forzata, a giudicare dalle sue scelte in tema di intrattenimenti solitari. Buffo, ma neppure questo era molto interessante.

I genitori, invece...

Il geometra aveva avuto certi sospetti sui rumori che sentiva di notte dal piano di sopra. Le scene in diretta dalle videocamere di sicurezza lo avevano informato dal primo giorno che la sua fantasia era rimasta molto indietro, a confronto della realtà. Aveva pensato a litigi, l’ingenuo. Aveva pensato alle sceneggiate che, a volte, i suoi genitori avevano fatto quando lui era bambino. Alquanto sgradevoli e uno dei fattori che lo avevano portato a decidere di non sposarsi, assieme alle scelte altrui.

Aveva pensato a problemi domestici, insomma.

Non lo erano. Non di quel tipo. La coppia che abitava sopra di lui, la cui camera da letto era proprio sopra la sua, tizi che producevano rumori di ogni tipo a ogni ora assieme ai figli, eccetera eccetera. I suoi vicini adulti, insomma. Sembravano proprio essere ferventi e assidui praticanti di certe brache del sadomaso che Martino Sburla non aveva mai incontrato nel corso delle sue varie esplorazioni pornografiche. Non aveva mai neanche pensato che qualcuno, wow...

Dettagli. Il punto era che ci davano dentro, quasi tutte le notti, e non si preoccupavano del rumore. Non di quello che finiva al piano di sotto, quantomeno. E le cose che si inventavano...

Quello che per il geometra era stato un fastidio per anni, era adesso diventato un passatempo a cui si dedicava con piacere, in veste di osservatore esterno. Probabilmente non sarebbe mai più riuscito a guardarli in faccia senza scoppiare a ridere, ma era un problema secondario, dato che già li evitava in ogni occasione per resistere all’impulso di strozzarli. Erano vicini davvero rumorosi, sapete.

Si era sistemato in poltrona bello comodo e teneva aperta ogni videocamera in una finestra diversa sul computer, alternandole a seconda di cosa accadeva di bello. Una serata piovosa, una birra vicino e stuzzichini poco più in là, il geometra Martino Sburla era pronto anche quella volta a passare una manciata di ore spensierate e divertenti a spiare i vicini, prima di andare a letto. Ne sentiva davvero il bisogno. Era stata una giornata di merda in ufficio, per usare un termine tecnico, e adesso serviva proprio un poco di relax. Era una necessità seria, capite? Era proprio a pezzi, psicologicamente.

Chissà cosa si sarebbero inventati quella notte? Martino se lo domandava distratto, mentre il figlio dei vicini si sollazzava osservando le interazioni tra una donna e un labrador. La figlia era vestita e studiava, noiosamente, e i genitori chiacchieravano davanti al televisore. Ancora presto. Si stavano di sicuro scaldando il motore, per così dire. Chissà che ne sarebbe uscito?

Ne uscì qualcosa che il geometra non si aspettava. Ma neanche di sfuggita.

La prima assurdità fu nella stanza del figlio. Il ragazzino era sempre seduto al computer, impegnato a stringere la mano del suo miglior amico, mentre contemplava il suo porno disgustoso. Il geometra Marino Sburla aveva dedicato soltanto la più rapida delle occhiate volanti a quella finestra, prima di passare oltre. Era decisamente la più noiosa della casa. Poteva sempre accadere qualcosa di buffo e per questo non aveva chiuso il riquadro, ma le probabilità erano molto basse.

Una mano afferrò il ragazzino per il collo e lo trascinò fuori dalla inquadratura.

Accadde in un attimo e non fu buffo. Il ragazzino era al computer; Martino si stava girando verso la finestra successiva, quando un movimento improvviso lo aveva fatto tornare indietro. E aveva visto la mano che agiva. Prima non c’era, poi era attorno al collo del ragazzino, un attimo dopo non c’era più di nuovo. Ma adesso non c’era più neppure il ragazzino.

Martino Sburla guardò il resto della casa. Niente, niente, la figlia che cazzeggiava allo smartphone invece di studiare, padre e madre davanti al televisore, di nuovo niente.

Di chi era quella mano? E già che ci siamo, di chi era il braccio a cui la mano era attaccata? Perché non era una mano senza corpo, tipo la famiglia Addams che il geometra guardava da bambino. Era una mano attaccata a un braccio. Un lungo braccio.

Troppo lungo? Forse, può darsi. Era apparso e scomparso troppo in fretta, sbucando da un margine della ripresa. Non c’era stato il tempo per guardarlo bene. Se anche ci fosse stato il tempo, forse lui non lo avrebbe comunque voluto vedere bene. Perché c’era stato qualcosa di strano in quel braccio. Nella intera azione c’era stato molto di strano, a voler essere sinceri, e anche nell’interazione. Ma il punto era che qualcuno o qualcosa si era preso il ragazzino e adesso non compariva più in nessuna videocamera. Strano. Si potrebbe anchea zzardare un “bizzarro”, in effetti.

Il geometra Sburla fece per cliccare sulla X e chiudere la finestra, poi ci ripensò. Era più sano se lasciava tutto così com’era. Poteva succedere di nuovo qualcosa. Prima o poi il ragazzino sarebbe tornato, ovvio. Mica era svanito nel nulla, no?

Un movimento improvviso in un’altra finestra attirò la sua attenzione. Era la camera della figlia e la vide per un momento, mentre qualcosa la trascinava fuori dalla inquadratura. Che cosa? Questo non lo vide, ma era ovvio che doveva esserci. Aveva visto la ragazza a terra, che agitava qui e là le mani in cerca di un appiglio, mente svaniva rapidamente all’indietro, oltre il bordo della videocamera.

Non è così che una persona normale esce dalla propria camera, almeno secondo il parere di Martino Sburla. Vero, a volte aveva dubitato che i suoi vicini fossero persone normali; subnormali sembrava descriverli molto meglio, specie nei momenti di massimo frastuono, ma... no. E ancora no. Neppure il più subnormale dei subnormali sarebbe uscito così. Qualcuno l’aveva trascinata fuori. Doveva.

Qualcuno o qualcosa, già.

Il geometra esaminò una dopo l’altra tutte le finestre. La sola stanza ancora occupata era rimasta la sala, dove i genitori sedevano davanti al televisore. Il resto era vuoto. Vuoto e silenzioso. Il che non era normale per loro. Martino non ci aveva badato, ma quella sera c’era stato poco rumore al piano di sopra. Non era mai successo, quando tutti e quattro erano in casa. Trovavano sempre qualcosa per fare rumore. Era il genere di vicini che aveva lui.

Non quella sera.

Qualche passo zoccolato, qualche sedia trascinata sul pavimento, un paio di oggetti metallici caduti a terra. E basta. Poteva essere la famigerata quiete prima della tempesta, ma quale tempesta?

I figli erano spariti. Restavano solo i genitori.

Il geometra svuotò la birra e tamburellò un poco le dita sul bracciolo della poltrona. Cosa mai stava succedendo là sopra? Poteva essere uno scherzo elaborato, una specie di scenetta stupida che per un qualche motivo avevano deciso di interpretare, uno di quei flash mob o come cavolo si chiamano.

Non lo sembrava.

Martino Sburla si sistemò meglio in poltrona e fissò la finestra col salotto e i genitori, la sola ancora occupata. Se doveva succedere ancora qualcosa, sarebbe successo per forza lì, giusto? Quindi non si voleva perdere la scena. Era possibile che si stesse perdendo qualcosa nelle altre stanze, tipo i due figli che tornavano in camera, ma aveva solo due occhi ed erano coordinati, per cui era inevitabile: si sarebbe perso qualcosa in ogni caso. Si trattava di scegliere e lui aveva scelto di seguire i genitori.

Per un poco non accadde alcunché, poi continuò a non accadere. Marito e moglie seduti sul divano a guardare il televisore: noioso, molto noioso. E un poco irritante, già che ci siamo. Martino Sburla non sapeva esattamente cosa lo irritasse nella scena, ma era irritato lo stesso.

Stava allungando una mano verso i salatini, quando altre due mani nella inquadratura si allungarono e afferrarono la coppia: la donna per la caviglia destra, l’uomo per la sinistra. Uno strattone forte, da Mister Muscolo, e i due erano giù dal divano, in rapido viaggio attraverso il tappeto. Si agitarono un poco, cercarono di afferrare qualcosa, si afferrarono a vicenda. Uno sguardo in più ed erano spariti.

Adesso sì che la storia stava diventando assurda. Assurda e fastidiosa.

Cosa stava succedendo in quell’appartamento, in nome del Codroipo anagrammato?

Il geometra Sburla rimase ancora per un poco ad alternare sullo schermo le varie inquadrature delle videocamere di sorveglianza. Tutte vuote. Aspettava che succedesse qualcosa, qualunque cosa, che i vicini spuntassero all’improvviso in una stanza, magari la cucina o il bagno, gridando «Sorpresa!» o «Scherzo!» o un’altra scemenza del genere. Niente succedeva. L’appartamento sopra di lui appariva vuoto. C’erano angoli morti, d’accordo, le videocamere non coprivano tutto, ma era irrilevante.

Appariva vuoto lo stesso. Anzi, appariva svuotato.

Martino Sburla si alzò e andò in bagno, non proprio disturbato ma perplesso. Al suo ritorno, scoprì che c’era stato un cambiamento nelle finestre sullo schermo. Le videocamere non inquadravano più gli interni dell’appartamento al piano di sopra. Adesso inquadravano soltanto un occhio, un grande e un poco stupido occhio, che sembrava quasi appoggiato contro lo schermo. Batteva la palpebra pian piano. Un occhio umano, o almeno umaniccio. Sicuramente non infuocato. o anche solo irritato.

Il geometra chiuse tutte le finestre, poi spense anche il computer. Uno scherzo, era ovvio. I vicini si dovevano essere accorti che li stava spiando e così si erano inventati una scenetta per insultarlo, per deriderlo, scacciarlo, punirlo, pescate quello che vi pare e noi lo accetteremo. Stupido, certo, ma ci stava. Aveva senso. Poteva fermarsi qui.

Si fermò.

Andò a letto ma non dormì bene. C’era troppo silenzio. Lo innervosiva. E si sentiva osservato. Non che avesse videocamere in casa, ma si sentiva osservato lo stesso. Stupido scherzo dei vicini.

Il mattino dopo si era quasi convinto del tutto che non era successo davvero e si sentì molto meglio. Fece colazione, andò al lavoro, fece la spesa, eccetera eccetera. Una giornata normale, come tante. I vicini? Affari loro, a Martino non interessava. Se continuavano a fare silenzio, lui non si sarebbe di certo lamentato. Solo uno scemo si lamenta perché non lo disturbano, no? E lui non era scemo.

Probabilmente. Ma non ci voleva pensare troppo, o anche pensare e basta. Era un problema altrui. E non avrebbe più guardato cosa succedesse nell’appartamento di sopra. Le videocamere erano ancora in funzione, di sicuro, ma... gli era passata la voglia, ecco tutto. Era un passatempo noioso.

Dal piano di sopra non sentì più alcun suono.

Il silenzio continua ancora, ma il geometra Martino Sburla non ci pensa più. Si è abituato. A volte ha la sensazione di essere osservato, o che qualcosa si sia mosso nell’angolo del suo campo visivo, ma lui scrolla le spalle e archivia il tutto come normale paranoia urbana. Non è importante. Ha altro da fare, lavori da terminare, gente da incontrare, vite da vivere.

Non può certo lasciarsi dominare da suggestioni immotivate. Sarebbe stupido. Dopotutto, non è che ci sia una mano pronta ad afferrarlo, nascosta appena fuori dalla inquadratura, vero?

Un rapido movimento in un angolo. Quando il geometra si gira a guardare, tutto è calmo. Niente da segnalare, niente di insolito, tutto a posto. Soltanto una suggestione, vero?

...vero?

di Adriano Marchetti