Una losanga di dubbi
C’era qualcosa di strano sul suo cammino. Giorgio Pera non poté non notarlo, anche perché è molto difficile non notare una porzione sbiadita di mondo proprio davanti ai tuoi piedi. Forse non sarebbe stata così strana in paese, dove trovavi cose di ogni tipo per terra, a volte anche tratti di asfalto quasi intero, ma lì in campagna, in mezzo all’erba verdognola di primavera, una chiazza sbiadita dava più nell’occhio di, boh, al momento non gli veniva un secondo termine di paragone, ma non era poi così importante. era importante la cosa strana. La sua forma regolare la rendeva ancora più strana. Così il nostro Giorgio Pera si fermò prima di metterci il piede e rimase a fissarla.
Era una macchia, indubbiamente. Era in mezzo al sentiero, ancora più indubbiamente. Era a forma di losanga, e su questo potevano esserci alcuni dubbi, in assenza di misurazioni ufficiali a stabilire se la figura geometrica fosse regolare o meno, ma a occhio lo sembrava abbastanza da essere strana. E un poco preoccupante. E anche di cattivo gusto, almeno secondo il modesto parere di Giorgio, un appassionato lettore di Eliade e colleghi. La losanga era un simbolo che aveva certi significati poco eleganti, non adatto a essere riprodotto in mezzo a un sentiero dove poteva passare chiunque. Scena di cattivo gusto, già. E anche parlare di riprodotto... cattivo gusto doppio.
Secondo il suo modesto parere, ricordiamo.
Ma l’erba dentro la losanga era sbiadita. Non che crescesse molta erba sul sentiero, che era perlopiù terra giallastra e alcuni sassi, specie in quel tratto che attraversava il boschetto lungo il torrente, ma la poca erba che vi cresceva era sbiadita. Anche la terra sembrava sbiadita, a guardare meglio. E poi quel sasso, metà dentro e metà fuori, era la cosa più strana di tutte, perché pareva sbiadita solo la metà dentro la losanga. Non aveva senso, ne converrete.
Oppure ne aveva? Forse qualche spiritoso l’aveva dipinta. Sì, ecco: questo era ragionevole. Un tizio che si crede artista, o forse ribelle, o altro ancora, e se ne va in giro per i sentieri a disegnare simboli di cattivo gusto (secondo il suo modesto parere). Gentaglia, ma il mondo ne era pieno, purtroppo.
Solo che c’era davvero qualcosa che non tornava in quella losanga. Più la guardava e più Giorgio se ne convinceva. Era l’aria sopra il sentiero che glielo suggeriva. Normale e vagamente aromatizzata al pino in altre zone, lì aveva un vago retrogusto di mare. Non proprio salmastro, non esattamente: il tipo di odore che Giorgio associava alla bassa marea, semmai, fatto di cose putride e, beh, un odore sgradevole. Ma non troppo. Non del tutto. Era anche un poco nostalgico.
Perché nostalgico? Giorgio ci pensava, fermo in mezzo al sentiero nel boschetto. Forse perché era il ricordo delle estati al mare, quando era bambino. I suoi genitori lo costringevano sempre ad andare in spiaggia presto e in spiaggia presto, quel luogo ancora deserto e rastrellato di fresco, si sentiva la puzza del mare vuoto, da cui l’acqua era fuggita. La marea, gli spiegava suo padre, e forse lo era, sì, ma puzzava lo stesso e Giorgio avrebbe preferito andare in spiaggia quando l’acqua era tornata e la puzza non si sentiva più. Solo che non lo aveva mai detto. Suo padre sapeva sculacciare.
Adesso sentiva di nuovo quell’odore, in mezzo alla campagna, a pochi passi da un torrente che, ok, non era molto pulito, ma di sicuro non era salmastro. Lo sentiva attorno a una losanga tracciata sulla terra del sentiero. Perché? Che senso aveva? Era un’allucinazione olfattiva o qualcosa del genere?
Giorgio circumnavigò lentamente la losanga, attento a non calpestarla. I cespugli che crescevano sul lato sinistro del sentiero gli grattarono appena la schiena, ma lui non se ne accorse. Fissava a terra. La losanga, così precisa e irrazionalmente razionale.
Era strana, sì, e lo diventava sempre di più. Non che la losanga cambiasse, non proprio, ma attirava il suo sguardo e, sì, ok, Giorgio lo doveva ammettere: non era solo un problema di puzza. Era anche l’aria a essere strana, proprio sopra a quella sagoma sul sentiero. Perché tremolava, l’aria, come se il suolo fosse caldo, molto caldo. Assomigliava a quella specie di illusione ottica che ti può capitare in piena estate, su una strada asfaltata, quando la temperatura è davvero alta.
Giorgio Pera sbatté le palpebre. Sì, l’impressione restava. E non aveva senso. Non faceva caldo, era solo primavera, e in ogni caso il suolo era terra, non asfalto. Non poteva scaldarsi più di tanto, no? I materiali che si scaldano così tanto sono altri.
Pure, l’aria sopra la losanga sembrava sfrigolare.
Non solo. Era come se ci fosse qualcosa nell’aria, qualcosa che Giorgio non riconosceva, a cui non sapeva dare un nome, ma era lì. Una distorsione? Una fessura? No, si stava lasciando impressionare e basta. Non aveva senso. La cosa giusta da fare era ignorare tutto e andarsene via, riprendere la sua camminata, dimenticarsi di losanghe e palle varie e, sì, ci siamo capiti. Via. Molto meglio che stare lì a sforzarsi di trovare un significato ragionevole in un insieme di eventi privi di senso.
Andarsene e dimenticare, sì. Giorgio aveva quasi deciso di farlo, quando arrivò lo scoiattolo.
Era grigio, chiaramente un intruso invasore venuto a rubare il posto agli scoiattoli rossi, i veri nativi del continente europeo. Era uno scoiattolo come tanti, qualunque fosse il suo colore, e Giorgio non vi avrebbe badato granché in altre occasioni. Ne vedi spesso, no? Corrono fra i rami, saltano tra gli alberi, a volte scendono a terra ma sono più che altro una presenza sullo sfondo, irrilevante.
Quello scoiattolo era sceso a terra, si era lanciato di corsa in mezzo al sentiero, quasi sotto il naso di Giorgio, e aveva fatto tre giri attorno alla losanga, sempre correndo come un indemoniato, poi si era lanciato all’interno del simbolo ed era sparito. Così. Un attimo prima era lì, un attimo dopo se n’era andato. Puff!
Ci vollero quasi due minuti prima che il cervello di Giorgio Pera tornasse a funzionare. Il suo primo ordine fu di chiudere la bocca, rimasta aperta a prendere mosche. Rivolse lo sguardo da una parte e dall’altra, in cerca di tracce. Non ne trovò. Lo scoiattolo era entrato nella losanga ed era sparito. Lo aveva visto davvero? A malincuore, Giorgio dovette rispondere di sì. Lo aveva visto davvero.
Con una mano che sembrava appartenere a un altro, Giorgio raccolse da terra un rametto, il primo e più vicino dei tanti che si potevano trovare nel boschetto. Passandosi la lingua sulle labbra, lo alzò e lo fissò un poco, senza vederlo davvero. Un rametto. Era vero, era solido. Era anche un po’ umido e gli aveva sporcato i polpastrelli delle tre dita con cui lo stava tenendo. Meglio buttarlo via, giusto?
Giorgio lo buttò via. Lo buttò sopra la losanga. Il rametto svanì a mezz’aria.
Ok, quindi non lo aveva sognato. Ecco una prova tangibile. Cosa significava? Non lo sapeva, ma al momento non era una priorità. La priorità era che un evento impossibile era appena accaduto sotto i suoi occhi. Quindi non era impossibile. Quindi... Quindi. Punto.
Giorgio non osava proseguire il pensiero. Girò di nuovo attorno alla losanga, senza avvicinarsi oltre lo stretto necessario. L’aria sfrigolava, sì, e l’odore di bassa marea era forte. Che cos’era quel posto? Una specie di, non so, di passaggio? Qualcosa di fantascientifico o di fantastico? Oppure di horror?
Ci sarebbe stato un solo modo di scoprirlo.
Giorgio fece un passo indietro, poi uno in avanti, nell’eterno valzer dell’indeciso. Ci stava davvero pensando? Stava davvero prendendo in considerazione una pazzia simile? Realmente? Giorgio non fu del tutto sorpreso di scoprire che sì, una parte di lui ci stava pensando davvero. Forse era tutto un sogno, forse era reale. Forse era follia, forse sanità. Ma quella losanga era qualcosa, un’anomalia, e quel qualcosa era capitato a lui, proprio a lui. Era una possibilità? Un rischio? Una condanna? Altro ancora?
Giorgio si guardò attorno. Era una bella giornata, sul piano del meteo. Aria tiepida, cielo azzurro e un venticello leggero a sfiorare i rami, giusto per creare un poco di effetto. Si stava bene. Su tutti gli altri piani, invece, non era un granché. Non era un granché la sua vita, il mondo in cui la viveva, le sue prospettive per il futuro. Nulla di orribile o drammatico, per carità, ma... non un granché. Niente per cui valesse davvero la pena di vivere, in effetti. Era una esistenza da fungo, più che da umano.
Non starai davvero pensando di entrare in quella losanga, vero?
Giorgio non lo stava davvero pensando, ovvio. Era solo una fantasticheria, una curiosità, il tocco di scienziato pazzo che vuole scoprire, sapere. Non lo avrebbe mai fatto davvero, era ovvio. Eppure, se ci pensava bene, ma bene sul serio, cosa aveva da perdere? Tutto, d’accordo, ma era un tutto che ne valeva poi la pena? Parlando seriamente, dico. Profitti e perdite, bilanci e palle varie.
Giorgio Pera si morse le labbra. Forse era una occasione unica, quella che aveva sempre sognato ma mai ricevuto. E adesso era lì, a un passo da lui. Forse. Doveva provare? Alzò un piede, più che mai incerto su dove posarlo. Avanti o indietro? Verso la losanga o lontano dalla losanga?
Il boschetto taceva attorno a lui, anche il vento sembrava essersi fermato. Tutto aspettava. Davvero? O si stava inventando una scena epica e drammatica, che nella realtà esisteva soltanto dentro al suo cranio? Non sarebbe stata la prima volta nella sua vita. Ma le alternative erano due e la scelta facile, a modo suo: poteva allontanarsi e continuare con la sua vita, oppure infilarsi nella novità che si era aperta davanti a lui. Tenersi quello che aveva, oppure puntare tutto sul mistero.
La strada vecchia o la strada nuova?
Poteva anche scegliere la novità e scoprire che non esisteva, era tutta una sua fantasticheria. Era più che plausibile, in effetti. Sperare nel miracolo restare deluso dal banale. Era un rischio possibile, è certo. Era quasi sicuro che sarebbe finita così, vista la sua vita. Se fosse entrato nella losanga, dopo un lungo dibattito con se stesso, e non fosse successo alcunché, si sarebbe solo sentito lo scemo del villaggio, ancora perso in fantasie da ragazzino nonostante i decenni che la vita gli aveva scaricato sul groppone. Andandosene, invece, sarebbe almeno rimasto il ricordo di avere sfiorato un mistero, un’altra realtà. Sarebbe rimasto il sogno, a modo suo.
E il rimpianto? Anche, può darsi.
Nessuno si avvicinava lungo il sentiero. Era solo, la scelta spettava a lui. Giorgio Pera sospirò. Nel simbolo a losanga? Oppure via, sulla strada di sempre? Cogliere l’occasione o abbandonarla? Fare a pezzi l’illusione di magia o conservarla intatta dentro di sé? Credere che la losanga fosse davvero la porta verso qualcosa di diverso ed entrarvi, rischiando la (quasi sicura) delusione di scoprire che era solo una banale macchia, oppure credere ma non provare, conservando l’incanto ma perdendo una occasione unica per cambiare le cose? Che fare?
Fu l’abitudine di anni che lo spinse a voltare le spalle alla losanga e proseguire la camminata lungo il sentiero. Fu il rimpianto di anni che lo bloccò di colpo in mezzo al sentiero, più incerto che mai e più confuso di quanto si fosse mai sentito in tutta la sua vita.
Era troppo tardi? Era finita così? O forse... Giorgio Pera si voltò a guardare dietro di sé, come troppi altri personaggi mitici prima di lui. La losanga era ancora là? Il suo mistero era ancora per lui? E se sì, se non era troppo tardi, cosa scegliere? Il solito o l’insolito? Se ancora gli rimaneva la possibilità di scegliere, ovvio. Se.
Con un profondo respiro, Giorgio chiuse gli occhi e si preparò a guardare. E poi scegliere. Sperando che.