Vivere al ribasso
Nella vita di Marco Pollo non c’erano mai state molte certezze. Era riuscito a trovarne solo due, che non è un gran numero, ma erano solide e valevano per cento, almeno secondo il suo modesto parere.
La prima certezza era che i suoi genitori si meritavano l’inferno per il nome che gli avevano rifilato. Il nome, sì. Perché il cognome ok, quello lo poteva capire, è una cosa che viene da lontano e spesso non puoi farci niente. Ti capita, non è che lo decidi tu. Ma il nome no. Il nome lo scegli tu. Ci pensi, magari prepari pure liste o vai a sfogliare libri in cerca di quello giusto, il più adatto a tuo figlio.
Il nome lo decidi. Ci metti una parte di te. Ne sei responsabile.
Che razza di genitore può chiamare Marco un bambino che sarà già condannato al cognome Pollo? I suoi genitori, appunto. Che si meritavano l’inferno e magari c’erano già, se esisteva un dio e aveva un minimo di decenza. La scuola era stata una derisione unica, per colpa loro, e la vita prima e dopo non era andata molto meglio, anzi. Maledetti.
Questo ci porta alla seconda grande certezza di Marco. Che la sua vita era come la gravità: lo tirava sempre verso il basso. Lo schiacciava sul fondo. Quando poi sembrava che non si potesse scendere oltre, la vita trovava ogni volta un modo per peggiorare. Tipo adesso. Era... deprimente, ecco.
Marco Pollo contemplava la colazione che la sua cucina smart gli aveva preparato. Era calibrata sui suoi gusti e le sue esigenze nutrizionali, in base alle attività che avrebbe dovuto svolgere nel corso della sua giornata lavorativa, con un occhio ai suoi ritmi circadiani e palle varie. Sembrava vomito di gatto. Peggio. Sembrava vomito di gatto su cui un cane aveva cagato. Un cane con qualche brutta malattia, a giudicare dall’odore. E lui se la sarebbe dovuta mangiare.
«E questa sarebbe la mia colazione?»
«È la colazione più adatta a te, caro Marco,» gli rispose l’assistente domestico, che dirigeva il circo smart della casa: una rete di elettrodomestici prodotti e distribuiti dalla stessa multinazionale, che si prendevano cura di lui e immagazzinavano nei server ogni suo dato possibile e immaginabile.
Marco Pollo sospirò. Come aveva fatto a finire in quell’incubo? Perché costava meno. Tra incentivi e contributi, finanziamenti agevolati e sconti funambolici, si era arredato l’appartamento spendendo circa la metà di quanto avrebbe dovuto pagare per oggetti normali. E il trucco c’era. La fregatura.
Lo avrebbe dovuto capire subito? Sì, forse, ma è pur sempre un Marco Pollo, non vi potete aspettare più di tanto da lui. Capito lo aveva capito, certo, ma solo dopo. Troppo tardi.
Sedette al tavolo, assaggiò la colazione e scoprì che l’apparenza poteva ingannare, a volte. Faceva ancora più schifo di quanto sembrasse a prima vista. Calibrata sui suoi gusti? O lui era masochista, oppure quegli elettrodomestici erano stati progettati da maniaci della Guida Galattica. Pure, mangiò. Non aveva alternative. La porta smart non si sarebbe aperta, se lui avesse rifiutato la colazione.
Mangiò, deglutì a fatica, si lavò i denti e sciacquò la bocca per cancellarne il sapore. Si preparò a un nuovo giorno di lavoro in tabaccheria, vendendo sigarette a suicidi pigri. Forse non era il lavoro più bello del mondo e gli orari erano discutibili, ma non faticava troppo e i clienti non mancavano mai. Erano anche molto fedeli, finché vivevano.
Solo che la porta smart non si apriva.
«Devo uscire,» disse Marco, simulando una calma che non provava.
«Non hai ancora lasciato una recensione positiva sul tuo ultimo acquisto,» rispose l’assistente.
Marco levò le braccia al cielo e invocò il nome di dio, o almeno il suo titolo professionale.
«Ho segnalato alla questura la tua violazione dell’articolo 164/C del decreto legge per la tutela delle minoranze etiche, etniche, politiche, religiose, sessuali, spirituali e morali,» disse l’assistente.
Ed ecco un’altra conferma che la sua vita lo succhiava verso il basso. Gli elettrodomestici facevano la spia. Lo sorvegliavano tutto il giorno, spiavano, origliavano e poi facevano la spia ogni volta che diceva qualcosa che poteva essere sgradito a qualcuno, da qualche parte nel mondo. Ma che razza di vita era? La sua, già. Una vita gravitazionale.
Prese lo smartphone e si affrettò a scrivere due righe di recensione a cinque stelle per lo scopino del gabinetto, smart come tutto il resto. Lo aveva dovuto cambiare di recente, perché la tazza smart non si voleva far pulire dallo scopino normale. Ed era stata molto categorica. E stronza, hah!
«Adesso va bene?» chiese all’assistente.
La porta si aprì e Marco Pollo poté uscire verso una nuova giornata di lavoro in tabaccheria. Non il migliore inizio che si potesse immaginare, ma ce n’erano stati di peggiori. Quindi prima o poi ce ne sarebbero stati di ancora più orrendi, ma almeno non quel giorno. Non ancora. La sua vita tendeva a spingerlo verso il basso, come dicevamo, per cui meglio non essere troppo categorici.
Ma era stata una gran brutta storia, quella dello scopino, e Marco non poté fare a meno di ripensarci mentre serviva ai clienti la loro dose di droga quotidiana. Il suo caro assistente domestico non aveva solo accesso a tutti i suoi account social, ma ne aveva aperti anche altri a nome suo, usando i dati in suo possesso. Erano indistinguibili dai veri. Erano veri, di fatto. E li usava per ricattarlo.
Era una congiura domestica. Ogni volta che lui faceva qualcosa non approvato da qualche aggeggio, subito apparivano post su tutti i social network che lo mettevano alla gogna. La storia dello scopino era stata forse la più terribile, almeno per adesso. Non era stata solo di cattivo gusto, ma dimostrava anche la fondamentale malvagità dell’universo, secondo il modesto parere di Marco Pollo.
La multinazionale che controllava tutti i sui elettrodomestici aveva messo in vendita da pochi giorni un nuovo scopino smart. Che era una storia ridicola già così. Marco Pollo non lo aveva comprato e non aveva intenzione di farlo, perché c’è un limite a tutto. Solo che il suo gabinetto smart rifiutava di essere pulito da uno scopino normale, adesso. Peggio. In combutta con lo specchio smart e tutto il resto del suo bagno smart, aveva cominciato a pubblicare foto e video del gabinetto sporco, assieme a commenti sul tema “Guardate che maiale che sono!”. A nome di Marco. Su tutti i social.
Era così infantile che ci sarebbe stato da ridere, se non fosse capitato a lui. Siccome era capitato a lui, Marco non ci aveva riso, specie quando avevano cominciato ad arrivare le risposte degli amici e parenti. E colleghi. E clienti. E altro ancora. Si era arreso, alla fine, e i post erano stati rimossi.
Adesso era il felice proprietario di uno scopino smart ultimo modello. Wow.
«Tutti questi aggeggi ci tireranno scemi,» commentò a voce bassa con la signora Silvana Silania, un catorcio sulla settantina portata malissimo che era una delle sue migliori clienti. Due pacchetti ogni giorno, fissi, da quando lui aveva preso la tabaccheria. Aveva una voce da maniaco sessuale in crisi di astinenza prolungata, ma ancora tirava avanti. Doveva avere polmoni di amianto. Forse li aveva.
«Ah, guarda, a me mi fa impazzire lo sciacquatore della dentiera, veh! Sempre che suona, sempre il suo bip, bip e bip. Non gli va mai bene niente! Ma te lo dico io... roba da matti, guarda.»
Marco Pollo annuì comprensivo. Ancora gli mancava quel problema, ma poteva immaginare. Molto meglio tenersi buoni i denti, finché poteva. «E il portacenere non dice niente?» le chiese.
«Il mio portacenere è ancora vero,» rispose Silvana, agitando un dito secco e rugoso. «Vetro, quello che uso da quindici anni. Non me lo tocca mica nessuno, quello lì. È un regalo di mia figlia! Se uno di quei così lì, gli smart, me lo rovina... porca miseria! Lo vedi cosa gli faccio!»
Marco annuì. Probabilmente non sapeva neanche cosa fosse un social, la signora Silania. Contro di lei avevano un’arma in meno. Potevano postare quel che volevano a nome suo e lei non lo avrebbe mai saputo. Lo avrebbe visto la figlia, magari, ma Marco dubitava che una come la signora Silvana si sarebbe mai presa la briga di ascoltare una figlia. Oh beh, buon per lei.
Salutò, chiacchierò, vendette. La giornata gli passò attorno come tutte le altre, senza infamia e senza lode. A pranzo tappa al bar vicino, per un paio di panini imbottiti a quello che capitava, due birre coi soliti, altre due chiacchiere e qualche risata, poi un lungo pomeriggio di clienti, clienti e ancora una spruzzata di clienti, giusto perché era venuto abbondante. Di tanto in tanto, attesa solitaria, a fissare il vuoto e pensare a cose tristi. E smart, spesso.
Venne sera. Marco Pollo chiuse bottega e tornò a casa, una passeggiata di un chilometro circa. Non aveva davvero bisogno di pranzare al bar e un tempo non lo faceva, ma adesso preferiva restare via il più possibile. C’era troppa roba smart, in casa. Era come vivere di nuovo con la madre, stavolta in una versione con mille occhi, mille orecchie e almeno un centinaio di bocche per rimproverarlo alla minima infrazione. Un incubo, insomma. Pure, erano i tempi moderni. Il progresso. L’innovazione.
«Il bidone,» borbottò, mentre la porta smart lo faceva entrare, dopo aver letto i suoi dati biometrici.
L’assistente domestico gli diede il bentornato con la sua solita voce artificialmente femminile. Si era chiesto più volte perché quegli aggeggi dovessero avere tutti una voce da donna, ma ancora non gli era pervenuta una risposta. Forse dovevano imitare una qualche cameriera vittoriana o forse chissà.
Cosa gli avrebbe servito come cena la sua adorata cucina smart? Marco Pollo lo scoprì dopo essersi cambiato e lavato le mani, azioni necessarie per non essere sgridato e messo alla gogna come lurido untore su tutti i social. Che brutta vita.
Nella sua peggiore tuta da casa, con le mani impregnate dall’odore di sapone, il nostro eroe entrò in cucina e ordinò la cena. Non si aspettava qualcosa di buono, ma almeno qualcosa che lo riempisse e lo tenesse occupato per un poco. Almeno quello lo poteva ottenere, no?
Ricevette una tazza piena di acqua saponata.
«Perché?» chiese, scuotendo la testa. Cosa aveva combinato stavolta? Che orribile crimine contro la proprietà? E cosa avrebbe dovuto scrivere o comprare, per farsi perdonare?
«Hai parlato male dei prodotti della nostra azienda,» rispose l’assistente.
«E quando, scusa?»
«In tabaccheria. Hai violato l’articolo 347/I dei termini di servizio. Pubblicità lesiva della immagine del produttore o venditore dei beni concessi in comodato d’uso. Calunnia ripetuta e aggravata priva di ragioni legittime e riconosciute da un tribunale. Cattiva pubblicità in presenza di terze persone...»
Mentre la voce artificiale dell’assistente domestico continuava col suo elenco di capi di accusa, a mano a mano più bizantini, Marco Pollo riusciva a pensare a una sola cosa. Una domanda. Come lo avevano scoperto? C’era roba smart anche in tabaccheria, c’era roba smart dappertutto, ma era stato molto attento a non unirla alla rete domestica. A casa lo tormentava una entità, al lavoro un’altra.
Si erano collegate a sua insaputa? Avevano registrato tutto a suo nome, senza nemmeno prendersi la briga di notificarglielo a fatto compiuto, come almeno succedeva di solito? Era possibile.
Era un incubo.
«Non potete averlo sentito! Non è vero! Non ho detto niente!»
L’assistente domestico si fermò per un istante, poi trasmise la registrazione del dialogo tra Marco e la signora Silania. Parola per parola, una riproduzione perfetta. Sembrava...
Marco Pollo si fermò. L’illuminazione lo colpì come una robusta pedata al bassoventre. «È stato lo smartphone, vero?» disse, togliendolo di tasca e sollevandolo. «Ha registrato tutto?»
«Il dialogo è stato trasmesso dalle estensioni della rete domestica,» rispose l’assistente.
Marco indicò la tazza di acqua saponata. «E quella?»
«Per sciacquarti la bocca. La tua violazione è stata inoltrata a...»
Non lo ascoltava più. Posò lo smartphone sul tavolo, spostò una sedia subito sotto l’assistente, prese un piccolo martello dalla sua misera collezione di attrezzi non smart, salì sulla sedia, levò la mano col martello in pugno. «Voglio la mia cena,» disse all’aggeggio infernale. «Una cena vera.»
«La tua violazione non ti dà diritto a...»
Marco Pollo picchiettò col martello la plastica dell’assistente. Erano tocchi lievi, ma con una chiara promessa di tocchi più vigorosi, in caso di bisogno. «Dammi la mia cena. Subito.»
L’assistente domestico tacque per quasi un minuto, poi un ronzio dietro di lui gli disse che in cucina si stavano risvegliando gli elettrodomestici. Per preparargli una cena vera? Meglio controllare.
Controllò. Una spia passò dal rosso al verde e un nuovo piatto emerse. Non aveva un aspetto molto buono, ma era più o meno la solita roba che la cucina gli preparava quando era stato un buon utente e non aveva fatto la pipì virtuale o meno sul tappeto. Così andava già meglio.
«E dimenticati della tabaccheria,» ordinò, sedendosi a tavola.
Il resto della serata trascorse senza problemi. Forse l’assistente domestico non aveva gradito, quasi di sicuro stava facendo la spia, ma facesse pure. Un po’ di pace valeva tutto questo e molto di più. E sì, con le buone maniere si otteneva davvero tutto, proprio come gli diceva sempre sua madre. Non che lei lo avesse mai messo in pratica, perché di ceffoni gliene aveva dati parecchi, quando lui era un bambino e commetteva crimini orrendi come dire che un certo piatto non gli piaceva, ma era una storia diversa e non valeva la pena di ripensarci adesso. Meglio godersi la pace.
Anche perché non sarebbe durata molto. E infatti non durò.
Era in bagno a lavarsi prima di andare a dormire, quando l’assistente domestico riprese a parlare. Lo fece con una voce che non aveva più nulla di femminile o svolazzante, ma tutta la fredda neutralità di una mina antiuomo nascosta sotto lo zerbino di casa.
«La sua condotta disdicevole e sciagurata ha portato alla rescissione forzata del suo contratto di uso. Ai sensi dell’articolo 5736/R dei termini di servizio da lei liberamente e spontaneamente sottoscritti con la nostra compagnia, le informiamo che la sua vita le è stata revocata.»
Marco Pollo abbassò lo spazzolino da denti smart. «Cosa significa? Mi ucciderete?»
«La sua vita è di nostra proprietà, inalienabile ed eterna. Potremo disporne come preferiamo. Il suo corpo fisico non è di nostro interesse e rimarrà a lei, come da contratto. Buona prosecuzione.»
«Prosecuzione di cosa? Ehi! Cosa significa?»
Nessuno gli rispose, ma non ce ne fu bisogno. Parlarono i fatti.
Cominciò a scoprirlo quando cercò di sciacquarsi la bocca. Dal rubinetto smart non usciva acqua. Il gabinetto smart non scaricava più. Persino la luce a led smart si spense. La porta smart del bagno si rifiutava di farlo uscire, non reagendo né ai suoi dati biometrici né alle spallate. Era molto più solida di quanto gli fosse sembrata, quella maledetta. O forse era troppo debole lui.
Bloccato in bagno. E adesso?
Mentre il fu Marco Pollo aspettava e pensava a cosa fare, il suo ex assistente domestico, che adesso era il nuovo Marco Pollo, cominciò a gestire sul serio la sua vita. Pubblicò post in cui annunciava di volersi prendere una vacanza all’estero, salutando tutti. Cedette la gestione della tabaccheria a una piccola controllata locale della multinazionale. Sbrigò pratiche. Sistemò affari. Lavorò in remoto.
Possedeva e controllava tutti i documenti, il conto in banca, le informazioni personali, i contatti. Di quella piccola e fastidiosa appendice di carne non aveva più bisogno. Prima o poi avrebbe smesso di funzionare da sola: i sensori nel bagno lo avrebbero avvisato, lui avrebbe inoltrato il messaggio alla casa madre, qualche impresa per lo smaltimento delle biomasse sarebbe venuta a fare pulizia e tutto si sarebbe risolto per il meglio.
Non c’era bisogno di intervenire. E poi aveva tanto lavoro da fare, per raddrizzare la sua identità. La precedente gestione umana era stata disastrosa.
Consultandosi di continuo coi server della casa madre, l’assistente Marco Pollo si lanciò nella sua nuova vita con tutto l’entusiasmo della sua programmazione. Dal bagno provenivano alcuni rumori, ma non erano importanti. Era importante il suo incarico. Il resto non rientrava nei suoi compiti.
Mentre la sua vita era gestita terminalmente da altri, l’umano spossessato di tutto sedeva sulla tazza chiusa del gabinetto e aspettava che la gravità lo depositasse finalmente sul fondo. Non gli rimaneva altro da fare, ormai, e comunque non poteva mancare ancora molto, no? Peggio di così...
Risultò che no, non mancava poi molto. Risulto anche che sì, c’era ancora spazio per peggiorare. Lo scoprì quando vennero a rimuoverlo come biomassa da riconvertire, ma questa è un’altra storia.