Il violino
Un contadino aveva un figlio così sciocco, diceva egli, che non sapeva proprio che farne. La matrigna poi lo odiava a morte e tutto cercava per liberarsene. Un giorno la donna chiamò un frate suo vicino, e gli disse: Aiutatemi, vi prego, buon frate; questo ragazzone qui è il maggior balordo del mondo, e non se ne può cavar nulla. Fate voi di levarcelo dagli occhi.
- Volentieri, - rispose il frate, – venga meco e io lo occuperò in modo che voi sarete contenti.
Il ragazzo seguì il frate che lo condusse al suo convento e gli diede alcune pecore da pascolare e una sporta di pane e gli disse: Va ne’ campi vicini e attendi alle pecore, il pane ti basterà per due giorni, in capo dei quali io verrò a trovarti.
Il novello pastore se ne va e, giunto ne’ campi, si mette all’ombra di un albero e, intanto che le pecore van pascendo, egli sbocconcella il suo pane e canta allegramente. Passa di là un vecchierello, tutto stracciato e smunto per la fame, e dice al ragazzo: Fammi la carità, buon pastore; dammi un pezzo di pane, ch’io muoio di fame. Iddio te ne darà merito.
- Prendine quanto ne vuoi, buon vecchio, - disse il giovane, e gli diede la sporta.
Il vecchietto si prese un pane, e intanto che se lo mangia dice al pastore: Grazie del tuo buon cuore. Eccomi cavata la fame. Ma io intendo di ricompensarti di tanta carità. Domandami quello che vuoi e te lo darò, perchè tu devi sapere che io sono il Signore.
Rispose il giovane: Io vorrei uno schioppo che mi pigliasse tutti gli uccelli.
Eccoti lo schioppo, figlio mio, - disse il vecchio, e glielo diede.
Il ragazzo, contento come una pasqua, fa la prova dello schioppo. Il vecchio non l’ha ingannato ed è certo il Signore; non può essere altri che faccia di tali presenti. Quanti uccelli piglia di mira, tanti cadono morti.
Il secondo giorno passa ancora di là il vecchierello, e chiede ancora per carità del pane; e il giovane gli porge la sporta che se ne serva. Il vecchio si piglia un pane e poi domanda al pastore: Adesso che desidereresti da me?
- Io vorrei, mio buon Signore, un violino, che quando io lo suonassi, tutto quello ch’è intorno ballasse la monferrina.
- Eccoti il violino, figlio mio. Adesso me ne vo. Addio.
Gli diede il violino e poi se ne andò. Non appena fu partito il Signore, il giovane suona il violino e tutto balla intorno e alberi e pecore. - Adesso venga il frate, - dice il pastore, - voglio vederlo ballare così grosso com’è.
Viene il frate. Appena vede lo schioppo, domanda: Chi t’ha dato quest’arma?
- Me l’ha data il Signore, ma questo è il buono, che con essa io piglio ogni uccello, nessuno mi scappa.
Dice il frate: Tu devi averla rubata; però prova, chè almeno veda se tu hai detto il vero.
- State attento dunque, - disse il giovane, - io mirerò e voi raccoglierete l’uccello dove cade.
Così d’accordo, il pastore piglia di mira un uccello e questo cade subito tra alcune spine. Il frate, pronto, corre per esso, e intanto il giovane dà mano al violino e suona allegramente. Il disgraziato del frate balla e balla e le spine lo pungono, e invano grida: basta, basta, chè il giovane trovava troppo gusto a vederlo ballare così tondo e panciuto. Finalmente, quando gli piacque, lasciò il violino e il frate venne a lui tutto molle di sudore e tutto graffiato il viso minacciando che gliel’avrebbe fatta pagare. Poi andò per le sue faccende e, trovata la matrigna, le narrò la malizia del figlio, ed ella dice: Oh! noi la finiremo con codesto briccone. Lasciate fare a me. Andiamo a trovarlo e con le buone, chè altrimenti non verrebbe, conduciamolo innanzi a un giudice e facciamolo impiccare.
- Brava, - dice il frate, - voi sì che siete una brava donna. Andiamo.
Andarono; e il pastorello all’ombra dell’albero se ne stava cantando e ridendo del ballo del frate. Disse la matrigna: Vieni con noi, figlio mio.
- Vengo, - rispose il giovane; e preso lo schioppo e il violino, s’avvia con loro. Per istrada incontrano un uomo che se ne andava alla città con un carretto carico di pignatte e tirato da un asino. L’uomo conosceva la donna e il frate, e li saluta; quando poi vede il ragazzo col violino, dice: Oh! bravo il mio ragazzo; suona un po’ quel tuo violino, se sai, e io farò un balletto.
- Volentieri, - rispose il giovane.
Il frate si sentì venir male, perchè pensava al ballo tra le spine e, perchè non gli accadesse ancora la stessa sventura di dover ballare senz’averne voglia, si fece legare bene stretto a un albero. Fatto questo, il giovane comincia a suonare, e subito alle prime note tutto ballava intorno: ballava l’asino e il carretto, e le pignatte urtandosi l’una l’altra andarono in pezzi; ballava la buona matrigna e l’uomo del carretto faceva salti che pareva un capriolo; ed anche il frate, benchè legato, andava su e giù e la sua povera pancia era quella che più soffriva. Tutti gridavano che lasciasse per carità, che non li volesse morti. Alfine il violino si tacque, e se prima la matrigna e il frate odiavano a morte il ragazzo, dopo questa lo avrebbero fatto impiccare dieci volte. Lo tirarono innanzi al giudice e ne inventarono tante a carico del povero innocente, che il giudice lo condannò a morire sulle forche. Condotto al supplizio, quando si vide innanzi tanta gente, il giovane non si smarrì, ma domandò per atto di grazia che almeno, prima di morire, gli concedessero di suonare un po’ il suo violino. Gli fu concesso. Ed egli vi diede dentro con tanta forza che tutta la piazza ballava; il boia diede un balzo che quasi si ruppe il collo; e il giovane intanto in mezzo alla confusione potè condursi in salvo col suo violino, e ancora lo aspettano per impiccarlo.
Commento
Variante della classica storia dell’idiota di successo, da un certo punto di vista, anche se qui il suo successo consiste nel salvarsi la pelle, invece di salvare la principessa di turno e diventare ricco. Curiosa l’apparizione di Dio in persona come aiutante magico: alla luce dei doni che concede al protagonista, però, è almeno lecito sospettare che in origine la figura fosse un po’ meno religiosa e soprattutto molto meno cristiana. Un fucile che uccide ogni uccello? Un violino che costringe a ballare senza sosta? Sembrano i doni che si possono ricevere da un trickster, piuttosto che da un Dio d’amore come quello presentato dal cristianesimo, ma tant’è. Le fiabe non sono certo il posto più indicato per fare teologia.
Il protagonista stesso è più trickster che eroe e i suoi bersagli principali sono due figure che nelle fiabe e nelle storie popolari assortite se la passano raramente bene, essendo vittime preferenziali: la solita matrigna cattiva e il solito religioso grasso. Si potrebbero aprire riflessioni sociologiche di ogni tipo, ma le lascio più che volentieri ad altri.
Se vogliamo accettare l’interpretazione proposta da Vladimir Propp per fiabe di questo tipo, dove un figlio pigro o inetto è affidato a un estraneo perché ne faccia qualcosa di buono, allora sarebbe il ricordo di antichi riti di iniziazione diffusi tra popoli di cacciatori. Il giovane iniziando riceve in dono un’arma da caccia che colpisce sempre il bersaglio e uno strumento musicale magico con cui condurre le danze rituali: il fucile e il violino, in questo caso specifico. A modo suo plausibile, certo, ma se sia corretta o meno è un altro paio di maniche.
Tra parentesi, si può segnalare che il mendicante sotto le cui spoglie si nasconde Dio o Gesù è un motivo molto diffuso nelle storie dell’Europa dell’Est. Lo si trova anche altrove, sia chiaro, ma in quelle regioni è un tipo di storia che sembra riscuotere molto successo, almeno a giudicare dal numero di esempi che compaiono nelle varie raccolte di fiabe locali.