La fante avveduta
Un povero pescatore aveva una numerosa famiglia da mantenere, ed era più dì che non pigliava un pesce, per cui non sapeva dove battere la testa. Un giorno piglia un sacco e una scure e va nel vicino bosco per tagliar della legna e così provvedere alla sua famigliola. Lavora e lavora, lo sorprende la notte. Per tornare a casa era troppo tardi, pensò di dormire sopra un albero e poi al mattino andarsene. S’arrampica su una pianta e vi s’addormenta. All’improvviso un romore, come di gente che cammina, lo desta. Si mette in ascolto; la gente gli passa vicino, e vede che son sette malandrini armati fino ai denti. Tien loro dietro con gli occhi e poco dopo li vede arrestarsi e quello che pareva il capo chinarsi un poco e dire: Apriti, porta; e una porta s’apre, e giù tutti per essa; e dopo una mezz’ora circa fuori ancora l’uno dietro l’altro. Al pescatore parve questa una ben grande maraviglia e gli pareva mill’anni che venisse il mattino per vedere la porta misteriosa. Appena si fece un po’ di chiaro, discese dall’albero e, preso il suo sacco e la sua scure, va verso la porta. Quand’è vicino, dice: Apriti, porta; e questa s’apre ed egli giù per una scaletta. Si trova in una specie di cantina, e l’oro lì era a mucchi come nei granai il grano. Abbagliato dalla vista di tante ricchezze, il pescatore mette le mani sopra un mucchio dell’oro, e ne riempie il sacco; poi sale la scaletta e dice: Apriti, porta; la porta ubbidiente s’apre; e via.
La famiglia, ch’era stata in pensiero di lui, perchè lo aspettava la sera, appena giunto curvo sotto il pesante carico, domanda che cosa gli sia accaduto. Ed egli risponde: Zitti tutti; intanto tu, moglie, prendi questa moneta d’oro; va, compera da mangiare e da bere, chè quasi son morto di fame e di stento. - Mangiano e bevono allegramente e poi il pescatore conta alla moglie e ai figli la storia de’ ladri e della cantina e li prega che per carità non parlino con persona. Poi dice a una figlia: Va da mio fratello e fa ti presti uno staio e gli dirai che ho da misurare del grano. - La ragazza va e reca lo staio; si misurano le monete ed eran tante da far ricchissima una famiglia; e poi lo riporta allo zio. Questi, in quella ch’arrovescia lo staio, sente cader giù qualche cosa che suona e che riluce; s’abbassa e vede ch’è una moneta d’oro bello e lampante. Dice tra sè: Come va questa faccenda? mio fratello non è tanto ricco, credo, d’aver lasciata nello staio una moneta d’oro. Vo’ sapere da lui come sia la cosa. - E va a trovarlo. Gli mostra la moneta; il pescatore dice che non sa niente, ma in maniera che si vedeva aperto che non diceva il vero. E il fratello batte e ribatte, fino a che il pescatore gli narra tutto: Se tu mi terrai secreto, io farò ricco te pure. Ma se qualcuno di noi parla, siam perduti. Andremo domattina, prendi un sacco e una scure. - Così furon d’accordo.
Il giorno seguente i due fratelli s’avviano verso il bosco. Giungono alla porta, il pescatore dice: Apriti, porta; e questa s’apre. Scendono giù nella cantina e insaccano tant’oro quanto ne potevano portare. Fatto questo, escono e promettono di non tornarci più, perchè i ladri ormai dovrebbero accorgersi del furto. Ed avevan ragione. I ladri s’accorsero che qualcuno era entrato nel loro covo, e il capo disse: Provvederò io. Se qualche malandrino crede di venirci a rubare il nostro, venga pure adesso, che se n’accorgerà.
Il fratello del pescatore era diventato ricco col sacco dell’oro, poteva ormai esser contento; ma lo rodeva l’invidia. La famiglia del fratello era assai più ricca della sua, e sempre andava dicendo tra sè: Perchè non andrò io solo alla buca de’ ladri? Il secreto lo so e non ho bisogno di chi m’insegni; quando avrò portato a casa un altro sacco di quell’oro, allora anche la mia famiglia potrà vivere alla signorile come quella di mio fratello. - Con questi pensieri un giorno piglia un sacco e una scure e va al bosco. Giunge alla porta e dice: Porta, apriti; e questa, come al solito, s’apre. Scende e riempie il suo sacco, ma quando fu per uscire voleva dire: Porta, apriti, e non c’era modo che la sua bocca potesse proferir parola. Tenta e ritenta, e sempre invano. Come disperato, gira indietro e avanti, e finalmente, aspettando la sua ultima ora, s’accovaccia in un canto della spelonca. Intanto vengono i ladri e trovano lo sventurato più morto che vivo dallo spavento. Il povero prigioniero s’inginocchia a’ piedi del capo e lo prega e lo scongiura con le lagrime agli occhi, che gli salvi la vita, e poi faccia di lui quello che vuole. Il capo però non s’intenerisce per questo; piglia una scure e fa quattro pezzi del corpo del prigione, e gli appende ai quattro canti della spelonca.
Da più giorni la moglie del morto aspettava il marito. Domanda a questo, domanda a quello, nessuno sa che sia di lui. L’hanno visto andar al bosco con un sacco e una scure, ma non è più tornato. Corre la donna dal cognato pescatore e gli racconta la cosa. Egli s’immaginò subito come dovesse stare la faccenda, e perchè voleva bene al fratello, disse alla donna: Datevi pace, che io farò di tutto per aver notizia del vostro marito e mio fratello.
Il giorno dopo va al bosco e alla porta. Dice: Porta, apriti; e questa s’apre. Scende e, appena entrato nella spelonca, vede ai quattro canti le membra dello sventurato suo fratello; le mette nel sacco ch’aveva portato seco, e poi se ne va. Giunto in paese, chiama un ciabattino e gli ordina di cucire insieme le membra di quel morto, perchè vuol dargli onorata sepoltura. Il ciabattino fa quanto gli è ordinato.
Quando i ladri tornarono alla spelonca e videro che non c’era più il morto, immaginatevi se rimasero come smemorati. Il capo disse: Io non sono uomo se non mi vendico. - Si vestì da galantuomo e andò al paese; si portò dal ciabattino e gli disse: Sentite, buon uomo, sapreste voi cucire le membra di un morto?
- Se io lo so! - rispose il ciabattino, - appena ier l’altro n’ho cucito uno, e credo sia rimasto contento dell’opera mia chi me l’ha commessa.
- Appunto questo io voleva sapere, - ripigliò il malandrino, - e se mi dite dove sta di casa costui, io vi do una bella moneta d’oro.
Il ciabattino prese la moneta d’oro e mostrò la casa del pescatore. - Ma perchè voi non erriate, - disse poi, - giacchè ci volete andare questa notte, io farò così. Con un pezzo di gesso segnerò la porta, e se sbagliate non date poi la colpa a me.
La fante del pescatore verso sera era venuta in sulla porta e aveva visto il segno del gesso. - Che vorrà mai dir ciò? - pensa, e preso un pezzo di gesso segna tutte le porte dell’altre case. Per cui, quando venne la notte, il malandrino poteva ben cercare la casa del pescatore, non la trovò e non c’era il ciabattino che gliela insegnasse. Pieno di stizza, parte di là e torna ai compagni. Dice loro: Ormai so chi m’ha fatto il brutto gioco, e per vendicarmi ho bisogno del vostro aiuto. - Fece venire un carro tirato da due robusti cavalli con su sei botti vuote; in ciascuna di queste fece rannicchiare un compagnone, dicendo loro cosa intendeva di fare: Io entro in paese, domando ospitalità al birbone, ch’è un pescatore. Egli m’accoglie. Quand’è la mezzanotte, io do il segnale con un fischio, e voi saltate fuor delle botti e mettete tutto a ferro e fuoco. Che vi pare di questo piano?
- Benissimo, - risposero tutti.
Verso sera il malandrino, travestitosi da carrettiere, entra in paese. Va prima a trovare il ciabattino, perchè lo conduca alla casa del pescatore. Il ciabattino lo conduce; e quando c’è, picchia. Si fa a una finestra il pescatore: Chi è laggiù?
- Son io, - risponde il finto carrettiere, - un pover’uomo con questo carro di botti d’olio, e non trovo dove alloggarlo per questa notte, chè in paese non c’è osteria. Mi fareste voi il piacere di lasciarmelo mettere nel cortile di casa vostra?
- Volentieri, - dice il pescatore.
Messi in stalla i cavalli e lasciato il carro con le botti allo scoperto, il malandrino fu invitato a cena dall’ospite, e poi se n’andò a letto, ma non s’addormentò, perchè aspettava la mezzanotte. La fante intanto attendeva ad alcune sue faccende. Potevan esser le dieci, quando le venne a mancar l’olio della lucerna. Disse a un altro servo: Facciam così. Qui in casa dell’olio non ce n’è. Discendiamo e caviamone da una botte del carrettiere. - Discesero e la donna ardita montò sul carro e, accostato l’orecchio al cocchiume d’una botte, sentì russare; lo accosta a un altro e sente russare, e così di seguito. Non dice nulla, vien giù e, tirato in disparte il servo, gli conta del russare che ha inteso. Il servo tremava come una foglia. Ma non tremava già la fante. Va in cucina e mette al fuoco il maggior calderone che ci fosse in casa, lo riempie d’acqua, e, quando questa fu bollente, si fa aiutare dal servo e ridiscesa nel cortile, la versa nelle botti. I malandrini non russarono più. Il carrettiere che non s’era accorto del tramestio della fante, alla mezzanotte dà mano al suo fischietto, ma poteva fischiare quanto voleva, che i suoi non erano per isvegliarsi così presto. Non sapendo che volesse dir questa cosa, vien in cortile e trova tutti i suoi compagnoni al mondo di là. S’immagina sia stata la fante e giura che gliela farà pagare a misura di carboni. Attacca i cavalli, e senza dir nè tre nè quattro, va per i fatti suoi.
Alcuni mesi dopo, vestito da gran signore, torna in paese. Compra una casa vicino a quella del pescatore, e comincia a dar grandi feste, pensando: Verrà una qualche volta anche quella traditrice di fante e io la ucciderò. - E infatti una sera la serva domanda ai padroni il permesso d’andar a una festa di quel signore. Glielo dànno, ed ella, vestita sfarzosamente, va alla casa del malandrino. Questi le fa belle accoglienze e poi la invita a ballar seco. La fante accetta, ma, appena vede che il suo compagno di ballo mette una mano in tasca, presta come un lampo, si cava dal seno un coltello e lo caccia nel cuore del malandrino. La novella subito si spande. L’omicida è trascinata a furor di popolo innanzi al giudice, che le domanda la cagione di un tanto eccesso. La fante, franca e calma, risponde ch’ella non merita pena, ma premio, perchè ha ucciso il più micidiale assassino che mai fosse al mondo. Accertata la cosa, è condotta in trionfo alla casa de’ suoi padroni. Questi conobbero che a lei dovevano salva la vita, e da allora in poi la tennero più in conto di amica che di fante.
Commento
Ali Babà e i quaranta ladroni, mi pare ovvio. O almeno, la versione di questa storia raccontata nelle Mille e una notte è di gran lunga la più famosa al giorno d’oggi; che sia anche la storia primordiale da cui hanno avuto origine le sue varianti, però, è tutto un altro paio di maniche ed è una indagine che lascio molto volentieri ad altri, se ne avranno voglia. Qui i ladroni sono solo sette, capo incluso, ma sono più che sufficienti per il ruolo che rivestono.
Possiamo notare che, come spesso accade nelle fiabe, anche stavolta il modo migliore per raccogliere informazioni utili è arrampicarsi sul primo albero che ti capita a portata di mano e passarci la notte: prima o poi qualcuno si fermerà sicuramente lì vicino a svelare un qualche segreto. Ne vedremo altri esempi in seguito. Pure troppi.