L’uccellino dell’oro
C’era una volta un cacciatore che non pigliava mai un uccello. Un giorno mentre andava per il bosco, un uccellino gli svolazza intorno. Egli allunga la mano, lo piglia e se lo reca a casa. A casa che fu, lo mise in una gabbia. La mattina vegnente va a governare l’uccellino e con sua gran meraviglia trova nella gabbia una borsa piena di monete d’oro. E così avviene tutti i giorni, tanto che la povera famiglia del cacciatore cominciò a diventar ricca. Avvenne però che il cacciatore s’ammalò, e diede l’incarico a una sua sorella di governar l’uccello. E ogni giorno nella gabbia si trovava una borsa d’oro. Un dì la giovane esce di casa e incontra un suo vicino orefice. Questi le domanda come fossero diventati ricchi in così breve tempo, ed ella contò la storia dell’uccellino miracoloso. Pochi mesi dopo il cacciatore morì, e l’orefice fece tanto che prese la ragazza in moglie. Il giorno delle nozze lo sposo ordinò al cuoco di mettere ad arrostire anche l’uccellino, chè lo voleva mangiare. Il cuoco uccise l’uccellino, l’infilzò in uno spiedo, lo mise al fuoco e attese al pranzo. Dall’un lato e dall’altro del focolare stavano due piccoli fratelli della sposa con tanto d’occhi guardando l’arrosto. Ed ecco che dall’uccellino si stacca il capo e cade nella cenere, e l’un de’ ragazzi se lo mangia; e poco dopo cade il fegato nella cenere e l’altro de’ ragazzi se lo mangia. Viene l’ora del pranzo ed il cuoco reca in tavola l’uccellino. Come lo sposo s’accorge che mancano il capo e il fegato, domanda chi gli ha mangiati, e il cuoco risponde che son stati i ragazzi. Pieno di rabbia l’orefice grida: Io non voglio più in casa questi ghiottoni, cacciali via subito, moglie mia.
Senza misericordia alcuna i due ragazzi furono cacciati via. Camminarono a caso, senza sapere dov’andrebbero, e verso sera capitano a una casa di poveri contadini. Picchiano l’uscio e domandano l’elemosina. La moglie del contadino si move a pietà, dà loro da cena e poi li mette a letto dicendo: Siate buoni e io vi terrò come figliuoli; domattina vi manderò a scola. - Il giorno dopo la donna va a svegliare i ragazzi, e maravigliando trova tra le lenzuola una borsa piena di monete d’oro. Conta la cosa al marito, ed egli dice: L’avranno rubata. Mandiamo a scola i ragazzi e poi stiamo a vedere. - Il giorno dopo la donna trova ancora una borsa d’oro, e così sempre tutte le mattine. Pensierosa dice al marito: In somma io non so che farne de’ due ragazzi. Son ladroncelli incorreggibili. È meglio che li lasciamo andare, chè alle volte non capitiamo male anche noi. - Piglia i due fratelli e loro dice: Eccovi del pane, andate pure per i fatti vostri. Noi siamo povera gente e non possiamo mantenervi.
I due fratelli partirono di là, e dopo molto cammino, videro un palazzo. Picchiarono e domandarono alloggio per quella notte. I padroni del palazzo, marito e moglie, che non avevano figli, gli accettarono cortesemente, diedero loro mangiare e bere, e assegnarono una stanza ove dormissero. All’indomani, quando furono levati, il padrone li chiama, e dice: Andate ne’ campi e sorvegliate i miei lavoratori. Intanto io penserò di mandarvi a scola, perchè intendo di tenervi come figliuoli. - La fante più tardi andò a rifare il letto de’ ragazzi, e trova una borsa d’oro, e tutta meravigliata corre dalla padrona gridando: Signora padrona, signora padrona, veda, ho trovato una borsa piena di belle monete d’oro sul letto de’ due fratelli.
- Bene, bene, lascia andare, vedremo domattina, li manderò a scola, e, se sono ladroncelli, si correggeranno.
Ma la borsa dell’oro si trovava ogni mattina. Alla fine noiata la padrona delle ciarle della fante, dice al marito: Noi non possiamo con nostro onore tenere in casa quei due ragazzi. Dove vadano a rubare tanto danaro io non so. Già il vicinato comincia a parlare de’ fatti nostri e non si può cucire la bocca alla fante. Sicchè egli è meglio che noi li lasciamo andare con Dio. - Il marito fu contento e, chiamati i fanciulli, disse: Andate nella mia stalla, pigliatevi i due più bei cavalli e partitevi di casa mia. - I ragazzi non se lo fecero ripetere, montarono a cavallo e andarono alla ventura. In sulla sera capitano a una città e vedono una cosa mirabile. Tutta la gente andava loro incontro gridando: Ecco i nostri principi, ecco i nostri principi. - Domandano: Che vuol dir questa faccenda? Ci avete presi in isbaglio. Noi siamo due poveri orfanelli. - Ma la gente in coro grida: Ecco i nostri principi, ecco i nostri principi. - E quelli, che non sapevano se erano desti o se sognavano, dicono: Ebbene, menateci al palazzo, che saremo i vostri principi, giacchè volete così. Furono condotti, e presero possesso dello Stato, e governarono con tanta giustizia, che ancora se ne parla e se ne parlerà per un buon pezzo.
Commento
Il motivo del volatile che ogni giorno produce tesori ricorre in numerose fiabe europee e non solo. Giusto per citare un esempio tra i tanti, possiamo indicare la fiaba numero 195 nella raccolta di Afanas’ev e tradotta in italiano come “La fiaba dell’anitra dalle uova d’oro”. Abbiamo un’anatra che un giorno depone un uovo d’oro e il giorno successivo uno d’argento, rendendo ricca la famiglia che la possiede; su quest’anatra c’è una scritta, che recita “Chi mangerà la mia testa, diventerà zar, chi mangerà il mio cuore, diventerà ricco”; l’anatra è uccisa e cotta, ma i due figli si mangiano di nascosto proprio la testa e il cuore; alla fine della storia, l’annuncio della scritta si sarà avverato.
Sempre nella raccolta di Afanas’ev, la fiaba numero 197 ci presenta una gallina prodigiosa: depone pietre preziose. Sotto l’ala destra c’è una scritta: “chi mangerà la testa, sarà re, e chi mangerà le interiora sputerà oro”. Il resto è grossomodo come la precedente, nonché come la fiaba mantovana in esame qui. Potremmo proseguire con gli esempi, ma ormai dovrebbe essere chiaro il concetto alla base di questo tipo di storia.
Nella fiaba che troviamo qui, però, non ci sono accenni ad alcuna scritta sul corpo dell’uccellino magico, a differenza di quanto avviene di solito. La decisione di ucciderlo e cuocerlo non ha così alcuna giustificazione specifica e altrettanto misteriosa è la scelta dei due giovani di mangiare la testa e il fegato dell’animale arrosto, che per qualche motivo “cadono” di colpo. Ancora più immotivata è la conclusione, dove i due protagonisti passano per un paese e sono acclamati principi perché sì, senza alcuna spiegazione. Mi pare dunque ragionevole ipotizzare che la versione raccolta e pubblicata da Visentini sia corrotta e alcuni elementi siano andati persi strada facendo. Quella che troviamo qui è forse una fiaba rattoppata alla meglio, per colmare lacune che si erano create col passare del tempo, o solo perché quel narratore specifico non se la ricordava bene. Ne esistevano anche versioni più complete? Visentini dichiara di avere trovato più varianti delle stesse storie, ma non ce le ha trasmesse: non sapremo mai come stessero davvero le cose per questa fiaba, dunque.