Adriano - racconti e altro

Il bambino nella scatola

C’era una volta una donna che era amata teneramente da suo marito. Alla fine, dopo alcuni anni, lei gli partorì un figlio. Allora il padre amò suo figlio ancora più di quanto amasse sua moglie. Lei dunque pensò così: «Come era piacevole prima, quando mio marito amava soltanto me! Ma adesso, da quando gli ho dato questo orribile figlio, lui lo ama più di quanto ami me. Sarebbe meglio per me liberarmene.»

Pensando così, aspetto che suo marito fosse andato fuori a caccia di orsi nelle montagne, e poi infilò il bambino in una scatola, che portò al fiume e lasciò galleggiare via. Poi ritornò a casa. Più avanti, suo marito tornò indietro; e lei, con finte lacrime, gli disse che il bambino era sparito – rubato o smarrito, - e che lei lo aveva cercato invano nei dintorni, sia in casa che nei boschi. Il marito si coricò, come per morire di dolore, e rifiutò tutto il cibo. Soltanto alla lunga, quando vide che anche sua moglie restava senza mangiare, cominciò a mangiare un poco, temendo, nel suo affetto per lei, che anche lei sarebbe potuta morire di fame. Comunque, era solo quando lui era presente che lei digiunava. Mangiava a sazietà quando lui non vedeva.

Alla fine, un giorno, non sapendo cosa fare per risollevarlo, lei gli disse: «Guarda qui! Ti distrarrò con una storia.» Poi gli raccontò l’intera storia esattamente come si era svolta, mentre lei per tutto il tempo era nell’illusione di stargli raccontando una vecchia fiaba. Così lui si arrabbiò molto, prese il suo randello, la picchiò a morte e gettò via il cadavere fuori casa. Questo fu il modo che gli dèi scelsero per punirla.

Poi l’uomo, sapendo adesso che le sue ricerche dovevano essere condotte a valle del fiume, partì. Alla fine, dopo aver cercato per un lungo tempo, giunse a una casa solitaria, dove trovò un vecchio dall’aria molto venerabile, una vecchia e la loro figlia di mezza età, e anche un bambino. Lui disse al vecchio: «Sono venuto a chiederti se sai qualcosa del mio bambino, che era stato messo in una scatola e lasciato galleggiare giù per il fiume.» Il vecchio rispose: «Un giorno, quando mia figlia qui andò ad attingere acqua dal fiume, trovò una scatola con dentro un bambino piccolo. Non sapevano neanche se il bambino fosse una creatura umana, un dio o un diavolo. Così era senza dubbio il tuo. Abbiamo tenuto anche la scatola. Eccola qui. Puoi giudicare tu stesso guardandola.»

Risultò che erano la stessa scatola, e lo stesso bambino. Così il padre gioì. Allora il vecchio disse «Rimani qui. Ti darò in moglie questa mia figlia, la mia unica figlia. Vivi con noi finché la mia vecchia moglie e io resteremo in vita. Nutrici, e poi tu erediterai da me.» L’uomo fece così. Quando i vecchi morirono, lui ereditò tutto ciò che possedevano; allora, con la sua nuova moglie e il suo amato figlio, tornò al suo villaggio. Così vedete che, anche tra noi ainu, ci sono donne malvagie.

(Trascritta a memoria. Raccontata da Ishanashte il 17 novembre 1886.)

Commento

Come possiamo vedere, anche gli ainu hanno una versione della storia del bambino chiuso in una scatola (o altro contenitore) e consegnato alle acque, un grande classico della narrativa mondiale, rivisitato svariate volte in chiave mitica, religiosa, agiografica e chi più ne ha, più ne metta. Qui non c’è alcun destino glorioso in attesa del bambino abbandonato, ma la vicenda si combina al tema sempreverde della moglie gelosa, nonché madre snaturata: se è comprensibile una matrigna che odia i figli del precedente matrimonio, è più strano una madre che odia i propri figli, e solo perché il marito sembra amarli un po’ più di quanto ami la moglie. Ma tant’è.

Curioso il particolare della colpevole che accusa se stessa raccontando una storia. Motivi simili li troviamo in svariate fiabe, soprattutto quando c’è di mezzo un riconoscimento: in quei casi, un personaggio racconta la propria vicenda presentandola come una storia inventata, ma chi deve capire che è una storia vera, alla fine, lo capisce e a volte la storia è anche usata per spingere il colpevole a proclamare la sentenza a proprio danno. Qui la colpevole fa tutto da sola, in una forma soft del cuore rivelatore di Poe. Molto meno soft è la reazione del marito, che la bastona a morte, ma sono usanze locali e vanno accettate così come sono: resta comunque una punizione molto interessante inflitta dai kamui, senza dubbio.

Per il resto, una fiaba piuttosto convenzionale, senza sconfinamenti mitici.