La galassia di Madre - 73
A più di un mese locale dall’arrivo su Laozi, camminando piano in un sudaticcio pomeriggio della stagione che da quelle parti passava per primavera, Matteo Kori poteva sentirsi quasi soddisfatto. E piuttosto umido, d’accordo, ma soprattutto soddisfatto. Per una volta sembrava che la sua vita non si fosse messa poi così male come si sarebbe aspettato all’inizio. Il che, da un certo punto di vista, era un pessimo segno: qualcosa prima o poi doveva succedere. Qualcosa di brutto. Per quanto ne sapeva lui, era praticamente una regola non scritta dell’universo, o giù di lì.
Pure, ancora non era successo e Matteo non protestava. Aveva imparato ormai ad accontentarsi di poco, soprattutto perché c’era già da baciarsi i gomiti se riceveva almeno quel poco, figurarsi poi un qualche extra: secondo il suo modesto parere, almeno, ma soprattutto secondo un vago pessimismo vittimista che gli stava ormai diventando una seconda natura, quasi un abito da casa, comodo e pratico, da indossare quando sei da solo e ti vuoi rilassare. Perché la struttura stessa della galassia prevedeva che le cose gli andassero male, specialmente quando Chakra era coinvolto in un qualche modo. Doveva quindi mantenersi pronto, attento, naso alzato a fiutare il pericolo. O giù di lì.
Ma era difficile, quando camminavi tranquillo in un parco, avvolto da profumi abbastanza piacevoli e circondato da perfetti sconosciuti che, nonostante tutto, ti salutavano amabili ed erano sempre più che disposti ad aiutarti, in ogni occasione. E parlavano con un accento alquanto ridicolo, almeno per le sue orecchie, ma era un dettaglio che potevi trascurare nella maggior parte dei casi. Nella minore parte dei casi, invece, bastava rimanere serio fino a che non ti eri allontanato a sufficienza.
Matteo si fermò sulle sponde di un laghetto racchiuso da un basso muretto artistico (era decorato in modo strampalato, aveva una forma diversamente sensata e colori di pessimo gusto, quindi doveva per forza essere artistico), uno specchio d’acqua piatto e non molto limpido su cui si muovevano dei pennuti che ricordavano vagamente anatre, se abbandonavi la vista e ti affidavi soltanto ai suoni che emettevano, oltre che all’odore. Non un piacevole odore. Di tanto in tanto il vento da est gli portava una folata salmastra, con retrogusto di pesce marcio, a ricordargli che il mare era a due passi, ma lì in quel parco, perso nel profumo di pollini vari, non sembrava mare. Sembrava... boh, una qualsiasi località turistica, ma non balneare, perché di marittimo non aveva granché, ma neanche di lacustre o di altri luoghi in cui vai a nuotare o abbronzarti. In effetti, non aveva molto di nulla ma un poco di tutto. Sembrava una città anonima, che mescola facce diverse e si sforza di piacere a chiunque.
Riuscendoci piuttosto bene, Matteo lo doveva ammettere. Chakra lo aveva preoccupato parecchio in viaggio, coi suoi racconti su Laozi, ultimo pianeta colonizzato prima di Madre, che comunque non contava davvero, perché Madre era stata colonizzata direttamente dalla Terra, mentre Laozi era stato colonizzato da altri pianeti già colonizzati. A Matteo non era occorso molto per perdersi nella rete di colonizzazioni ricorsive, ma ne aveva ricavato che Laozi era stato una specie di collaborazione tra più pianeti, che lo avevano utilizzato come cavia per testare certe loro convinzioni su come la vita si sarebbe potuta migliorare in generale e su come nuove società si sarebbero dovute sviluppare più o meno spontaneamente dal basso, sulla base de suddetti miglioramenti alla vita o roba simile.
«Il punto è che è un mondo diverso da Rudra, Lakshmi o dagli altri in cui sei stato,» aveva concluso Chakra, quando l’espressione di Matteo gli aveva incenerito ogni illusione di poter spiegare bene in dettaglio come funzionasse Laozi. «Non ha neppure niente a che fare col vostro Teatro di Oklahoma che state usando voi terrestri per Madre, che guarda è proprio una maniera vecchia, ma vecchia che più vecchia non si può per colonizzare qualcosa. Roba da medioevo, davvero. Comunque dicevo che i coloni destinati a Laozi sono stati prima selezionati e poi modificati, quindi riselezionati e poi rimodificati, e così via per un po’ di giri. Perché un qualche vecchio barbogio di Svarga, insieme a vecchi barbogi di Agni e Indra, si sono accordati, hanno inventato un qualche tipo di teoria su come le cose dovessero funzionare e alla fine hanno fatto modificare tutti gli esseri umani da spedire qui, perché il pianeta diventasse una sorta di grande laboratorio, un mega test, qualcosa del genere. Sai come funziona certe cose, no?»
Matteo non sapeva, ma aveva annuito per quieto vivere. Chakra aveva continuato a spiegare ancora per un poco, ma l’unica parte davvero interessante e comprensibile era arrivata dopo la discesa sulla stazione orbitale, mentre attendevano il proprio turno per essere calati sul pianeta. Una spiegazione che era arrivata assieme a infermieri e personale medico e che aveva preoccupato parecchio Matteo, specie quando era spuntata la parola “sterilizzazione”, unita alla necessità di una semplice anestesia locale, per una piccola operazione da nulla, guarda, neanche te ne accorgi, davvero.
Matteo sapeva delle vaccinazioni, ovviamente. Le aveva già dovute sopportare obtorto collo quando era arrivato su Lakshmi, in un tempo che sembrava ormai lontano mille vite, e si erano ripetute più o meno identiche all’arrivo su Rudra, nella forma se non nel contenuto delle iniezioni. Allo stesso modo sapeva anche della necessità di docce particolari, per rimuovere tutta quella roba che avrebbe potuto danneggiare l’ecosistema locale o quello che era: i dettagli tecnici li lasciava a chi aveva sia una formazione, sia una inclinazione scientifica. Lui, umanista volgare (non perché dicesse molte parolacce, ma perché si considerava parte del vulgus, qualunque cosa fosse da quelle parti e in quei tempi), si accontentava delle balle per i bambini, o delle spiegazioni ad usum delphini, a seconda di come la volevi mettere. Entrambe le attività, vaccini e purificazioni, non richiedevano né anestesie né interventi chirurgici, anche se in almeno un paio di circostanze un’anestesia locale non sarebbe poi stata una cattiva idea. Certa roba che ti iniettavano era un calcio in una tempi e pareva quasi di ricevere una robusta dose sottocutanea di piombo fuso, almeno secondo la sua fantasia e il suo vago amore per le metafore, non avendo mai sperimentato di persona (per quanto ne sapeva) iniezioni di vero piombo fuso, fossero sottocutanee, intramuscolari o endovenose. Ma il punto appunto non era quello delle vaccinazioni, purtroppo.
«Come ti ho spiegato, qui i coloni sono di tipo diverso. Sono una razza selezionata, sai, da tutelare e proteggere con cura, blablabla e palle varie. Quindi, prima di lasciare entrare noi bestie che veniamo da fuori, devono... darci un taglio, ecco,» lo aveva rassicurato Chakra, col suo migliore sorriso che invitava all’aggressione più violenta e incontrollata. Ma non aveva rassicurato molto. Non lo aveva rassicurato per niente, specie quando era entrato il personale medico. Poi c’era stata quella anestesia locale, che l’aveva rassicurato. O almeno gli aveva tolto le sensazioni, che in certi casi è pressoché identico, se ci pensi bene e sei di bocca buona. Matteo non lo era, ma si era dovuto accontentare.
Alla fine, però, tutto si era risolto in forma indolore e senza effetti collaterali che lui potesse notare. Il che continuava a non essere rassicurante, ma così funzionava e non si presentavano alternative, di conseguenza era un classico caso di minestra o minestra, non essendoci neppure finestre. «In fondo, se la guardi col giusto assetto mentale, adesso avrai un problema in meno per la testa. Nonché altre parti del corpo,» aveva concluso Chakra, sempre sorridente.
Il medico aveva poi specificato che era comunque una operazione reversibile e loro stessi avrebbero provveduto a tutto al momento della partenza dei visitatori, se così avessero fatto richiesta. Matteo si augurava che fosse anche vero e non solo un modo per tranquillizzarlo a cose fatte. Non che sotto quell’aspetto avesse urgenze particolari, d’accordo, ma riteneva che funzionare fosse sempre meglio di non funzionare, giusto per sicurezza. Perché non si sa mai, ecco.
Chirurgia a parte, doveva ammettere che erano stati tutti molto cortesi nella stazione orbitale. Anzi, erano stati estremamente cortesi, innaturalmente cortesi, più qualche altro avverbio in -mente scritto in corsivo ed enfatizzato a dovere, per sottolineare il concetto. Nessun essere umano poteva essere così cortese, se non si trovava sotto l’influsso di droghe pesanti, non almeno secondo l’esperienza di Matteo. Pure su Lakshmi, che per molti aspetti era un pianeta cordiale e gentile, la gente non girava con facce da lobotomizzati giulivi o da mangiatori di loto all’ultimo stadio e al penultimo palazzetto dello sport. Erano tutti... pacifici. Amichevoli. E gli davano sui nervi, oltre a sembrare personaggi di un horror, uno di quelli in cui sono tutti amici e generosi fino a che non ti offrono in sacrificio al mostro di turno, oppure ti lapidano in strada o ti sottopongono ad analoghi giochi di società.
Ma non erano mostri. Era un esperimento. La realizzazione di una idea.
«I dettagli non chiederli a me, che studio diritto e di roba scientifica ne so quanto te,» aveva detto Chakra la sera prima della discesa sul pianeta. «Ok, magari un po’ più di te, parecchio più di te, che sei mister Caprone numero uno, ma comunque non è il mio campo, ok? Il punto è che un gruppo di chiarissimi professori o quello che è ha elaborato una qualche teoria e l’ha testata più volte in campi virtuali e simulati, no? Di quelli coi puntini che si muovono frenetici sullo schermo e numeri vari si accumulano in tabelle ai lati. Lo so che non hai presente, ma fai finta. Dicevo, hanno testato le loro teoria in simulazioni varie e alla fine hanno ottenuto di poterle provare anche in campo reale. Qui.»
A Matteo non era sembrato molto incoraggiante, ma neanche molto intelligente. «Un pianeta intero usato come cavia? Mi sembra un po’...»
«Idiota? Anche a me, sì, e anche ad altri. Dopo i fatti di Varuna, però, i governi dei pianeti coloniali si sono un poco spaventati, sai com’è, e hanno cominciato a pensare che qualcosa non funzionava, il sistema attuale non era stabile o sicuro, forse bisognava considerare alternative migliori, palle varie, il genere di cose che tutti i governi dicono, quando da qualche parte c’è merda fino alla mascella ma quella parte non è governata da te e quindi puoi pontificare in pace e a pancia piena. Comunque, dicevo di Laozi. Quando è arrivato il momento di colonizzare questo pianeta, i governi coinvolti temevano che anche il nuovo mondo sarebbe diventato una porcilaia dove tutti si odiano e dove non si possono fare grandi affari. Tipo Varuna, appunto.»
«Che è una porcilaia dove tutti si odiano?»
«Diciamo che è un mondo su cui l’integrazione è andata spettacolarmente male, oltre le previsioni più cupe e pessimistiche. Non che tutti gli altri siano rose e fiori, sia chiaro, pure su Lakshmi ci sono zone in cui non ti guardano molto bene, se provieni da X anziché da Y, ma Varuna è diventato il modello di come non fare le cose. Lì ti guardano male a prescindere; se finisci nel posto sbagliato, poi, puoi stare certo che non ripeterai quell’errore, almeno non fino alla prossima vita, se ce ne sarà davvero una. Mi auguro di no. Comunque, quando un gruppo di esperti, appoggiati da vari istituti di ricerca prestigiosi, dalle migliori università dei rispettivi mondi e da gente con un culo di soldi, si è presentato dicendo di avere una soluzione drastica ma infallibile, nei governi coinvolti nel progetto Laozi si è formata una, come dire, certa predisposizione all’ascolto, unita alla disponibilità a tentare. E poi era per il miglioramento della specie umana, capisci.»
Matteo aveva capito in parte e accettato del tutto, specie perché gli fregava poco. A ogni modo, la soluzione che il gruppo di esperti aveva proposto era stata di accrescere geneticamente l’empatia di chi avrebbe abitato Laozi, qualunque cosa significasse. Fosse come fosse, con tecniche perfezionate su Agni avevano alterato il funzionamento del cervello dei coloni (e non solo, ma la spiegazione si era fatta vaga e comunque non aveva importanza), stimolando alcune ghiandole, addormentandone altre, cose così, e il tutto per renderli più sensibili gli uni agli altri, più uniti, fratelli, ama il prossimo come te stesso, papparapà. Avevano progettato un alveare umano, insomma, o qualcosa del genere, almeno nelle parole di Chakra.
«Il punto è che, se qualcuno sta male, ci stai male anche tu, ok? E questo, nelle vari simulazioni, era sia un deterrente a danneggiare gli altri, sia uno stimolo ad aiutare gli altri. Perché se stanno meglio loro, stai meglio anche tu, ok?»
Matteo aveva scrollato le spalle. «Se lo dici tu...»
«Lo dico io e lo verificheremo noi all’arrivo. Per quanto ne so, finora tutto ha funzionato.»
Lo avevano verificato all’arrivo. Che tutto funzionasse davvero era una ipotesi ancora da dimostrare e probabilmente la sarebbe rimasta ben oltre la fine della loro permanenza su quel pianeta, ma tutto sembrava funzionare, a prima vista, il che poteva anche bastare, almeno per i visitatori occasionali, come loro due. La città ai piedi dell’ascensore era pressoché uguale a tutte le altre città ai piedi dei vari ascensori sui vari mondi colonizzati: posta sull’equatore, principalmente turistica, coi servizi raggruppati in aree ben definite e determinate, innumerevoli modi per mangiarti soldi (elemento che mancava su Lakshmi, vero, ma l’intraprendenza degli abitanti li aveva riadattati a meccanismi per rubarti il tempo, il che li rendeva forse più deleteri), varie ed eventuali. Matteo e Charkra avevano ignorato tutto, almeno su un piano puramente architettonico e utilitaristico, ma non avevano potuto ignorare gli abitanti della città.
Se quello doveva essere un primo assaggio del pianeta, come di solito era, i due nuovi arrivati non lo avevano digerito molto bene. Anzi, diciamo pure che era stato una peperonata come spuntino di mezzanotte, magari dopo una cena a base di polenta e cervo. Tutto era pacifico, d’accorto, e tutti si comportavano in modo molto gentile, estremamente gentile, snervantemente gentile, ma camminare per strada era una gita turistica tra le stanze di una casa protetta, i cui pazienti sono imbottiti in stile catena di montaggio con dosi robuste di psicofarmaci. Pure le loro espressioni erano preoccupanti.
«Dici che torneremo indietro vivi?» era stato il commento poco diplomatico di Matteo, sussurrato in una piazza piena di gente sorridente, beata e imbambolata. Chakra aveva sorriso, alzato le spalle e si era concesso un «Non c’è problema, vedrai. Ne parlano tutti bene,» che era suonato falso anche alle sue stesse orecchie. Fortunatamente per loro, però, si era dimostrato vero.
Parlavano in modo strano e buffo, con un accento che li faceva sembrare perennemente ubriachi, e pareva che la moda locale non conoscesse il significato della parola “varietà”, con abiti dal taglio e dai colori molto, ma molto simili. Erano però tranquilli, niente spintoni o passanti che ostruivano il transito per chiacchierare, sempre pronti a spostarsi o darti indicazioni, se le chiedevi e a volte pure quando sembravi solo avere bisogno di indicazioni, niente file, niente rumori troppo forti, niente di niente che si potesse trovare sgradevole o nocivo. Da un certo punto di vista, almeno. Pareva quasi di girare i una città giocattolo.
Superata la prima fase di culture shock, seguita da una seconda fase di nervosismo generico nonché generalizzato, i due avevano cominciato ad abituarsi all’idea di vivere in una specie di casa di cura larga tutto il pianeta. O quasi tutto: ampie zone erano ancora disabitate e con ogni probabilità non le avrebbero occupare ancora per parecchi anni, decenni, o magari secoli. Non con la scarsa natalità di Laozi, che notavi già dal basso numero di bambini per strada e nei parchi, e ancora più basso era il tasso di immigrazione, considerato che non a tutti piaceva l’idea di doversi sottoporre ad alterazioni piuttosto radicali della propria struttura sia chimica che emotiva. Quanto a chi superava a pieni voti le suddette alterazioni, come richiesto per ottenere la residenza, i numeri diventavano spiccioli o giù di lì e pazienza per chi provava e falliva. Matteo non era riuscito a scoprire cosa succedesse a loro, ma in fondo era un tipo di conoscenza che non aspirava davvero a possedere.
«La mia impressione è che finirà in un nuovo cul-de-sac sociale, più o meno come Lakshmi,» aveva commentato Chakra a quasi due settimane dal loro arrivo. Per allora avevano già raggiunto la città di Shun Yao, dove si sarebbero insediati durante la loro permanenza, e stavano cercando un lavoro, con entusiasmo più o meno nullo. Chakra puntava a uno studio legale, che secondo lui conservava la documentazione della causa a cui era interessato, mentre Matteo era pronto ad accontentarsi più o meno di tutto, con preferenza per lavori non fisici e non disgustosi. Ancora a mani vuote, bevevano e contemplavano le proprie speranze per il futuro, in un locale pacifico della periferia.
«Io comunque non ho ancora capito perché Lakshmi dovrebbe essere un cul-de-sac o quel che è, ma lasciamo stare,» aveva risposto Matteo. «Cos’è che dici di questo posto?»
«Che finirà in un cul-de-sac sociale, appunto. Lo è già, non vedi? Oh, è pacifico, per carità, è tutto tranquillo, tutto a modo, tutto quieto. Tutto morto. Non cominceranno a scannarsi per strada perché un gruppo rompe le uova in un modo diverso dal tuo, d’accordo, ma a parte questo? È un’altra serra di piante grasse, gente che mangia, caga, tromba poco, sopravvive e non combina nulla. Non uscirà mai niente da qui, te lo assicuro io. Niente di buono o utile, almeno.»
«Sei sicuro che le piante grasse siano nelle serre? Perché secondo me...»
«Secondo te e terzo lui. Chissenefrega delle piante grasse. Era per dire. Non ti piacciono le piante grasse? Mettici qualcosa d’altro nella serra, mettici i cactus, mettici le fragole, mettici...»
«Comunque nessuna di quelle mi sembra proprio una pianta da serra, scusa se te lo dico.»
«Fanculo tu e le piante grasse. Dicevo, se mi lasci parlare, che questo posto potrà anche essere più o meno interessante come esperimento, magari dimostrerà le teorie sociali di qualcuno, o farà vincere un premio a qualcun altro, ma come posto è una merda. Avranno anche rimosso la competizione tra gli esseri umani e costruito un posto pacifico, ma senza competizione non c’è neppure evoluzione, e non parlo solo su grande scala. Anche su piccola scala. Devi lottare di continuo contro gli altri per fare meglio di loro, superarli, mangiare o essere mangiato. Che ti piaccia o meno la vita è questa, il resto è solo retorica da pancia piena e pantofole ai piedi, le stronzate che dice chi non ha problemi e si può permettere di pontificare, perché altri hanno ucciso e rubato al posto suo, per riempigli ben bene la dispensa. Se Lakshmi è un asilo eterno, questo è un ospizio eterno.»
«La roba che servono qui è troppo poco alcoolica per i tuoi gusti, vero?»
«Questo non ha alcuna rilevanza. Sto facendo un discorso serio.»
«Però non ti piace perché non è abbastanza alcoolica, giusto?»
«Sì, ok, sembra di bere piscia di gatto e no, non sono solito bere piscia di gatto, è solo per modo di dire, non è un’affermazione da prendere alla lettera e no, non tirarmi fuori un altro dei tuoi imbecilli poeti o quello che sono. Non me ne frega niente. Grazie.»
Matteo aveva abbandonato ogni tentativo di ribattere, limitandosi a sorridere e annuire, mentre il compagno proseguiva con la sua filippica e le sue previsioni più o meno improvvisate sul futuro di un pianeta su cui aveva speso sì e no una quindicina di giorni. Ognuno aveva le proprie fisime e non sarebbe servito mettersi di traverso o discutere. Chakra aveva bisogno di sfogarsi e che si sfogasse pure, purché lo facesse solo a parole. In fondo, a nessuno dei presenti sembrava interessare.
Matteo doveva ammettere che quel posto non lo faceva sentire molto tranquillo, ma non per questo lo avrebbe definito un cul-de-sac. La gente era tranquilla, educata, sorrideva, ti salutava, pacifica e un poco bovina, d’accordo, ma nessuno era perfetto, no? Certo, la sensazione di vivere in un horror non lo avrebbe probabilmente mai abbandonato del tutto, ma era convinto di potersi abituare, prima o poi. Avrebbe aiutato se la gente attorno a loro avesse fatto anche qualcosa che sembrasse normale, come buttare immondizia per terra, magari concedersi qualche licenza linguistica dopo aver sbattuto da qualche parte o dopo essere inciampati, un segno qualunque che li facesse sembrare veri e non solo manichini, ma... Ma erano cordiali, a modo loro, e anche ospitali. Il che era un buon inizio.
Un proseguimento migliore era arrivato due giorni dopo, quando Matteo aveva trovato un posto da collaboratore linguistico e culturale in un istituto privato. Avrebbe insegnato la lingua e la cultura terrestre, o almeno aiutato a insegnare, in un ruolo che era più o meno equivalente a quello di lettore temporaneo, quasi supplente. Etichetta abbastanza generica sotto cui poteva nascondersi di tutto, ma il primo colloquio gli aveva chiarito le idee e la prima lezione le aveva cementificate lì dov’erano: il suo ruolo effettivo era di aiutare con le conversazioni e roba simile. Noioso ma tranquillo, come lo era tutto il pianeta, da un certo punto di vista.
Meno piacevole era stato poi scoprire che la classe era costituita da persone che, in media, avevano più o meno il triplo dei suoi anni, a occhio, ma questo era inevitabile, secondo il professore titolare: la Terra era interesse soprattutto per i meno giovani e comunque in città non è che la gioventù fosse poi così abbondante, per cui ci si doveva adattare. Matteo si sarebbe adattato. Un tempo aveva quasi sognato di diventare insegnante, o almeno si era augurato di poter trovare un lavoro tranquillo come quello di insegnante (tranquillo secondo la percezione che lui ne aveva, non secondo osservazioni concrete e verificabili della realtà, beninteso), con cui mantenere se stesso e la sua famiglia. Poi la sua famiglia era svanita e con essa ogni residua ambizione e si era ritrovato a galleggiare nel nulla, annegandosi tra le immensità che si sentiva attorno. Un poco di insegnamento, magari, gli avrebbe restituito qualche idea, uno straccio di obiettivo da inseguire. Chissà.
In termini molto più concreti e impellenti, il lavoro gli avrebbe portato soldi, di cui avvertivano una stringente necessità. Il costo della vita era schifosamente alto, su Laozi, e i cibi più a buon mercato li avrebbero probabilmente spediti in ospedale a breve termine, se non si fossero potuti permettere un menu più variegato e salutare. Così Matteo aveva cominciato la propria avventura da lettore e un poco più tardi anche Chakra aveva arpionato qualcosa presso lo studio legale, anche se non aveva voluto scendere nei dettagli e spiegare che genere di lavoro avesse trovato.
«Non è quello che cercavo io, ma è un inizio. Un modo per infilare i piedi sotto al tavolo,» era stata la sua sola dichiarazione. Matteo l’aveva accettata con una scrollata di spalle. Così era cominciata la loro vita ufficiale sul pianeta, dopo il primo periodo turistico. Quanto sarebbe durata? Solo Chakra lo sapeva. Fino a che non fosse riuscito a raccogliere i documenti sul caso che gli interessava, quel fantomatico processo Arunachalam su cui stava facendo una tesi o roba simile. A Matteo non poteva fregare di meno. Avrebbe pensato a insegnare, per adesso.
E il per adesso lo aveva condotto lì, coi gomiti appoggiati al muretto artistico, a fissare il laghetto di acqua grossomodo stagnante su cui galleggiava, o si lasciava trasportare, o nuotava, o quel che era, un gruppetto di quasi-anatre, o almeno di robi pennuti che emettevano versi simili ad anatre stonate, ammesso e non concesso che esistano anche anatre intonate. Lui non ne aveva mai sentite, ma in fondo non è che avesse mai stretto amicizia con pennuti di alcun genere. Oh beh, c’erano di sicuro posti peggiori dove finire: l’allevamento di animali iperdefecanti in cui aveva lavorato su Rudra, per esempio. Era saggio accontentarsi.
Matteo si accontentava, pur non ritenendosi un saggio. La città di Shun Yao era gradevole, sebbene si sforzasse un po’ troppo di esserlo, e la gente era gradevole, sebbene tendessero alla lunga a darti sui nervi con le loro mille cortesie e mille premure: pareva di vivere con una madre che ti segue e ti insegue ovunque, per sospingerti gentilmente verso ciò che è bene per te. Perché lei sa sempre ciò che è bene per te, anche quando tu non sei d’accordo. Soprattutto quando tu non sei d’accordo. Non era come vivere di nuovo con Sharma, ma... sì, la direzione generale era quella. Pure, se ti sforzavi di assumere un atteggiamento più positivo, la vita lì era buona.
Come un fiore finto in un vaso di fiori finti, già.
Matteo sospirò. I pennuti nel laghetto si stavano esercitando in qualche tipo di nuoto sincronizzato, infilando tutti assieme la testa sott’acqua, agitando un poco la coda (o ciò che sembrava una coda), per poi riemergere e dirigersi in formazione verso un nuovo punto, dove ripetevano il processo. Uno due tre quattro, testa sotto e culo sopra, uno due tre quattro, testa sopra e cambio. Eccetera. Erano a modo loro rilassanti. Più piacevoli che guardare troppo a lungo la gente. Finivi sempre per sentire il bisogno di verificare che la porta fosse ancora aperta, anche quando non c’erano porte. Ma cercavi la porta dell’anima, quella che ti avrebbe permesso di fuggire dalla gentilezza compulsiva di Laozi. O qualcosa del genere, ci siamo capiti.
Cosa stava combinando Davide? Il pensiero lo sorprese, come una colite che ti fulmina mentre stai aspettando il treno, sistemato lungo il binario in mezzo a dieci o cento altri viaggiatori, indifferente a loro come loro sono indifferenti a te. Aveva cercato di mantenere il fratello ai margini del proprio orizzonte cerebrale, sia prima di partire che durante quell’anno sabbatico in giro per la galassia (per modo di dire: avevano visto due città su due pianeti e tutto suggeriva che non ci sarebbe stato altro), e c’era riuscito per la maggior parte del tempo, ma di tanto in tanto la bolla di gas raggiungeva di nuovo la superficie e liberava nell’aria una zaffata fetida di fondali e decomposizione. Davide, che a casa aveva frequentato un gruppo di terroristi scalcagnati e poi era fuggito su Madre, nascosto non molto bene dietro una falsa identità che a quanto pare conoscevano tutti, dato che a parlargliene era stato un funzionario dell’ambasciata terrestre su Lakshmi. Davide, dal cranio pieno del vuoto gelido e sconfinato dello spazio, a giudicare dalle sue azioni. O forse no, forse aveva materiale organico di scarto, sempre a giudicare dalle sue azioni.
Come se la starà cavando su Madre? Era un pianeta su cui erano successe parecchie cose di recente, almeno in base a quanto aveva sentito ai notiziari ufficiali. No, riformuliamo: era un pianeta su cui avevano trovato diverse cose di recente. Successo no, non era successo proprio un bel niente, là: se ti dovevi fidare dei notiziari, e poiché Matteo si doveva fidare dei notiziari, per carenza completa di alternative,Madre era la noia personificata, un mondo primitivo e squallido su cui edificavano case, coltivavano, tiravano a campare. Ma c’erano stati altri, prima degli umani, e gli inquilini precederti si erano lasciato dietro diversi oggetti curiosi, o roba simile. La notizia più recente era di un sasso, o un qualche tipo di monumento artificiale, che apparentemente assomigliava a un altro trovato su un altro pianeta. Matteo non aveva ascoltato molto, ma pareva che gli archeologi fossero interessati.
Oh beh, Davide di sicuro non c’entrava. Lui sarà probabilmente in giro a divertirsi, per quanto ci si possa divertire su un pianeta primitivo e brullo. Magari starà facendo qualche danno e tirando scemi gli amici, se ne ha trovati e se non lo hanno già scaricato in un fosso. Niente che lo riguardasse, in ogni caso. Certo, prima o poi forse sarebbe andato su Madre anche lui, non proprio per cercare quel cretino di suo fratello, ma per dare una occhiata al pianeta, scoprire come fosse, cose così. Ma era in ogni caso un prima o poi lontano nel tempo, attività da annotare per un futuro distante, magari dopo aver deciso cosa fare con la propria vita, come diceva Chakra, ed essersi sistemato da qualche parte.
E quello era un discorso delicato.
Non solo Matteo non aveva le idee chiare, il che già sarebbe stato negativo. Lui le idee non le aveva proprio, né chiare né scure. Insegnare non gli dispiaceva poi così tanto, almeno nella versione assai limitata che aveva sperimentato in quel primo periodo da lettore, ma non è che gli piacesse davvero. Era un meno peggio, un ripiego, un piuttosto che niente. Un modo per mantenersi.
E lì tutto si ingarbugliava. Un modo per mantenersi. Lavorare era fondamentalmente questo: solo un modo per mantenersi. Certo, alcuni vi trovavano soddisfazioni personali, si immaginavano di poter realizzare se stessi, questo e quello, pappappero, ma una volta raschiata via tutta la feccia, una volta che arrivi al nocciolo della questione, il lavoro è solo un modo per mantenersi, equivalente moderno e approssimativamente evoluto dell’andare a caccia per avere carne da mettersi sotto i denti. Tutto il resto era fuffa, per autoconvincersi di stare facendo qualcosa di puro, sano, bello e nobile, quando di fatto stai solo soddisfacendo una necessità di ogni essere vivente, qualcosa come andare in bagno.
Lakshmi abbatteva il castello di carte. Su Lakshmi non era necessario lavorare per mantenersi. La quasi totalità del lavoro era automatizzato e rimanevano solo i pochi ruoli che richiedevano ancora una presenza umana. Ma non era un problema, perché anche i benefici dell’automatizzazione erano divisi tra tutti: le macchine lavorano e gli uomini mangiano. Grossomodo. Il discorso era molto più complicato, ma Matteo preferiva fermarsi all’essenziale, che poi era anche l’unica parte che capisse e su cui si sentisse di potere esprimere un parere qualsiasi. Il punto era che, continuando a vivere su Lakshmi, lavorare non sarebbe stata una necessità, non per lui. E dunque?
E dunque fissare un gruppo di sgorbi che sguazzavano nell’acqua non lo avrebbe aiutato. La vita è tua, decidi cosa farne: così gli aveva detto Chakra, grossomodo, e quel viaggio doveva aiutarlo in teoria a prendere una decisione. Fra le altre cose. Era soprattutto il viaggio che Chakra aveva voluto per raccogliere materiale e divertirsi, a dire la verità, ma incidentalmente poteva e magari doveva anche servire per chiarire le idee a Matteo. Sotto quel punto di vista non stava funzionando.
Pazienza. Aveva ancora mesi da spendere su quel pianeta, mesi per pensare, e non c’era bisogno di andare di corsa, affrettarsi e tutto il resto. Poteva procedere del suo passo. In ogni caso, al ritorno su Lakshmi avrebbe ritrovato l’università ad attenderlo e il suo corso di laurea in letteratura che, a dire la verità, adesso non sembrava più così interessante come gli era apparso più di tre anni prima, sulla Terra, quando aveva deciso di lanciarsi in quell’avventura su un altro mondo, ma era comunque un corso, ossia qualcosa da fare per tenersi occupato, e lui lo avrebbe portato a termine. Dopodiché... ci avrebbe pensato poi. Il bello del poi era che avevi sempre un nuovo poi a cui rimandarlo.
Su quel profondo pensiero filosofico, che rifletteva un approccio alla vita assai discutibile ma certo diffuso nell’umanità tutta, Matteo Kori si staccò dal muretto, voltò le spalle allo spettacolo piuttosto deprimente di pennuti che si divertivano in acqua e si incamminò di nuovo attraverso il parco, tra i cenni e i saluti della gente che lo incrociava. Salutavano sempre, su Laozi, anche se non ti avevano mai visto, anche se tu non li salutavi in risposta. Era gradevole, se assunto in dosi moderate, ma alla lunga tendeva anche a diventare snervante. Ti faceva sentire al centro del palcoscenico, anziché una piatta e blanda comparsa sullo sfondo, magari il terzo albero da destra o il vaso di fiori sul balcone, che era il normale stato di cose per una persona di poco interesse quando girava per strada.
Una cosa che Matteo non notò era come lo sguardo della gente lo continuasse a seguire anche dopo il suo passaggio, almeno per un poco. Fissavano la sua schiena, lo osservavano procedere fino a che non era sparito dietro un angolo o si era allontanato per almeno venti metri, dopodiché tornavano ai propri affari, di qualunque tipo essi fossero. E se anche lo avesse notato? Era più o meno ciò che facevano le vecchie comari in ogni parte del monto e probabilmente in ogni parte della galassia, se ti limitavi almeno a quelle parti di galassia che avevano sviluppato un analogo delle vecchie comari. La più comune delle scene, per chi si trova per strada ed è cresciuto in un piccolo centro, niente più di un buco tra tanti in una zona periferica della Terra.
Il giorno dopo ebbe lezione, nella sua classe piena di giovani del passato. O relativamente piena, se volevi essere pignolo. Erano una ventina, distribuiti in una fascia di età che spaziava tra attempata zia nubile e nonno incartapecorito ma non ancora mummificato. Non una compagnia che servisse a riempirlo di entusiasmo e gioia di vivere, ma un gruppo cortese, interessato e a modo suo persino abbastanza vivace, una volta detratta l’età e la natura vagamente amorfa e catatonica che ogni tipo di entusiasmo pareva assumere su quel pianeta. Ma facevano domande, partecipavano, ascoltavano e a volte richiedevano racconti della vita sulla Terra, insomma erano una buona classe per un pivello con esperienze di insegnamento pari a quelle che un mitilo può possedere sull’alpinismo.
Pure, continuava sentirsi a disagio.
Era come parlare a manichini. Manichini ben progettati, per carità, capaci di emulare un umano in quasi tutti i dettagli, ma... quasi, appunto. Restava sempre qualcosa che te li faceva apparire come innaturali, quasi repellenti. Il che era stupido, perché erano tutti cortesi e accoglienti, ma era anche sensato, se ci pensavi bene. Perché erano innaturali, dopotutto. Il loro comportamento non era nato per conto proprio, ma era stato pianificato da altri. Almeno in partenza, d’accordo. E all’arrivo?
Mentre si districava tra le gioie della consecutio temporum nelle interrogative indirette, con occhio di riguardo al congiuntivo ormai di fatto estinto, Matteo si ritrovò a domandarselo, indirettamente. Come funzionava davvero l’esperimento che avevano voluto mettere in scena sul pianeta? Non che avrebbe capito molto, se mai qualcuno gli avesse spiegato i dettagli tecnici, ma gli sarebbe piaciuto saperne di più. Magari avrebbe smesso di fissare quella gente come se fossero zombie di un film horror di serie esse o dintorni. Magari avrebbe cominciato ad apprezzare realmente la cortesia e la placida accoglienza con cui si comportavano sempre e comunque. Magari.
Poi quella sera rientrò all’alloggio e scoprì che Chakra si era portato a casa un ospite inaspettato, ma non particolarmente malvenuto. Era una sua collega di lavoro, disse, e si trovava su Laozi già da un paio di anni, con una mezza idea di restarci definitivamente, mentre l’altra mezza era di fuggire non appena possibile. Posizione con cui Matteo credeva di poter concordare. Ciò che avrebbe scoperto solo più tardi, e su cui non credeva di poter concordare del tutto, era che quella donna sarebbe stata parte del piano di Chakra per recuperare i famosi e famigerati documenti del processo. Ma tutto ciò sarebbe appunto arrivato più tardi ed è un’altra storia, che vedremo poi.
Una storia che avrebbe anche concluso il dubbio se restare o fuggire.