Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 82

«Sì, come le ho detto, suo fratello Davide Kori risulta al momento scomparso. Non disperso, non al tempo dell’ultimo messaggio che abbiamo ricevuto da Madre, quantomeno: non posso escludere un eventuale aggiornamento, nel frattempo, ed è possibile che avremo maggiori informazioni da darle più avanti, ma le ripeto che al momento suo fratello risulta solo scomparso, non disperso. Stando al comunicato, il signor Davide Kori, che sul pianeta si identificava come Bruno Kitzis, si sarebbe recato in vacanza in una località balneare assieme ad alcuni colleghi. Al termine del soggiorno, per ragioni non chiare, avrebbe deciso di trattenersi in loco per un giorno in più assieme a un collega, mentre gli altri rientravano in città. Da allora non sono giunte più sue notizie. Anche questo collega che si sarebbe fermato con lui risulta parimenti scomparso. Questo è quanto le possiamo dire.»

Matteo Kori fissò il funzionario con l’espressione di un gatto sorpreso al centro della strada dai fari di un’auto in arrivo. In rapido arrivo. Una parte della sua mente si sbracciava per segnalargli che il tizio seduto di fronte, a parlargli del Davide desaparecido, era lo stesso che si era presentato quasi due anni prima a Nuova Kalighat assieme a un altro collega grosso, o un collega che al momento lui ricordava come grosso. Lo stesso, sì: non vedi? Non ricordi? Quella porzione di mente proseguiva speculando sulla bizzarria della coincidenza e sul fatto che forse non era una coincidenza, forse il tizio era interessato a lui, al suo caso, oppure aveva contatti con Madre, dato che riferiva sempre notizie da Madre (ma sempre? O solo quando le riferiva a lui? E poi due casi valevano come sempre?), o magari chissà, magari c’era un reparto dell’ambasciata che si occupava di ogni altro pianeta. Uno per pianeta. Qualcosa del genere. Plausibile, eh? Che ne dici? Ehi, sono qui, guardami! Ascoltami! Rispondimi! Ti prego! Non startene lì a fissare il vuoto a bocca aperta.

Un’altra parte della sua mente osservava una scimmia che suonava il sassofono. Una scena alquanto curiosa e del tutto inesplicabile, o così gli pareva. Perché aveva una scimmia dentro la testa? E perché suonava proprio il sassofono? Anzi no, non una scimmia: un macaco. Ecco, già, un macaco. Pensa al macaco, che ti fa bene alla salute. È sano. È sicuro. Non pensare a quell’idiota di Davide, il fratello che era l’ultimo superstite della tua famiglia e che adesso pare svanito nel nulla, o qualcosa del genere. Svanito mentre era in vacanza. Su Madre. Assieme a un collega. Puff!

Il funzionario si schiarì la gola. «Sì, capisco che la notizia possa averla turbata un poco, ma come le dicevo non è il caso di allarmarsi troppo, per il momento. Segnalarle la sparizione di un familiare è prassi comune, praticamente una routine, ed è qualcosa che siamo tenuti a fare, per legge. Tutto ciò non significa che ogni segnalazione di scomparsa sia necessariamente qualcosa di grave, ecco. Non la stiamo informando di un decesso. Un buon numero di questi casi si risolve da solo, senza nessun problema e senza allarmi. Persone che si lanciano in esplorazioni avventurose in ambienti ancora in parte da addomesticare, escursioni non segnalate in zone ancora da antropizzare, cose così. Spesso è addirittura un problema che si è già risolto per il meglio quando uno di noi riferisce la notizie per la prima volta. Questione di ritardi inevitabili nelle comunicazioni tra pianeti, sa. A volte, aha, a volte informiamo un genitore che il figlio è sparito durante un safari attraverso, che so, attraverso la zona subtropicale di Indra ed ecco che, proprio il giorno dopo, arriva una segnalazione dall’ambasciata di Indra che il giovane è stato ritrovato da una settimana ed è già tutto risolto, sa. I tempi morti sono e resteranno sempre un problema, quando si deve comunicare da un sistema solare all’altro.»

Il funzionario sorrideva amichevole e gesticolava con una mano, tutto espansivo, tutto sereno. Non lo ricordava così, a Nuova Kalighat, ma in fondo non è che Matteo ricordasse poi molti dettagli, non a distanza di due anni e soprattutto non con la dose di fifa che aveva avuto addosso allora, quando si aspettava di tutto, purché il tutto fosse negativo e sgradevole. Il baffo che lo pedinava, e la storia di Kemala, e poi e poi. Tutto risolto, tutto svanito, tutto lontano. Adesso c’era soltanto Davide, pure lui lontano e pure lui svanito, ma non ancora risolto. Cosa aveva combinato stavolta? Matteo lo chiese, o quantomeno bofonchiò una domanda vaga.

«Beh, ancora non ci è molto chiara la dinamica degli eventi,» spiegò il funzionario. «A segnalare la sparizione sono stati i colleghi di lavoro che erano in vacanza assieme a lui e che sono rientrati con un giorno di anticipo, anche se, nella loro versione, è suo fratello che sarebbe dovuto rientrare con un giorno di ritardo, assieme appunto a un altro collega. Ma non sono rientrati, quei colleghi hanno atteso ancora un poco e alla fine ne hanno notificato la scomparsa alle autorità. Le risparmio tutta la trafila burocratica, perché al momento non ha rilevanza per il caso in questione, ma ci sono state più ricerche, almeno a quanto ci comunicano da Madre. Purtroppo nessuna di queste ricerche ha ancora dato esito positivo, per quanto ne sappiamo. Non è del tutto insolito, sia ben chiaro, e non è il primo caso: la vita di coloni è dura, soprattutto su un mondo ancora fresco e carico di possibilità come lo è Madre, e non tutti si sanno adattare bene all’ambiente. Di tanto in tanto può accadere che qualcuno, come dire, decida di cambiare aria in fretta e magari si, ehe, si dimentica di segnalare il cambio di residenza, sa, e alla fine lo ritroviamo qualche anno dopo su un altro mondo, quando magari si è da poco messo nei guai e ha bisogno di una mano dall’ambasciata terrestre più vicina. Capita, sa.»

Matteo annuiva, o almeno faceva rimbalzare la testa su e giù. Il macaco dentro il cranio gli suonava ancora il sassofono, ma aveva cambiato tonalità, o qualunque altra cosa si cambi col sassofono: non era esperto di musica, ma al momento gli sembrava che la parola tonalità potesse andare bene, tanto più se lo aiutava a non pensare a ciò che avrebbe dovuto pensare davvero. Per quello c’era tempo. Per ogni cosa c’è sempre tempo, fino a che non muori e di tempo allora non ce n’è più, ma in fondo a quel punto non ha nemmeno più importanza. Davide era scomparso. Assieme a un collega.

«Chi è il collega? Beh, non le possiamo fornire molte notizie sul suo conto, lo sa, è una questione di privacy e la privacy conta anche su Lakshmi, almeno per chi non è su Lakshmi, aha, ma posso dirle che quel collega era registrato come il responsabile del loro gruppo di lavoro. Non proprio molto responsabile, se guardiamo come è andata a finire, ma questo era il suo ruolo, anche se non le saprei spiegare bene in cosa consista. È un modo in cui sono suddivise le squadre di lavoro su Madre, per quanto ne so io, almeno tra i lavoratori non specializzati. Comunque, il punto è che suo fratello, per una qualunque ragione, ha deciso di trattenersi un giorno in più nella località balneare in cui erano in vacanza e si è trattenuto in compagnia del responsabile del suo gruppo. Dopodiché nessuno li ha più visti, o almeno nessuno dichiara di averli più visti, il che non è proprio la stessa cosa, lo so, ma è la sola cosa che io le possa dire al momento, mi creda.»

Il macaco nella testa di Matteo continuava col suo sassofono, ma sullo sfondo era apparso anche un bambino in altalena, che dondolava allegro, o almeno esibiva una espressione che, volendo, potevi considerare allegra. Dondolava al ritmo del sassofono, grossomodo. E Davide era sparito, mentre si trovava in vacanza su un pianeta che aveva raggiunto sotto falso nome, dopo essersi messo nei guai, in un qualche modo, con una presunta organizzazione terroristica terrestre. Aveva senso? No, ma in fondo neppure il macaco e il bambino sull’altalena avevano senso, per cui in un certo senso (ma che non c’era, si badi bene), tutto aveva un senso. Giusto? Makes sense in contest.

Davide era sparito. Non disperso, bada bene, ma scomparso. Non si avevano sue notizie. Non si era più messo in contatto, fatto vedere, quello che era. Non lo trovavano, insomma. Era rimasto indietro ed era sparito assieme a un collega. Un collega di lavoro. Il responsabile del suo gruppo. Ma era un collega di lavoro davvero, oppure era un altro ex terrorista transfuga o come cavolo si chiamavano? Ed erano rimasti indietro per turismo, per voglia di avventura, o per... O per: completate pure come ritenete più opportuno, cari pensieri miei. Matteo non capiva. Il che non rappresentava una novità o una sorpresa, ma in quel particolare caso era anche qualcosa che non gradiva, perciò chiese. Chiese di quel misterioso collega, compagno di avventura o sventura, o magari anche iattura.

«Lui? Beh, come le ho detto non le posso rivelare molte informazioni personali, per una questione di privacy, ma la privacy è soltanto uno dei motivi, se proprio lo vuole sapere. Il problema è che non ci hanno fornito molte informazioni in generale da Madre. Non saprei spiegarle il perché, davvero, è un piccolo mistero anche per me, mi creda, ma... è così. A ogni modo, per quanto ne sappiamo era, o forse è meglio dire è, perché dovrebbe esserlo ancora, non ci auguriamo certo che gli sia successo qualcosa di male, sia ben chiaro, a ogni modo è un meccanico non specializzato poco più grande di suo fratello. Qualunque cosa intendano per meccanico non specializzato, questo proprio non glielo saprei spiegare, utilizzano etichette così curiose, quelli del Teatro, per catalogare il personale umano che raccolgono. Comunque, per quanto ne sappiamo, lui e suo fratello avevano un ottimo rapporto: di amicizia, suppongo lo si possa definire. Direi che è per questo che nessun collega ha trovato strana la loro scelta di fermarsi un giorno in più per un qualche tipo di esplorazione. Da cui poi però non sono tornati e questo sì che lo hanno trovato strano.»

Lo trovava strano anche Matteo. Non tanto quanto trovava strano l’atteggiamento del funzionario, quel Clofent o come cavolo si chiamava, che se ne stava lì tutto rilassato e ridanciano, a parlare come se fossero insieme al bar, ahaha, ora ti faccio una battutina, guarda che spiritoso che sono, ma che divertimento, siamo proprio amiconi, bevi bevi. Non era stato così a Nuova Kalighat. È vero, al momento non ricordava molto bene come fosse stato durante il primo incontro e questo lo abbiamo già detto, ma era pressoché sicuro che si fosse comportato da persona seria. Da funzionario, non da compagno di bisboccia. Quindi c’era qualcosa che non andava. Di sbagliato. Era ovvio. Doveva pur esserci qualcosa che non andava, perché altrimenti significava che lui adesso era rimasto davvero il solo componente della famiglia. Un nucleo familiare composto da una cellula sola. Un’ameba, aha.

Qualunque cosa fosse a non andare, ammesso che ci fosse qualcosa, era chiaro che non lo avrebbe saputo da quel funzionario, che rideva, scherzava, sminuiva, e che a momenti...

«Chi lo sa, potrebbe anche essere stata una fuga di amore, eh? O magari anche un doppio suicidio di amore, una cosa molto medievale, vecchio stile, vecchissimo stile, aha. Ma sicuramente no, vedrà, è sicuro che stiano ancora bene, tutti e due, o almeno suo fratello, già. Informarla, comunque, era uno dei nostri doveri e le assicuro che la manterremo informata, nel caso ci fossero nuovi sviluppi. Beh, nuovi sviluppi ci saranno quasi di sicuro, no? Voglio dire, nel peggiore dei casi, ma non succederà, suo fratello sarà dichiarato disperso e in quel caso la informeremo non appena ci sarà comunicata la notizia da Madre. Il che comporterà un poco di ritardo, lo so, ma le trasmissioni tra i sistemi solari sono quello che sono e non ci possiamo fare niente, purtroppo.»

Ecco, appunto. Ci mancava giusto la battuta sulla fuga d’amore col collega. Che in altre circostante Matteo avrebbe anche potuto considerare, almeno per un paio di secondi, ma non certo in quel caso e non con un macaco che gli suonava il sassofono in testa. Il bambino aveva abbandonato l’altalena, forse richiamato a casa dalla mamma. Oh beh, non c’era altro da aggiungere, no? O meglio, avrebbe avuto qualcosa da aggiungere, volendo, ma mollare un pugno a un funzionario di ambasciata poteva essere una pessima mossa e comunque era più che probabile che avrebbe sbagliato mira, imbranato com’era. Così Matteo si alzò, ringraziò, salutò, strinse la mano, uscì, non necessariamente in questo ordine perché la confusione mentale non lo aiutava a coordinarsi. Comunque, missione compiuta.

Il resto del gruppo era radunato e in parte stravaccato (la parte che si chiamava Chakra) nella sala di attesa, o nella stanza che faceva funzione di sala di attesa in un’ambasciata. Probabilmente aveva un altro nome, ma sicuramente Matteo non lo conosceva, né gli interessava. Come diceva Shakespeare, una rosa puzza qualunque sia il suo nome, giusto? E se non stai attento quando la raccogli, ti pungi e bestemmi qualunque sia il suo nome. A Matteo l’odore dei fiori faceva sempre pensare ai cimiteri, quelli chiusi, fatti di pareti imbottite di lapidi e casse, documenti biologici incasellati con cura nello schedario malinconico dell’ufficio che fu. O qualcosa del genere. Ma i fiori non contavano, adesso: contava il resto del gruppo, e Sharma che si alzava e gli veniva incontro, con la faccia da stitico.

«Allora? Buone o cattive notizie?»

Matteo alzò le spalle, ma adagio. «Non buone, ma non necessariamente cattive. Non nell’immediato o nel... quello che è.» Agitò una mano nell’aria. «Notizie, ecco.»

«E intendi condividerle con noi, oppure sono un segreto di famiglia?» chiese Indira, che si era unita al minicrocchio, ma senza faccia da funerale o altro.

Matteo alzò di nuovo le spalle, una manovra che gli riusciva sempre molto facile e confortevole, poi condivise. Per quello che c’era da condividere. Tenne per sé il macaco sassofonista, che nel mentre si era trovato altri luoghi per esibirsi e aveva lasciato il cervello libero. Il vuoto di un pomeriggio di autunno uggioso lo stava già riempiendo, come suo solito.

«Quindi tuo fratello è sparito assieme a un collega? Vabbè, saranno pure affari loro, no?» commentò Chakra, che nel frattempo li aveva dovuti raggiungere, abbandonando la postura da uovo sodo con cui aveva occupato una poltroncina della stanza. «Voglio dire, non mi sembra il caso di spedire per mezza galassia messaggi, allarmi o quello che sono.»

«Lakshmi e Madre non sono distanti mezza galassia, ma sono qualche decina di anni luce, che è di certo molto nella vita quotidiana, ma è praticamente dietro l’angolo in una scala astronomica.»

«Sharma, Sharma, le tue osservazioni puntigliose da pignolo terminale sono sempre molto utili e le ricorderò con affetto la prossima volta che il mio intestino darà segni di ritardo. Il punto è che non vedo alcuna ragione per creare tutto questo allarme, se il problema è solo che due fessi si sono persi mentre girovagavano a fare gli avventurieri in un letamaio primitivo. Se davvero si sono persi, se la sono cercata. Anche questa è selezione naturale e migliorerà la specie umana, sebbene soltanto in un piccolo e trascurabile frammento di percentuale.»

«Ma informare una persona della scomparsa di un suo familiare non mi sembra trascurabile, anzi. È un gesto meritorio e degno di lode, che segnala una certa umanità.»

Chakra sospirò. «Segnala solo che hanno rispettato le regole, per una volta. X sparisce sul pianeta Y, che non è il suo pianeta natale. L’ambasciata di Z, che invece è il suo pianeta natale, informa tutti i parenti reperibili che X è scomparso. Caso da manuale. Il funzionario ha fatto solo il suo dovere. Se poi ne vuoi fare un eroe galattico, accomodati pure. Comunque non è questo il punto.»

Matteo sospirò. Con gli occhi della mente, ancora semichiusi e avvolti da un beato torpore che non era shock, ma lo sapeva simulare, poteva vedere come si sarebbe sviluppato il resto della giornata e la visione non gli piaceva. Battibecchi puntigliosi, punteggiati da appuntite spiritosate, in mezzo a una babele di opinioni gettate al gatto, in nome del più solido principio del “secondo me sarà così, anche se non ne so niente”. Gli cresceva già l’erba sulla ossa. Ciò che davvero gli sarebbe piaciuto, al momento, sarebbe stato un lungo periodo di sonno. Ma sonno pieno, veh, quelli che non ti svegli neppure con un calcio nella tempia, neppure con una randellata in piena fronte, neppure con... beh, ci siamo capiti. Non proprio sonno eterno, ma nelle vicinanze. E aveva pure passato una notte quasi in bianco. O quasi in nero, colore molto più adatto quando i tuoi occhi sono aperti e la sola cosa che vedono è il buio della stanza. Nonché il colore di quello che avviene dietro la fronte, mentre stai lì, coricato, a respirare e non dormire. Nero preoccupazione.

«Sentite, non potremmo andare a discuterne da un’altra parte, se proprio volete? Non mi pare il caso di rimanere qui ancora, adesso che tanto abbiamo finito. Usciamo, ci troviamo un posto migliore, ci sediamo e poi potrete discuterne quanto volete, eh?»

Chakra sorrise. «Oh, il ragazzo comincia a capire come si sta al mondo. Approvo la sua proposta. È tempo di levarci dai piedi, che ne dite? Ho visto un localino, mentre venivamo qui, che secondo me è proprio fatto per noi. Quello che ci vuole in momenti come questo. Tanto non è che abbiamo altro in programma, no?, e radunarci per una spruzzata di meditazioni, di confronto, di quello che vi pare è l’ideale, eh? Molto meglio che restare qui a occupare spazio.»

«E hai consultato anche la lista dei cocktails, mentre ci passavamo davanti?»

«Indira, la tua crudeltà mi ferisce. Comunque no, è proprio una delle cose che intendo valutare e su cui dovrò meditare a lungo. Mentre si dibatte dei massimi sistemi, naturalmente.»

Andarono. La luce di metà pomeriggio li carezzò come una grattugia, dopo il biancore artificiale dei locali dell’ambasciata terrestre, e il calore primaverile li avvolse di una gioiosa patina di sudore, col suo alito di altoforno. Non era lontano, l’equatore, ma la posizione di Gayat la rendeva una città più esposta a correnti d’aria ad alta temperatura rispetto alla media della zona. O qualcosa del genere: lo aveva spiegato Sharma durante il viaggio, ma Matteo ne aveva sentito solo la metà e pure quella era sembrata interessante come, come, come qualcosa che non è per nulla interessante. Neppure sapeva trovare una similitudine adeguata, adesso. Era stanco, stanco e confuso. E infastidito.

Ma la piazza si spalancava attorno a loro, larga e gioiosa, nonché affollata e chiassosa. Non c’erano fontane musicali come a Varshi, ma c’erano mandrie e greggi di persone, per nulla musicali ma per tutto bercianti. Si spostavano pigre, ma più spesso restavano ferme a parlare, parlare, con qualche schiamazzo gettato nel mezzo, tanto per fornirti qualche picco improvviso di rumore, che arrivava a lacerarti il cervello e il poco di concentrazione che potevi avere raccolto. Perché Gayat era una città grande, o forse una grande città, e per una città grande (o una grande città, chiaro) ci vuole una folla grande. E rumorosa. Matteo avrebbe preferito un posto tranquillo e bucolico, magari mite, ombroso, chiare fresche dolci acque, ma lì non c’erano, così si dovette attaccare. Per usare un termine tecnico.

Osservata a volo di uccello, o a volo di qualsiasi altra forma di vita locale a cui l’evoluzione aveva consentito di spostarsi attraverso l’aria ad altezza sufficiente, la piazza era rettangolare, con palazzi monumentali e molto artistici a farle da perimetro, più una specie di sgorbio nel mezzo, una statua che doveva forse rappresentare il mal di stomaco o qualcosa del genere, almeno secondo il profondo acume di critico d’arte che da sempre caratterizzava Matteo, specie quando era in bagno. E ovunque cupole, cupole su cupole, e ancora cupole negli spazi liberi. Il cielo e l’orizzonte potevano poggiare su uno spesso strato di carta da imballaggio, in attesa di una mano divina che cominciasse a premere e far scoppiettare. Dovevano amare molto le cupole e tutto ciò che era rotondeggiante, almeno da quelle parti, o forse ritenevano che le linee curve fossero più comode di quelle rette. Dettagli.

Ma non c’era tempo per contemplare, perché Chakra si era messo alla guida del gruppetto e a modo suo lo conduceva alla perdizione o al locale che aveva visto lui, due luoghi che spesso coincidevano così bene da non notarne la differenza. Matteo si lasciò trasportare dalla corrente, con l’indifferenza di un serpente spiaccicato sui bordi di una stradicciola di campagna. Andate e guidate, che a me non interessa, perso come sono nei miei pensieri, o nei rutti cerebrali che possono farne le funzioni, se li osservi da una certa distanza. Si era aspettato brutte sorprese da quella convocazione all’ambasciata e infatti le aveva ricevute, da un certo punto di vista. Da un altro, invece, non erano state sorprese.

Aveva cominciato a pensarci durante la notte quasi insonne che aveva preceduto il viaggio. Mentre i tranquilli trasporti lakshmiti li trasferivano dalla stazione di Varshi a quella di Gayat, più a sud nel continente, Matteo aveva proseguito lungo le stesse correnti di pensiero, arricchendole qui e là con improvvisi lampi di ispirazione pessimistica. Ma non letteraria o artistica, questo no. Per strano che fosse, si era tenuto e attenuto a un realismo quasi sconvolgente. O meglio, a una verosimiglianza, a una plausibilità quasi sconvolgente: se poi fosse anche realistico, lui non lo avrebbe saputo dire, ma di certo ne aveva il retrogusto. Ricordava un poco l’acqua di rubinetto, per inciso.

Chakra, Sharma e Indira avevano fatto a turno nel cercare di coinvolgerlo in una discussione, prima di arrendersi e abbandonarlo come causa persa. Ha altro per la testa, bisogna capirlo, magari a suo fratello è successo davvero qualcosa, sapete anche voi. Così avevano continuato chiacchierando tra loro, attorno a lui, e Matteo non se n’era lamentato. Aveva davvero altro per la testa. Indizi, ipotesi, sospetti e roba simile. Al centro di tutto, Davide e qualunque scemenza fosse andato a combinare su Madre. Questo aveva occupato i suoi pensieri in viaggio e ancora li occupava adesso, camminando e a volte sgomitando tra le strade della città in cui si trovavano.

Perché era una scemenza. Lo aveva detto sospettato subito Matteo, anche prima di arrivare a Gayat, e adesso il funzionario di ambasciata glielo aveva confermato, non dicendolo. Anzi, si era guardato così bene dal dirlo che soltanto un sordo non avrebbe sentito. O così la pensava al momento Matteo, mentre i piedi seguivano Chakra attraverso vie affollate, verso un fantomatico e a tratti sospetto “locale che aveva adocchiato lui”. Si era fermato un giorno di più assieme al collega, per esplorare, forse per qualche avventura. Ed era scomparso. Non disperso, ma scomparso. Insieme al collega, beninteso. Di cui il funzionario non gli aveva voluto parlare. Matteo poteva chiudere gli occhi (poteva, ma non lo fece: non voleva sbattere contro qualcuno o qualcosa) e vedere il modo in cui la storia si era svolta. Era lì, nitida e netta, una mappa incisa nell’amianto e parimenti nociva.

Davide è in contatto con un gruppo terroristico. Fugge poi su Madre, sotto falso nome. Qualcuno lo controlla, ovvio, perché subito due funzionari raggiungono il fratello e lo informano di tutto. Già, è proprio bravo a mantenete i segreti, il piccolo Davide. Comunque arriva su Madre sotto falso nome e lavora assieme agli altri coloni. Per un poco. Poi, durante una vacanza (i coloni vanno in vacanza? Evidentemente sì), eccolo che resta indietro assieme a un collega con cui aveva un ottimo rapporto. A fare cosa? Mah! Sia quel che sia, quei due spariscono. Hanno fatto qualcosa? O qualcuno ha fatto qualcosa a loro, mentre loro cercavano di fare qualcosa a qualcos’altro? Mistero.

A Matteo non sembrava misterioso per niente. Ancora forte della paranoia accumulata su Laozi e in parte anche lì su Lakshmi, poteva vedere la spiegazione brillare come una supernova nel cielo della sua mente. Il collega con cui Davide ha un ottimo rapporto non è un collega, non esattamente: è un altro terrorista in missione, proprio come lui! Restano indietro per preparare qualcosa, qualcosa che fa parte del loro piano, il piano per cui sono stati inviati (non fuggiti, giusto, ma inviati) su Madre. E ci riescono? O falliscono? Non si sa, ma spariscono, forse catturati o forse stavolta sono riuscivi per davvero a far perdere le loro tracce. Fine della storia, per adesso.

Suonava verosimile. Plausibile. Forse non troppo realistico, d’accordo, Matteo lo poteva concedere, sebbene a malincuore, ma tutto ciò poteva essere accaduto e spiegava anche molte altre cose, cose che risalivano a due anni prima, ai funzionari che lo contattavano a Nuova Kalighat. Poi il gruppo si fermò davanti al locale, le chiacchiere dei compagni lo avvolsero, si ritrovò a dover ordinare da bere e il filo dei pensieri non solo si spezzò, ma si perse chissà dove. La realtà e il presente lo riportarono nel mondo che viveva e si sviluppava all’esterno del suo cranio, perché sì, nonostante tutto ce n’era uno e di tanto in tanto gli toccava riconoscerlo. A malincuore, Matteo andò.

«Dunque, si diceva del tuo fratello scemo,» esordì Chakra quando si furono sistemati al tavolo. «Se n’è andato a fare una qualche vacanza sulla vostra discarica di una nuova colonia e poi si è riuscito a perdere da qualche parte assieme all’amichetto o qualcosa del genere, no? Dunque?»

«La tua capacità di sintesi, offendendo con una frase sola il maggior numero possibile di persone e cose coinvolte, mi lascia sempre senza parole, guarda,» disse Indira.

«È solo perché non hai ancora sentito il meglio di me. A ogni modo ti hanno informato, tuo fratello è sparito da qualche parte, anzi è scomparso, ma non ancora disperso, aha, bella questa, me la dovrò ricordare, e blablabla. Ripeto: e dunque? Hai intenzione di fare qualcosa? Se sì, cosa hai intenzione di fare? Ma soprattutto, a noi cosa ce ne frega? Seriamente, dico.»

Matteo sospirò, la sua seconda specialità dopo alzare le spalle. «Non so, ci devo pensare. Avevo una mezza idea di andarlo a cercare su Madre, ma... Ma cosa ci vado a fare adesso? Voglio dire, ok, si è perso, è scomparso, è disperso, quello che è, ma io come lo cerco? Non penso di essere la persona giusta per trovare qualcuno su un pianeta sconosciuto.» E non sono nemmeno sicuro di volerlo poi trovare, se quello che penso sulla sua scomparsa è corretto: una riflessione che preferì tenere per sé, almeno per il momento, soprattutto perché non sapeva bene come esporla o motivarla.

Lo sguardo che Chakra gli indirizzò sembrava suggerire che non ci fosse alcun bisogno di esporre o motivare, perché almeno una persona sapeva già cosa gli stesse passando per la testa e condivideva l’opinione che Matteo non avrebbe combinato nulla di buono, aggiungendo però un “mai nella vita” che il pensatore originale aveva preferito omettere per un vago senso di autostima. O forse era solo uno sguardo senza alcun significato, puro indirizzare gli occhi verso un punto qualunque, perché da qualche parte li devi pure rivolgere quando sono aperti.

«Sì, capisco la tua posizione,» disse Sharma, «ma ritengo comunque che sarebbe un buon segno, e una buona idea, provare a fare qualcosa di più attivo per tuo fratello. È pur sempre tuo fratello, no? E a quanto ci dici è anche il solo membro della tua famiglia che sia rimasto.»

Matteo non lo aveva proprio detto, almeno non a Sharma, ma per il momento lasciò perdere. Aprire nuovi fronti non sarebbe servito e comunque non ne aveva voglia. Aveva voglia di pensare, da solo, o se non altro di chiudere gli occhi, rilassarsi e lasciare che il cervello vagasse e ruminasse nei verdi pascoli del pensiero astratto, con la vaga e infondata speranza che ne potesse ritornare con qualcosa di buono, utile, o in mancanza di meglio commestibile. Non gli sarebbe dispiaciuto farsi convincere, già che c’era: ad andare, a restare, a fregarsene, a qualsiasi cosa. Il punto era delegare ad altri tanto la decisione, quanto la responsabilità. Erano voluti venire lì con lui, come avvoltoi benevoli? Che si rendessero almeno utili, allora!

«Sharma, Sharma, per carità! La sola cosa che il nostro terrestre sa fare di attivo è andare in bagno e magari prendersi un raffreddore, anche se in quel caso non sono sicuro della componente attiva. Lo vorresti davvero spedire su un pianeta colonizzato solo in parte e pure quella parte colonizzata male, a cercare da solo una persona dispersa o, perché non lo possiamo escludere, una persona che non si vuole far trovare? Sarebbe molto meno crudele infilarlo in un tritacarne ancora vivo e scalciante.»

«E allora cosa proponi che faccia, Chakra? Che dimentichi il proprio fratello?»

«Ma lo può ricordare pure, se proprio ci tiene. Anzi, ti dirò, lo aiuterò anche a preparare un altarino in un angolo della stanza, dove potrà bruciare incenso o qualunque altra sostanza legale o meno che gradisca inalare per tenersi su di morale. È tutto ciò che gli basta e tutto ciò che gli conviene fare, in memoria del fratello disperso, smarrito, nascosto o quello che è. Un giorno, magari, se proprio avrà voglia e non troverà niente di meglio per sprecare il suo tempo, il nostro Matteo si potrà concedere un pellegrinaggio su Madre, a visitare i luoghi in cui il fu fratello ha lavorato, vissuto, cagato o altro ancora, e asciugarsi una lacrimuccia, sospirare un poco, quello che ne hai voglia. Un giorno. Forse. Adesso? Adesso è meglio che prosegua con la propria vita, anzi è meglio che pensi a farsi una vita, prima di ritrovarsi a ottant’anni senza avere combinato nulla. E il fratello? È andato, pace. La vita continua. O comincia, per chi è sempre rimasto in tribuna a guardare.»

«Mi sembra una posizione molto spietata e poco empatica la tua, Chakra.»

«A me invece sembra una posizione sensata e ragionevole,» disse Indira. «Sensata e ragionevole se la ripuliamo dalle solite scemenze che deve sempre ficcare ovunque. Voglio dire, stiamo parlando di Matteo. Mettiamo anche che vada su Madre a cercare il fratello. E poi? Cosa ti aspetti da lui? Cosa pensi che potrebbe combinare di buono? Alzerà un paio di sassi, vedrà che sotto non si trova nulla e se ne tornerà a casa col muso lungo, tutto depresso e vittimista. Ma dico, ce lo vedi là a fare l’eroe, il prode esploratore, attraverso terre selvagge in cerca del fratello disperso o quello che è? Dico, sul serio? Ti pare la persona adatta? Fosse qualcun altro allora sì, ok, gli suggerirei anche io di andare almeno a visitare il pianeta, parlare coi colleghi del fratello e cercare di scoprire qualcosa in più, visto che in ambasciata non gli hanno detto quasi niente. Ma Matteo? No, su questo sono d’accordo con Chakra: sarebbe praticamente un omicidio spedirlo là.»

«Indira, io trovo che tu stia esagerando almeno un poco, non credi?»

«No, Sharma, non credo. Sei tu che esageri almeno un poco, semmai. Pensi davvero che quello se la caverebbe da solo su un mondo che non neppure conosce, senza contatti, senza aiuti, senza niente?»

«Non è detto che dovrebbe essere proprio da solo. Se deciderà di andare, potremmo accompagnarlo noi per aiutarlo. Dopotutto potrebbe anche essere interessante e istruttivo vedere Madre e...»

«No che non lo è. È un letamaio di pianeta. Tutti i pianeti sono letamai, almeno per il primo mezzo secolo di colonizzazione o giù di lì. Alcuni lo rimangono anche dopo, tipo Varuna,» disse Chakra. «In ogni caso, io ho altro da fare, ho appena speso un anno in giro a raccogliere materiale e adesso, se la cosa non vi turba troppo, gradirei anche studiarlo e sistemarlo. Non ho né tempo né voglia di andare su una discarica di mondo a fare da balia a quel povero fesso che ha bisogno del manuale di istruzioni anche per usare il gabinetto. Non contate su di me, grazie.»

«Madre è un pianeta che possiede anche caratteristiche interessanti,» continuò Sharma. «Lo diceva anche Bogdan che...» Indira sbuffò, Sharma corresse la rotta. «Dicevo, è un pianeta interessante, si sa, e sebbene le circostanze non siano tra le migliori, se Matteo dovesse decidere di andare a cercare il proprio fratello, noi potremmo comunque cogliere l’occasione per visitare quel mondo, mentre lo aiutiamo nella sua ricerca e lo teniamo al sicuro.»

«Sì, lo teniamo al guinzaglio e lo portiamo a fare i bisogni, mentre noi visitiamo zone archeologiche e roba simile, eh? Curiosa la tua idea di aiutarlo nella ricerca. No, io rimango d’accordo con Chakra in questa particolare occasione: meglio se Matteo se ne dimentica, per adesso, e pensa a combinare qualcosa che non sia vegetare in un vaso e nascondersi sotto il letto. Quando sarà diventato grande, se mai lo diventerà, vada pure a visitare Madre, cercare i resti del fratello o quel che gli pare. Se poi succederà qualcosa o scopriranno qualcosa, sarà l’ambasciata a informarlo, come stavolta. È meglio così, davvero,» concluse Indira, incrociando le braccia.

È sempre bello vedere la stima che i tuoi presunti amici o conoscenti nutrono per te. Matteo lo stava verificando in quel locale, seduto davanti a una bevanda analcolica, mentre insulti di ogni genere e qualche derisione assortita gli svolazzavano come mosconi attorno alla testa, correndo a infilarsi in un orecchio e uscendo poi dall’altro, dopo avergli defecato in abbondanza dentro il cranio. Li lasciò fare. In fondo tornava comodo anche a lui rimanere seduto sulla riva del fiume, guardare e ascoltare senza parlare, ignorando il più possibile, sopportando il resto. In fondo non avevano così torto. Non del tutto. Lui avrebbe espresso i concetti in forma più delicata e gentile, ma la sostanza, se proprio li volevi esaminare davvero, se proprio non lo potevi evitare, la sostanza era la stessa. Grossomodo.

Sarebbe stato stupido per lui andarsene su Madre in cerca di Davide. Peggio, sarebbe stato inutile. E dannoso, forse addirittura pericoloso. Avevano ragione. Non avrebbe risolto nulla. Perdita di tempo, per sé e per gli eventuali altri accompagnatori. Eppure.

«Si è incasinato di nuovo col suo gruppo di pseudoterroristi o quello che sono, vero?» gli domandò Chakra quella sera, nella stanza che avevano trovato per la notte. L’indomani si sarebbero concessi un poco di blando turismo, quattro passi e due occhiate per le strade di Gayat, e poi via verso Varshi e la vita regolare da studenti. Probabilmente. E il caso Davide... dimenticato? Chissà.

«Non so,» rispose Matteo. «Forse. Probabilmente.»

Erano soli, al momento, e in due si parla meglio che in quattro, almeno in certi casi. O così pensava Matteo. Chakra era stato a Nuova Kalighat con lui, sapeva di cosa gli avevano parlato quella volta i funzionari di ambasciata, conosceva più o meno tutti i retroscena della storia, almeno tanto quanto li conosceva il diretto interessato. Parlare dei casini di Davide con Sharma e Indira attorno sarebbe stato più difficile, ma se era solo Chakra...

«Lascia perdere,» gli disse l’amico. «Non andare su Madre. Sul serio. Il tizio dell’ambasciata che ti ha convocato è sempre lo stesso di Nuova Kalighat, vero? Stanno ancora pescando, per vedere se tu abbocchi, se sei collegato con tuo fratello o se davvero non c’entri niente, come affermi tu. È così di sicuro, vedrai. Se adesso corri su Madre, farai solo il loro gioco. Lascia perdere, dimenticati tutto e vivi per i fatti tuoi. Se si è incasinato davvero, saranno pure cazzi di tuo fratello, no? Non guastare due vite al prezzo di una, non ne vale mai la pena.»

«Mi diventi anche complottista, eh?» disse Matteo con un mezzo sorriso.

«Sono realista. Oh certo, potrebbero anche essere mossi dall’umana compassione, il sommo bene, le palle di mia nonna in barchetta, quello che vuoi. Sharma la penserà così di sicuro, da buon filosofo fesso. Ci vogliono anche i tizi come lui, credo. Ma Indira è più sveglia e pure lei ti ha consigliato di lasciar perdere, anche se lo ha fatto a modo suo e non penso che tu abbia apprezzato ogni parola.»

«Non ho apprezzato molto neppure le tue, se è per questo.»

«Non c’è bisogno di ringraziarmi, ho fatto solo il mio dovere. Il punto è: lascia perdere. Tuo fratello è sparito, ok. Forse spunterà di nuovo o forse no. Pace all’anima sua, se ne ha una. A ogni modo, tu non puoi farci niente. Nel migliore dei casi visiterai il pianeta, verificherai che è un letamaio come ti dicevo io, sprecherai due o tre stagioni, o magari anche un anno, e non concluderai niente. O forse no, forse ti prenderai qualche malattia, intossicazioni alimentari o roba simile. Tuo fratello resterà disperso, o scomparso che dir si voglia, e tu ne saprai come adesso. Quindi lascia perdere.»

Matteo sospirò. Lasciare perdere, già. Era la scelta più sensata. Razionale. Giustificata. Era quello che, in un mondo ideale, avrebbe fatto. O forse no, ok, forse in un mondo ideale sarebbe andato in cerca di Davide e lo avrebbe trovato, dopo una qualche avventura eroica e palle varie. In un mondo ideale ma realistico, però, dimenticare tutto e proseguire con la propria vita sarebbe stata la scelta più sensata. Lo dicevano tutti. O almeno lo dicevano in due, mentre il terzo propendeva per vaghe e generiche idee di cercare notizie del fratello perduto, in nome di questo e di quello. Due su tre era in ogni caso la maggioranza e, in mancanza di meglio, poteva fare funzione di tutti. Giusto?

Eppure.

Il pomeriggio seguente ripartirono per Varshi dopo una mattina da turisti più o meno soddisfacente a seconda dei pareri e delle inclinazioni personali. Nessuno discusse più di Davide, viaggi su Madre e notizie da cercare. Ma qualcuno continuava a pensarci. E a non sapere cosa fare. E dirsi che, forse, se fosse andato a controllare di persona...

Forse.