Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 91

L’edificio in cui aveva sede la fondazione Chen-Cohimbra continuava a sedere tranquillo al centro del suo parco sulla collina appena fuori da Guan Yu, capitale amministrativa di Svarga. Ammesso e non concesso che un edificio possa sedere ed essere tranquillo. Assai meno tranquillo erano invece i suoi occupanti, l’agglomerato di scienziati svarghiani e di altri mondi coloniali che nel microcosmo della fondazione viveva, lavorava e a volte si faceva anche gli affari propri.

Non vi era reale agitazione, almeno tra i ranghi più bassi. A pochi interessava davvero la storia del processo che prima o poi si sarebbe avviato tra la fondazione stessa e l’Ufficio terrestre, e ancora di meno erano quelli che avevano seguito le vicende o anche solo vi avevano capito qualcosa. Liti più o meno serie tra centri di studio e ricerca non erano la norma, non eventi quotidiani, ma frequenti? Questo sì. Frequenti a sufficienza da passare inosservati a tutti tranne ai più diretti interessati. Con tutti i pianeti e tutte le ricerche che c’erano, pestarsi un poco i piedi era inevitabile o quasi.

E poi l’Ufficio per la Colonizzazione terrestre era un caso particolare. Lo conoscevano tutti, se non di fama almeno di infamia. Era quello col supervecchio mezzo matto, quel Leonardi che ogni tanto si faceva chiamare dottore ma figurati se lo è davvero, e lo sanno tutti che i supervecchi mezzi matti si inventano sempre una scusa per litigare col resto del mondo o, nel caso specifico, della galassia. Chi non si è mai trovato di fronte (o anche di fianco, o dietro) un vecchio molesto e attaccabrighei? Nessuno, o almeno nessuno lo voleva ammettere, perché avrebbe rovinato il bel luogo comune. Che l’Ufficio e la fondazione si mettessero a litigare tra loro, dunque, appariva grossomodo normale ai più. Si litigava sempre, ai piani alti. Erano fatti così.

Se non c’era reale agitazione, si avvertiva però un vago moto browniano, che spostava, mescolava e incrociava studiosi e ricercatori del posto, mantenendoli in un costante stato di vaga tensione, più un leggero retrogusto di smarrimento. Perché i litigi ai piani superiori avevano avuto un effetto anche ai piani inferiori e il contingente terrestre, mai molto numeroso, adesso si era avviato lungo la stessa via del dodo, del panda e della balenottera azzurra. La Terra voleva che abbandonassero il posto e rientrassero a casa, laddove per “Terra” si intendeva quella minuscola porzione del pianeta che era consapevole della loro esistenza e che in un certo senso era temporaneamente interessata a loro: una porzione che cominciava col dottor Leonardi e finiva qualche ufficio più in là. E se la (minuscola porzione di) Terra lo esigeva, loro cosa avrebbero dovuto fare? Obbedire, beninteso. Altrimenti...

Così in molti avevano già obbedito, erano partiti da Svarga e avevano lasciato buchi nell’organico della fondazione, che la gente rimasta doveva riempire. Il dottor X doveva abbandonare la propria ricerca per spostarsi col gruppo del professor Y, che stava lavorando a qualcosa di più importante, e il professor Z doveva dimenticarsi temporaneamente di alcuni sviluppi promettenti che il progetto a cui aveva dedicato gli ultimi sei mesi locali aveva da poco dischiuso, perché era rimasto a corto di ricercatori. Moltiplicate tutto per un numero variabile di X, Y e Z e otterrete l’origine di quel moto browniano che aveva portato malumore diffuso ai piani bassi della fondazione, a cascata.

Molto meno diffuso, e di conseguenza molto più concentrato, appariva invece il malumore avvertito da un esponente particolare dei suddetti piani bassi. Quell’esponente aveva raggiunto Svarga mesi prima, assieme a un planetologo che voleva approfondire e verificare una sua allora ipotetica grande scoperta, ma anche assieme a un nuovo funzionario dell’ambasciata terrestre presso Guan Yu. Come poi fosse andata per il planetologo è fatto ben noto e alla base dei vaghi malumori che percorrevano adesso la fondazione, mescolati all’ancor più vago orgoglio derivato dall’essere colleghi (seppure in molti casi alla lontanissima) del celeberrimo Muzafar Chang, scopritore delle strutture organiche al centro di due giganti gassosi. Quando Bogdan Stratos era rientrato sulla Terra, però, vi era rientrato da solo, col muso così lungo che quasi vi inciampava. Alla fondazione era rimasta la sua compagna del viaggio di andata, per proseguire una ricerca su un pianetino interno di un sistema solare o quel che era, o forse per restare col suo svarghiano da compagnia. Bogdan non vi aveva più pensato: non gliene poteva fregare di meno, giusto per usare un termine tecnico a lui molto caro.

Anna Lindtner aveva invece dovuto pensare più volte a Bogdan Stratos, anche e soprattutto quando ne avrebbe fatto molto volentieri a meno. Non aveva dovuto attendere molto prima che le arrivasse la notizia della causa intentata dall’Ufficio contro il professor Muzafar Chang e la fondazione Chen-Cohimbra in generale, e aveva dovuto attendere ancora di meno prima che cominciassero pressioni varie sui terrestri che al momento lavoravano presso la fondazione. Pressioni generiche, beninteso, e vaghe, niente più che tentacoli con cui sondare il parere dei ricercatori, i legami che li vincolavano e li trattenevano ancorati alla grande madre Terra, il senso di fedeltà verso l’Ufficio, credere obbedire combattere e armiamoci e partite, ma a premere era stato soltanto Vihersalo, all’inizio, e Vihersalo li premeva con tutta l’efficacia di un bambino che si trova davanti un piatto di broccoli e cerca di farli sparire con la sola forza del pensiero, prima che la mamma lo costringa a farli sparire invece con la sola forza delle mandibole e dell’apparato digerente. Vihersalo era moscio, floscio e non spaventava nessuno. Leonardi, invece...

Ma Leonardi si diceva che fosse in ospedale e magari questa è la volta buona, magari ce lo leviamo dai piedi, che non se ne può più, davvero. E poi, voglio dire, alla sua età, ormai. Quanti sono? Cento e otto, cento e nove? Anche di più, secondo me. Sarebbe quasi una benedizione, mercy kill. E tutti i terrestri ci scherzavano, alla fondazione, proseguendo col proprio lavoro e fregandosene allegri dei suggerimenti e delle proposte di Vihersalo. Non ci farà niente, non può farci niente. E comunque se la sbrighino pure tra loro, no? Cosa c’entriamo noi con una scoperta litigata tra due planetologi che si occupano di tutt’altro campo? Non sono affari nostri.

Poi Leonardi era tornato, scampato ancora una volta al naturale corso delle cose. Anna Lindtner per un poco aveva anche sperato che non ci sarebbero state conseguenze negative per lei e per gli altri terrestri che si trovavano alla fondazione. In fondo, i precedenti insegnavano che, quando c’era una causa in corso tra due istituti di ricerca, i problemi erano sempre limitati a quel particolare campo in cui si trovava la contesa: in tutti gli altri settori la collaborazione proseguiva come se niente fosse, o almeno proseguiva e basta, anche se di tanto in tanto ci poteva stare qualche piccolo litigio o magari discussioni piuttosto accese, fiammate di patriottismo e palle varie.

Ma non sarebbe successo quella volta. Non c’era niente di normale nell’intera storia del viaggio su Svarga, proprio come non c’era niente di normale nella scoperta fatta da Bogdan. Se fosse stata una cosa normale, in fondo, Vihersalo non avrebbe scelto di spedire anche lei, per sorvegliare Bogdan e riferire regolarmente all’Ufficio. Se fosse stata una cosa normale, non avrebbero avuto neppure quel funzionario di ambasciata come compagno di viaggio: Anna non sapeva bene che ruolo avesse, ma di certo non era finito con loro per pura coincidenza. Cosa ci fosse però di tanto speciale, a parre il puro valore accademico della scoperta, lei non lo sapeva.

«Queste strutture organiche hanno di certo qualche relazione con Madre,» era la tesi preferita della professoressa Sung, una cinquantenne proveniente da Shakti che amava pontificare e spacciarsi per tuttologa e grande esperta dei mondi. «Il nostro Chang le ha trovate nei due giganti gassosi del suo sistema solare, ma siamo certi che esistano soltanto lì? No che non lo siamo! I giganti gassosi sono gli unici due pianeti che ci è stato possibile studiare decentemente e questo lo abbiamo potuto fare solo perché quel ragazzo terrestre ha aiutato Chang passandogli i dati originari dell’Ufficio. Quei dati segreti, che l’Ufficio terrestre non vuole fare avere a nessuno.» Questo passo della sua tirata era sempre accompagnato da sguardi molto significativi, nonché spesso dal dito che si agitava in aria, in uno stile da maestra che ama molto gesticolare.

«Per quanto ne sappiamo noi tutti i pianeti di quel sistema potrebbero avere qualche tipo di struttura organica al proprio centro,» continuava l’orazione media della professoressa Sung. «Tutti. Incluso Madre, l’unico abitabile e abitato. E la Terra non lo vuole fare sapere agli altri. Perché? È questo il punto. È questo che ci dovremmo chiedere davvero. Perché lo vuole tenere nascosto? Quale segreto racchiudono queste strutture organiche? Che strutture sono? Sono viventi? Sono coscienti?»

A quel punto di solito qualche collega la interrompeva, obiettando che sì, ipotesi interessante, ma un poco di realismo ci voleva e non era il caso di costruire complotti galattici sulla base di un litigio tra due istituti. Perché sì, è vero, sulla Terra stavano esagerando, ma in fondo c’era di mezzo Leonardi e lo sanno tutti com’è quel tizio, no? Alla sua età, poi...

Ma la professoressa Sung non si lasciava mai frenare, a meno che a interromperla non fosse qualche collega di grado e prestigio molto superiore al suo. La risposta che preferiva era sempre incentrata sul complottismo spinto, a tratti paranoico, ed evocava non solo strutture organiche senzienti, ma in un certo senso anche alleate del governo terrestre. «Perché è strano che abbiano scelto proprio quel luogo come prima colonia della loro epoca post-Trattati. Se ci pensate bene, dico. Abbiano trovato altri mondi più accoglienti e ospitali, anche se d’accordo, lo ammetto, alcuni hanno bisogno di più lavoro per terraformarli e rimuovere, o almeno limitare, tutto ciò che potrebbe essere nocivo a noi, ma Madre è praticamente un mortorio in superficie. Potrà anche avere ospitato la prima civiltà non umana che abbiamo trovato o almeno riconosciuto, ma oggi è inospitale! È orrendo! Viene quasi da pensare a cosa potrebbe averci fatto quella civiltà non umana. E chissà come si sono estinti, poi. Se vi ricordate di cosa stavano facendo i nostri antenati alla Terra...»

Se a quel punto qualcuno le faceva notare che la presenza passata di una civiltà non umana poteva da sola rappresentare una ottima ragione per decidere di colonizzare quel mondo, anche se avrebbe richiesto qualche sforzo extra per tornare a essere accogliente, la professoressa Sung obiettava che il punto era proprio quello, non lo capivano?

«Perché questi alieni scomparsi potrebbero avere lasciato qualcosa di molto prezioso sul pianeta, e non parlo di ricchezze materiali o altro. Una fonte di energia a noi sconosciuta, oppure scoperte che la nostra civiltà non ha ancora raggiunto. È chiaro che la Terra l’ha scelta solo perché possedeva un qualcosa di importante, capite? Uno come Leonardi, poi...» E scuoteva sempre la testa, col broncio da bambino in castigo. Amava molto i corsivi la professoressa Sung, anche quando parlava.

Alla fine, ogni sua tirata si concludeva nel più classico dei modi: tutta colpa del governo terrestre, che ha messo le mani su qualcosa di importante (importante! Aggettivo generico come pochi, che si può declinare a seconda dei gusti del parlante, ma di per sé non possiede alcun significato) e non lo vuole far scoprire agli altri. Come fanno sempre tutti i governi, in fondo. «E scommetto che queste strutture organiche ne sono il cuore. Vedrete se non è così.»

Anna Lindtner l’aveva ascoltata una volta, in mensa, poi aveva deciso di girare alla larga, perché sì, la Sung era una ricercatrice di grande competenza ed esperienza in fatto di comete, ma per il resto la consideravano tutti una tizia “un poco particolare”, una che poteva essere divertente di tanto in tanto quando si lanciava nelle sue fantasie più astruse, ma alla lunga diventava noiosa. A lei non era poi sembrata così noiosa, ma particolare sì, questo era indubbio, e... sì, anche un poco preoccupante, lo doveva ammettere. Preoccupante in termini generali, non per qualcosa di specifico.

«Di gente un po’ strana ce n’è dappertutto,» era il parere di Fung Mei. «Ne avrete avuti anche voi al vostro Ufficio, no? Ma se si tratta di comete è una delle migliori, te lo assicuro.»

Ad Anna Lindtner le comete non interessavano proprio. Interessava semmai la dichiarazione che il professor Vihersalo aveva rilasciato e rivolto a tutti gli studiosi terrestri che si trovavano ancora alla fondazione. «Tornate a casa,» diceva, «finché una casa l’avete ancora.» Non erano proprio quelli i termini esatti, ma la sostanza sì. Tutti i dipendenti dell’Ufficio che avessero deciso di abbandonare Svarga e tornare sulla Terra sarebbero rimasti dipendenti dell’Ufficio. Gli altri... tanti saluti.

Che non fosse una decisione di Vihersalo era tanto segreto quanto il sole, non soltanto per chi aveva conosciuto di persona il capo planetologo dell’Ufficio, ma anche per chi lo aveva visto solamente in messaggi trasmessi. Era Leonardi a parlare attraverso uno dei suoi fantocci. Oppure una delle sue pizie, per chi preferiva guardarla in una prospettiva classica. Leonardi non era contento di come stesse andando il processo (soprattutto perché ancora non era neppure cominciato un processo e avrebbe continuato a non cominciare per chissà quanti mesi), così aveva deciso di attaccare, di bombardare, di esportare democrazia a modo suo, senza prendere prigionieri.

Il professor Hu Chen in persona era intervenuto poco dopo, convocando tutti i terresti che ancora lavoravano presso la fondazione e tenendo un lungo, nobile, commovente e assai retorico discorso sul bene supremo della scienza, che non si può e non si deve mai piegare agli interessi personali, e ha sempre la priorità su ogni altra considerazione, almeno nel cuore di vere donne e veri uomini di scienza. «Perché l’Ufficio per la Colonizzazione terrestre sta cercando senza alcun pudore di farne una questione politica, sta trascinando la politica all’interno dei templi della conoscenza, cerca con ogni mezzo di pervertire il nostro puro e disinteressato desiderio di sapere, per renderlo niente più di un mezzo, un gradino sulla sua scala verso il potere.» Eccetera eccetera, con la faccia impassibile del baro di professione, fino al completo sfinimento degli ascoltatori.

Non era servito a molto, perché sì, ok, bene supremo della scienza, ricerca pura e disinteressata, e la separazione tra politica e sapere, pepperepè, ma alla fine dei conti si doveva pure mangiare e se non avessero più avuto l’Ufficio a finanziarli e foraggiarli, beh, dove sarebbero dovuti andare? E poi in molti casi avevano amici e famiglie sulla Terra. Gli ideali sono una buona cosa, ma la realtà è pur sempre la realtà. Un poco alla volta erano partiti quasi tutti, non necessariamente contenti ma la loro contentezza non era richiesta: solo la partenza. Leonardi sapeva essere comprensivo.

Adesso sarebbe toccato anche a lei decidere, ma Anna Lindtner non sapeva ancora come. Alla sede della fondazione Chen-Cohimbra erano rimasti tre terrestri: uno piuttosto anziano e l’altro che oggi preparava i bagagli e domani li disfaceva, con una incertezza gnoseologica da gatto di Schrödinger. Il terrestre più anziano pareva ormai rassegnato a una pacifica non-esistenza in chiave epicurea, una variante del vivi nascosto sviluppata in anni e anni da ultima ruota del carro all’Ufficio. Su Svarga il suo ruolo non era certo migliorato, ma almeno aveva trovato la propria nicchia in un angolino dove la luce solare non arrivava mai. Perché lo avrebbe dovuto abbandonare? Per tornare sulla Terra, sì, ma sulla Terra cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe trovato? Nulla, e dunque nulla risultava pure la sua motivazione a seguire la sirena di Leonardi.

Diversa era la posizione del terrestre schrödingeriano, che ancora sperava di poter combinare prima o poi qualcosa all’Ufficio. Alla fondazione Chen-Cohimbra si era sistemato bene, aveva prospettive solide e il suo progetto di ricerca aveva attratto attenzioni anche piuttosto in alto, ma... ma la Terra era la Terra ed era arrivato su Svarga con l’idea di tornare, un giorno, e tornare a testa alta, ottenere una posizione di riguardo all’Ufficio, farsi un nome, solite cose. L’anatema di Leonardi lo avrebbe costretto a decidere e decidere è sempre anche uccidere, etimologicamente ma non solo. Il problema era capire cosa valesse la pena di uccidere e cosa preservare.

Per Anna Lindtner la questione era diversa. Era arrivata con un incarico travestito da premio, quasi riconoscimento all’importanza delle sue ricerche (che non ne avevano poi molta, a essere sinceri), e il suo incarico lo aveva svolto a dovere. Adesso sarebbe bastato tornare all’Ufficio, riscuotere forse un premio (o forse no, con certa gente non si poteva mai dire) e la sua vita sarebbe ripartita come al solito. Come l’avrebbe desiderata lei, in passato. Un lavoro senza infamia e senza lode all’Ufficio, il posto sicuro, lontano da ogni lotta di potere, pochi doveri e poche responsabilità, eccetera eccetera: non aveva desiderato altro e fino a quel punto aveva ottenuto ciò che aveva desiderato, grossomodo.

Peccato solo che adesso non avesse più così tanta voglia di tornare.

Non per una sfida aperta, ma solo perché... per un qualche altro motivo, un motivo valido, ma a cui ancora non aveva saputo dare né un nome né un volto. Solo, l’idea di una vita da pianta grassa nelle stanze dell’Ufficio non l’attirava più. Su Svarga si era trovata bene e, se possibile, avrebbe voluto continuare a trovarvisi bene. Il che non sarebbe stato difficile: lì alla fondazione nessuno la voleva scacciare, anzi l’avrebbero trattenuta molto volentieri, aggiungendo magari anche qualche extra, per puro dispetto a Leonardi se non per reale interesse verso di lei e le sue ricerche.

Ne aveva discusso più volte con Fung Mei, nei giorni immediatamente successivi all’annuncio del professor Vihersalo, ma nessuna di quelle discussioni era approdata a qualcosa. «La vita è la tua ed è soltanto giusto che sia tu a decidere come la vuoi vivere. Nessun altro ha il diritto di decidere per te cosa sia meglio per te.» Così parlò Fung Mei e da un certo punto di vista suonava bello e nobile; da un altro punto di vista, però, le era di aiuto come un salvagente forato. Così alla fine decise prima di tutto di fare ciò che qualsiasi buon terrestre in difficoltà su un altro pianeta avrebbe dovuto fare: si rivolse all’ambasciata, sperando di poter ricevere qualche informazione extra.

Scelse una mattina tiepida di sole per scendere dai colli su cui sorgeva la sede della fondazione, non perché il bel tempo fosse strettamente necessario ai fini della narrazione, ma perché era una persona pratica a sufficienza da scegliere le migliori condizioni meteo per i propri spostamenti, quando non c’erano vincoli di data e orario. La città di Guan Yu la accolse con tutta la sua indifferenza e magari qualcosa in più che si era fatta prestare giusto per l’occasione da una città vicina: ci potevano anche essere problemi tra la Terra e Svarga, da qualche parte verso i piani alti della società, ma a nessuno pareva interessare davvero. Anche gli insetti volavano, strisciavano e zampettavano ovunque con la solenne e profonda imperturbabilità che soltanto si può provare di fronte ai problemi di altre specie, sviluppate su altri pianeti e prodotte da meccaniche evolutive parecchio diverse. Agli occhi di Anna Lindtner tutto ciò appariva come un segnale incoraggiante, non perché ci fosse qualcosa che potesse apparire oggettivamente incoraggiante, ma solo perché le piaceva pensarla così.

Altrettanto incoraggiante appariva la faccia con cui Hideki Einarsson l’accolse nel proprio ufficio, dopo un’attesa di soli venti minuti circa. Anna Lindtner aveva preventivato almeno mezz’ora, come minimo sindacale ogni volta che ti presenti in un posto dotato di sale d’attesa o facenti funzioni di, e averci messo soltanto i due terzi di quel tempo sembrava almeno un buon inizio. Poi lei gli spiegò la situazione, rispose ad alcune domande, ricevette risposte soddisfacenti ad altre domande e ogni cosa sembrò mettersi davvero nel modo giusto. Almeno per un poco. Il tizio sembrava anche un poco più amichevole di come lo ricordasse lei dal viaggio. Che il verbo “sembrare” potesse essere la chiave è un pensiero che al momento non attraversò la sua mente.

«Vede, questa decisione improvvisa dell’Ufficio è stata qualcosa che non ci aspettavano neppure noi e ci ha colti un poco impreparati, all’inizio,» spiegava Einarsson. «Non è la prima a rivolgersi a noi e credo che non sarà neppure l’ultima, purtroppo. È stata anche una decisione senza precedenti, per cui ci siamo dovuti consultare con la Terra prima di poter confermare la nostra posizione in materia, ma la nostra posizione è chiara ed è anche l’unica sensata, in casi come questo. Dalla parte di chi si fermerà su Svarga, naturalmente. Non possiamo modificare le scelte dell’Ufficio, perché non è una istituzione collegata a noi e non possediamo purtroppo alcuna autorità in questo campo, ma ciò che possiamo fare e che faremo è assicurare a tutti i cittadini terrestri che decideranno di rimanere qui, e le assicuro che ce ne sono, la nostra piena collaborazione e protezione. L’Ufficio naturalmente può licenziarvi, voi siete suoi dipendenti e rientra nel suo diritto licenziarvi se dovesse ritenere che tra di voi non sia più possibile una proficua collaborazione, ma i suoi poteri sono limitati a questo. Non è legalmente possibile per l’Ufficio farvi altro: se dovesse avere minacciato ritorsioni supplementari contro di voi, sappiate che sono soltanto un bluff. Non ha mezzi per portarle avanti.»

«Non ha mezzi legali. Ma mezzi illegali?»

Einarsson sorrise e allargò le mani. «Qualcosa come liberare una squadra di assassini, magari? Una squadra di agenti segreti che vi darà la caccia in ogni angolo di Svarga, per cancellare ogni ribelle e insubordinato? No, questo è decisamente eccessivo persino per loro, ma se davvero la prospettiva la preoccupa, beh, allora la invito a considerare un’altra prospettiva in questo gioco mentale di spie e agenti segreti: il governo di Svarga avrebbe ogni interesse a conservare sani e in salute gli scienziati ribelli, giusto? E in un teoretico clima da guerra fredda non permetterebbe certo agli agenti segreti del nemico di vagare liberi e indisturbati per il pianeta. Possiedono sistemi di sorveglianza efficienti su questo mondo, molto efficienti. Ma, seriamente, nessun assassino le darà la caccia.» Sorrise.

Anna Lindtner gli avrebbe voluto far notare che non serviva darle del lei o parlare in un modo così distaccato e formale, soprattutto non dopo che avevano viaggiato assieme per arrivare su Svarga e si erano dati del tu senza problemi, ma lasciò perdere. Sedere dietro a una scrivania tendeva a dare alla testa a molte persone, come aveva verificato lei stessa nel corso degli anni. «Non mi riferivo proprio ad assassini,» disse invece. «Pensavo semmai ad altre ritorsioni che l’Ufficio magari non potrebbe attuare legalmente, ma che una entità col suo peso politico ed economico, beh...»

Einarsson annuiva. «Questo è decisamente più realistico e, le devo dire, anche probabile. Non credo che potreste trovare molti sbocchi professionali sulla Terra, almeno non in ambito accademico o nei dintorni, se oggi disobbedirete e domani deciderete di ritornare a casa. Le posso assicurare, tuttavia, che problemi di questo genere non si verificheranno né su Svarga, né sugli altri mondi coloniali. Vi sarà preclusa ogni possibilità di emigrare su Madre, è certo, almeno finché a controllare l’Ufficio resteranno le persone che ben conosciamo, ma in ogni altro angolo della galassia abitata troverete le porte aperte. Almeno per quanto lo permettono le vostre capacità.»

«Anche su Varuna?» chiese Anna, incapace di trattenersi.

«In quasi ogni altro angolo della galassia. Così va meglio? E comunque anche su Varuna vi potreste integrare, se scegliete bene il luogo in cui trasferirvi e non vi interessa girare molto per il pianeta.»

Anna Lindtner rimase in silenzio per un poco, a fissare un punto in apparenza a caso della scrivania. Einarsson non le mise fretta. Non ce n’era bisogno. Magari poteva essere utile un’altra spintarella, giusto per stare sul sicuro, ma forse era meglio astenersi. Meglio aspettare. Osservare. Ad agire, era sempre presente il rischio di strafare. Sarebbe stato uno spreco: non ne restavano molti utilizzabili.

«Quindi non siamo strettamente obbligati a rientrare,» disse infine Anna, rialzando la testa.

«Non siete strettamente obbligati, è ovvio. Lo siete soltanto se desiderate conservare il vostro posto di lavoro all’interno dell’Ufficio, ma questi sono i limiti entro cui l’Ufficio può esercitare la propria autorità legalmente contro di voi. Se accettate di essere licenziati e siete pronti a trovare un lavoro altrove, altrove sia come datore di lavoro che come pianeta, allora l’Ufficio non potrà farvi altro. E, come le ho detto anche all’inizio, finché resterete qui su Svarga potrete sempre e comunque contare sul nostro pieno appoggio come ambasciata terrestre. Se deciderete di cambiare pianeta, poi, allora potrete contare sull’appoggio dell’ambasciata terrestre sul pianeta che sceglierete. Noi non siamo e non saremo mai schierati dalla parte di questo o quello,» mentì impeccabile Einarsson. «La nostra priorità è sempre il benessere dei cittadini terrestri. Ogni altra considerazione deve attendere.»

Quella sera Anna Lindtner discusse a lungo con gli altri due terrestri rimasti alla fondazione. L’idea era di valutare bene i pro e i contro, partire o restare, confrontare le opinioni e le risposte ricevute in ambasciata: anche loro erano andati a chiedere un parere e il responso era stato grossomodo uguale, nella sostanza se non proprio alla lettera. Se deciderete di restare, perderete di sicuro il vostro posto all’Ufficio, ma non potranno esserci altre conseguenze.

«Beh, sì, capisco che non possano farci di peggio legalmente, ok, ma, voglio dire, ci sono pure altri modi, no? Non legali, ma modi lo stesso,» disse Fazel Chegeni, i cui ventotto anni lo rendevano il più giovane degli altri due terrestri e la cui struttura fisica, unita alla pettinatura, lo rendeva invece un pennello umanoide. Anna Lindtner non gli aveva mai parlato prima che Leonardi lanciasse il suo ultimatum e al momento desiderava con forza che la non conoscenza fosse potuta proseguita. Aveva la voce di un professionista del lamento, quel tizio.

«Non vedo poi cosa ci sia di tanto tragico,» rispose tranquillo David Loukides, il settantenne che era il terrestre più anziano ancora alla fondazione. «Io non ho comunque più nulla da aspettarmi a casa, se per casa intendiamo la Terra e l’Ufficio. Non ho mai avuto nulla da aspettarmi, in effetti, se ora ci vogliamo mettere a fare i pignoli. Il punto è che quello che potevo fare l’ho fatto, i vari bisticci non mi interessano e qui alla fondazione almeno mi lasciano in pace.»

«A vegetare, semmai,» obiettò Fazel Chegeni.

«La pace è sempre pace. Il punto è che io resterò qui. Non vedo perché dovrei obbedire agli ordini di un vecchiaccio che non conosce neppure la differenza tra meteorite e meteoroide.»

«Ma tu hai settant’anni e anche se ti buttano fuori, beh, non hai più niente da perdere, no? Io invece ho ancora tutta la vita, tutta la carriera. Se l’Ufficio mi caccia, beh, mi brucerò il futuro sulla Terra e poi, non so, dovrei costruirmene un altro da qualche altra parte e...» La voce di Fazel si spense pian piano, sparendo dietro l’orizzonte del “non so come concludere la frase”.

Anna Lindtner poteva sentire il muschio che l’avvolgeva. Non si era aspettata molto dall’incontro e molto non avrebbe di certo ottenuto, considerate le persone in campo, ma il niente totale che stava uscendo dalla discussione dava davvero una dimensione nuova al pessimismo cosmico. Un anziano che si era rassegnato e un giovane che non sapeva neppure lui cosa volere dalla vita: se quelle erano le persone assieme a cui avrebbe dovuto decidere il proprio futuro, allora forse era meglio fuggire da tutto e unirsi sotto falsa identità al primo circo di passaggio. Ma si impegnò ugualmente, caricò lancia in resta l’incertezza fenomenica di Fazel Chegeni, accettò come alleata inerte l’apatia totale di David Loukides e prima ancora di essersene accorta lei stessa aveva preso la decisione che da un po’ di tempo cercava. O credeva di cercare, che è quasi la stessa cosa.

Sarebbe rimasta su Svarga. Al momento non possedeva un perché, una ragione, un motivo, ma non era importante, non era urgente. Importante era la risposta e la risposta l’aveva: fermarsi su Svarga. Non avrebbe obbedito all’ultimatum, non sarebbe corsa all’ovile. Significava rinunciare al progetto che aveva coltivato negli ultimi anni, rinunciare alla vita tranquilla e da terza (o anche quinta o sesta in effetti) linea nella pancia dell’Ufficio, ma era ciò che avrebbe fatto. Magari su Svarga c’era anche spazio per costruirsi un’alternativa, come aveva suggerito Einarsson in ambasciata. Su Svarga o su un altro mondo coloniale. Perdere la Terra era un duro colpo, ma non era tutto. C’era vita altrove e in molti casi era una vita migliore. Poteva essere interessante studiarla da vicino.

Così infiocchettò il vago pensiero in belle parole, lo infarcì di retorica, lo insaporì con appelli ai più alti e nobili valori di questo e quello, lo sistemò nel piatto con un ricco contorno di vite migliori e di ricerche libere dal peso di una struttura politica sopra la testa, da coltivare nelle praterie dei centri di studio privati in giro per la galassia abitata, e per andare sul sicuro vi buttò anche qualche sfottio del grande vecchio dittatore. Alla fine servì il tutto ai due commensali e si sistemò un poco in disparte a osservare come avrebbero reagito. Poteva bastare per convincerli?

Per convincere David Loukides non serviva neppure parlare. La sua decisione era già presa e aveva già annunciato tutto ciò che poteva essere annunciato. Sarebbe rimasto anche lui su Svarga e non gli serviva qualcuno che gli ripetesse quello che sapeva già, ma grazie lo stesso, è stato un bel discorso, molto pittoresco, fa sempre piacere vedere giovani che si impegnano. Fazel Chegeni fu più difficile, oscillò da una posizione all’altra, sembrò prima cedere, poi ritrattare, quindi lasciarsi galleggiare in un oceano di dubbio, storcendo la bocca qui e là, ma alla fine cominciò blandamente ad allinearsi al volere della maggioranza. Che la maggioranza fosse formata da due persone su tre era un dettaglio di poca rilevanza. Tra molti uhm, beh e ah, si lasciò strappare il consenso a restare su Svarga.

«Ma ci saranno davvero posizioni migliori per noi su altri pianeti, giusto? Meglio che all’Ufficio, voglio dire?» chiese poi, lo sguardo sperduto di chi aveva appena fatto qualcosa senza sapere perché o come. «Non è che poi ci ritroviamo tutti a piedi, eh?»

«Un posto qui alla fondazione lo abbiamo già ed è un buon posto, no?» rispose Anna. «Il professor Chen ha anche già dichiarato che offrirà un posto fisso a tutti i terrestri in visita che decideranno di fermarsi qui. Nel peggiore dei casi, il tuo lavoro continuerà come è stato nell’ultimo anno. Mi pare che tu non abbia molto da lamentarti, vero? Poteva andare molto, molto peggio.»

«Sì, beh, ma, voglio dire, alla fine siamo sempre in mezzo ai giochi politici, no? Voglio dire, qui ci tengono per fare dispetto all’Ufficio e l’Ufficio ci richiama per fare dispetto alla fondazione. Non so se sia poi un gran miglioramento, ecco. Alla fine dei conti, dico.»

Era vero e Anna non aveva una risposta o una qualche spiegazione da dare, così seguì l’esempio di incalcolabili altri oratori e personaggi pubblici, prima e dopo di lei: aggirò la domanda e dirottò la discussione verso altri e più sicuri argomenti. Nel giro di qualche minuto Fazel Chegeni aveva già dimenticato la propria obiezione e non vi sarebbe tornato per molto tempo ancora. Dopotutto erano molto più interessanti e gratificanti e altre cose in -anti le prospettive di un futuro migliore che Anna Lindtner gli snocciolava davanti agli occhi. Erano anche molto più alla sua portata rispetto a oscuri giochi di potere svolti nell’iperuranio fumoso che avvolgeva i vari mondi.

Quattro giorni dopo i tre si recarono di nuovo all’ambasciata, per annunciare la propria decisione di opporsi alla chiamata e rimanere su Svarga. Hideki Einarsson li accolse in ufficio con un sorriso, li fece accomodare, confermò tutte le affermazioni precedenti, garantì il pieno appoggio ai cittadini da parte dell’ambasciata terrestre, assicurò che non ci sarebbero state per loro conseguenze peggiori di un licenziamento, eccetera eccetera. Seguirono strette di mano, altri sorrisi e si congedarono infine da grandi amici, tutti schierati dalla stessa parte, tutti pronti a remare assieme verso questo e quello, l’unione fa la forza, chi fa da sé fa per tre e di notte tutti i gatti sono grigi.

Poi i ricercatori uscirono ed Einarsson sospirò. Non era proprio il massimo della vita come fronte di opposizione a Leonardi e non era certo il genere di persone che avrebbe scelto lui, ma si doveva pur sempre accontentare. Dopotutto servivano solo a dimostrare che il grande vecchio non aveva più un pieno appoggio all’interno dell’Ufficio, né tra gli amministratori né tra gli scienziati. Servivano poi anche ad altre cose, per quanto ne sapeva lui, ma a quali cose di preciso... Beh, non era argomento di sua competenza. Lui avrebbe svolto il proprio lavoro e tanto gli bastava.

Pure, solo tre. Elementi secondari come pochi, peraltro. Avere pescato la tizia che Vihersalo (dietro ordine di Leonardi, beninteso) aveva spedito a seguire le mosse di Stratos era stato un bel colpo, un colpo da et tu Brute, seppure in tono molto, molto minore, ma gli altri due... Einarsson poteva solo scuotere la testa nella solitudine del suo ufficio. Oh beh, solita storia del cavallo donato, no? Meglio pensarla così, per scacciare la malinconia. E poi anche gli scarti potevano diventare preziosi, in base a come li sapevi cucinare. Lui non li sapeva cucinare proprio, ma altri ci avrebbero pensato.

Con la garanzia di un appoggio dall’ambasciata terrestre, i tre presunti ribelli e unici componenti di un fronte anti-Leonardi su Svarga, o qualcosa del genere, decisero che le garanzie erano certo buona cosa, ma atti più tangibili sarebbero stati ancora meglio. Giusto per non ritrovarsi a metà, no? Tagli un ponte e scopri che non ce n’è un altro pronto davanti a te, secondo le immortali parole di Fazel Chegeni. Anna Lindtner le avrebbe dimenticate molto volentieri, ma il senso era chiaro, almeno se ci pensavi sopra un poco, così proseguì nel proprio ruolo non richiesto ma ottriato di capopopolo (il popolo era costituito da altre due persone, ma sono dettagli) e si rivolse al reparto amministrativo della fondazione Chen-Cohimbra, esponendo il problema e attendendo una soluzione.

Il giorno seguente ottennero di essere ricevuti dal professor Chen, il quale si dichiarò entusiasta del loro fermo proposito di restare alla fondazione. Non appena dall’Ufficio per la Colonizzazione fosse giunta la notifica ufficiale del loro licenziamento, avrebbero provveduto ad assumerli regolarmente, ma per il momento potevano continuare col loro lavoro e non preoccuparsi di altro. «Penseremo noi a tutto, non dovete zavorrare i vostri preziosissimi cervelli con problemi inutili. Li risolveremo noi e vi faremo sapere,» disse Chen, con un sorriso che avrebbe fatto invidia a un alligatore. «Siamo tutti molto contenti che voi abbiate preso questa decisione. È la scelta giusta, ve lo assicuro. La scienza e la politica non si devono mai mischiare e il dottor Leonardi ha fatto proprio questo: ha mischiato la scienza e la politica. Opporsi allo scempio è il dovere morale di ogni vero scienziato, come voi.»

Anna Lindtner ricordò la sensata obiezione di Fazel, ma la seppellì di nuovo nel dimenticatoio. Non era il momento giusto. Sicuramente era vero, erano solo giocattoli che i bambini grandi si litigavano per puro dispetto. È mio, no è mio, è mio e basta. E dunque? Descriveva l’esistenza di ogni persona che si trovava sopra la parte mediana della piramide sociale galattica. I pochi che sedevano in alto si litigavano i tanti nel mezzo, mentre i miliardi in basso reggevano tutto, ricevendo una gratitudine di sputi e frustate. Un pensiero triste, ma vero. Bastava abituarsi e non farci caso.

E magari strappare per sé le migliori condizioni possibili dai litigi al vertice.

Svarga al momento sembrava offrire le condizioni migliori, così le avrebbe accettate. Quanto al poi, ci avrebbe pensato poi, se proprio fosse diventato necessario. In futuro l’Ufficio poteva cambiare, i segni c’erano tutti, e magari avrebbero ricevuto offerte migliori. Nel caso, le avrebbe valutate. Non era più la vita tranquilla da rincalzo che aveva immaginato per sé all’inizio, ma era comunque vita e valeva la pena di essere sperimentata. Poteva condurre a qualcosa di buono, in fondo.