La galassia di Madre - 48
Matteo Kori spese la maggior parte del proprio inverno vagando per la città di Varshi, col passo di chi sta per abbandonare per sempre qualcosa e vuole imprimersi nella memoria ogni dettaglio, bello o brutto che sia. Il che non corrispondeva proprio alla verità, nel suo caso, ma era una bella scena e nel complesso lo aiutava a crearsi un personaggio di un qualche rispetto, almeno di fronte alla giuria di se stesso, e questo era proprio ciò che desiderava, al momento. O che era convinto di desiderare, il che è più o meno la stessa cosa, in fondo.
Trascorse anche un certo tempo studiando per gli esami, perché aveva ancora esami, ma l’università era ormai diventata una componente secondaria nella sua esistenza, tendente al terziario. Qualcosa di superfluo, attività da svolgere tanto per poter dire di stare facendo qualcosa. Perché non aveva più né mete, né obiettivi, né interessi veri e propri. Si era trasferito su Lakshmi per studiare, quasi due anni prima, e ancora lo faceva, grossomodo, ma solo come passatempo, per non ridursi proprio a completo soprammobile di pessimo gusto. A cosa gli sarebbe servito, in fondo? Il progetto che lo aveva portato su Lakshmi aveva fatto la fine di un uovo fresco caduto dal quindicesimo piano...
Così vagava per la città, come si diceva, cercando di vederne il più possibile e di memorizzarne il più possibile. Una strana e immotivata sensazione che non vi sarebbe più tornato lo aveva preso, impanato e adesso lo rosolava a fuoco lento, senza che la realtà esterna gli avesse offerto la minima motivazione per lasciarsi andare alla deriva in quel mare di fantasie. Pure, lo faceva. Perché da un certo punto di vista era plausibile, no? Per un dato valore di plausibile. Se ci pensavi proprio bene e non chiudevi gli occhi davanti alle mille possibilità dell’esistenza.
Chakra lo aveva convinto a seguirlo in quello che continuava a definire “il suo anno sabbatico”, o la sua vacanza estesa in giro per i mondi coloniali. Sarebbero partiti a fine inverno. Sarebbero tornati a fine inverno successivo, salvo imprevisti, e sempre che l’amico non fosse colto da altre idee balzane o peti cerebrali di altro genere. Nel mezzo, avrebbero girato per qualche altro pianeta, si sarebbero misurati con nuove culture, nuovi luoghi, nuova gente e presumibilmente nuovi modi di divertirsi, trattandosi di un progetto di Chakra. Trattandosi di un progetto di Chakra, poi, era quasi certo che a divertirsi sarebbe stato soltanto lui, mentre Matteo ci avrebbe messo al massimo la faccia, di tanto in tanto, per prendersi una qualche torta volante.
Pure, era sempre meglio dell’alternativa. Soprattutto perché non ne aveva una.
Nel corso dei suoi pellegrinaggi senza meta per le vie invernali e svuotate di Varshi, nonché quiete e un poco malinconiche, Matteo si ritrovò più volte a ripercorrere le proprie masturbazioni mentali preferite, sia perché gli piacevano, sia perché rientravano nel suo personaggio, o almeno rientravano nel personaggio che si era immaginato di essere più o meno all’inizio dell’adolescenza e che ancora non lo aveva abbandonato. Lo stesso personaggio deleterio che era alla base della discutibile scelta di emigrare su Lakshmi a studiare la letteratura dei mondi coloniali, una scelta che possedeva tutta la praticità di un coltello di sughero, guardandola a due anni di distanza.
Le fontane erano disattivate, la gente al coperto, tutto era tranquillo e lui non sapeva cosa fare. Cosa fare in generale, non solo in quel momento specifico. Cosa fare della propria vita. Dubitava che lo avrebbe scoperto andando in giro con Chakra, ma era sicuro che non lo avrebbe scoperto restando lì a studiare qualcosa che, ormai, per lui non aveva più senso e, diciamolo pure, non gli interessava più un granché. Era molto più noiosa di quanto avesse pensato, la letteratura dei mondi coloniali: il registro linguistico preferito era piatto, arido, quasi grezzo, e pure lo stile più diffuso era parecchio discutibile, per non dire brutto. Avrebbe scelto qualcosa di molto diverso, potendo tornare indietro, ma indietro non gli era rimasto niente a cui tornare. E neanche davanti, in realtà.
Suo padre era sparito da quasi vent’anni. Sua madre era morta. Suo fratello era su Madre sotto falso nome come colono (immagine che ancora continuava a sbattergli moscosamente contro le pareti del cranio, rifiutandosi di entrare). E lui? Lui viveva su un pianeta che possedeva la pregevole virtù di mantenere indiscriminatamente tutti i suoi abitanti, unita al meno pregevole vizio di spiarli in ogni momento, per verificare che si comportassero a dovere. Anzi, di indurli ad autospiarsi e denunciarsi a vicenda, non appena qualcuno superava una delle tante righe che delimitavano la società. Con simili premesse, a cosa poteva servire continuare a studiare letteratura? Soprattutto se non avevi più alcun motivo concreto per tornare sulla Terra a (cercare di) insegnarla.
Il mite inverno di Varshi non glielo diceva, ma almeno gli confermava che, nel peggiore dei casi, lì avrebbe sempre trovato un posto, se accettava la vita del pesce rosso. Ora come ora, Matteo non la trovava poi così spiacevole, soprattutto se paragonata alle alternative. Doversi inventare un futuro da zero, per esempio. Non se ne sentiva capace, al momento. Continuare a vivere in un mondo-utero come Lakshmi, dove poteva esistere senza preoccuparsi di nulla, a patto di non disturbare e appunto non pensare a nulla, era una prospettiva molto più affascinante di gettarsi nell’ignoto esterno.
Altra cosa di cui non si sentiva capace era di affrontare sul serio il suo vecchio gruppo di amici. Che poi non era così vecchio, in effetti, e forse neppure così amico. Il breve incontro con Indira, che non era riuscito a evitare nonostante tutto, lo aveva confermato nella sua opinione amorfa e amebica che sarebbe stato meglio lasciare che ci pensasse il tempo. Girare alla larga, non farsi più vedere, sentire o percepire in altro modo, farsi ectoplasma: se si fosse comportato così, prima o poi loro avrebbero capito e tutto si sarebbe concluso in pace, giusto? Era normale perdersi di vista a quel modo. Oggi amici, poi domani si cambia strada, si cambiano abitudini, e gli amici di ieri rimangono nello ieri, senza contatti col presente o il futuro Succedeva. Era praticamente l’essenza stessa della vita, per come l’aveva vista lui. Andarsene altrove con Chakra, per un anno, avrebbe solo aiutato.
Ma anche quello era un non scegliere. Quell’idiota di suo fratello aveva scelto, aveva fatto qualcosa, aveva ottenuto qualcosa. Qualcosa di negativo, vero, e in gran parte aveva fatto solo danni, almeno a sentire i due funzionari di ambasciata, che lo avevano raggiunto a Nuova Kalighat, ma per quanto negativo restava comunque qualcosa e qualcosa era molto più del nulla che aveva al proprio attivo il presunto fratello maggiore. Aveva proprio di che sentirsi orgoglioso.
«Perché tu preferisci pensare a fare qualcosa, invece di alzarti e farla,» gli aveva detto Chakra. «Se stai sempre seduto, ti viene il culo piatto e non vai da nessuna parte. Per questo verrai un po’ in giro con me. Vedrai altri posti, altri modi di vivere e pensare, assaggerai cosa ci sia nella galassia e cosa non ci sarà mai qui su Lakshmi, eccetera eccetera. Male non ti farà di sicuro e magari il nostro brutto addormentato si deciderà a svegliarsi»
A Matteo sfuggiva il nesso logico tra i due elementi, ma era normale che ti sfuggisse qualche nesso logico, quando parlava Chakra. Potevano sfuggirti anche molte altre cose, di cui la pazienza era solo l’esempio più classico, ma i nessi logici erano anguille nei discorsi della sua attuale balia. Sharma al contrario era stato molto preciso e comprensibile, logico e razionale, questo e quello, ma Sharma aveva anche avuto la discutibile abitudine di spiarlo in continuazione ed era tutto da dimostrare che avesse perso l’abitudine. Spiarlo e controllarlo per il suo bene. Matteo non l’avrebbe digerita mai, o così pensava al momento, nell’inverno prima della partenza. Odiava le persone che sostenevano di far qualcosa solo per il suo bene: decidere cosa sia bene per un altro e poi imporglielo, per plasmare la sua vita come vuoi tu, è solo prepotenza caramellata di ipocrisia. Ma a Sharma era meglio non pensare. Gli lasciava solo amaro in bocca, oltre che un poco di schifo.
Di tanto in tanto spendeva un pomeriggio al centro culturale terrestre, tra le solite facce. Dalla Terra non arrivavano più notizie diverse dall’ordinaria amministrazione e tutto sembrava essersi quietato: c’erano i soliti morti per incidenti, o perché qualcuno andava fuori di testa, o per la frana di questo, la valanga di quello, l’inondazione pepperepè, il tifone papparapà, ma niente di particolare, niente che fosse fuori dall’ordinario. Niente più Isolazionisti, niente più quarantene, niente di niente. Tutto piatto, di un piattume che non conosceva orizzonti. Anche le solite discussioni dei soliti noti erano la solita noia, dove le solite frasi si ripetevano come se non ci fosse un domani.
Qualcosa di diverso ci fuò soltanto verso la fine dell’inverno, quando la prima partenza di qualche rilevanza portò una ventata di novità nei ritmi consueti, oltre a svecchiare un poco l’ambiente fermo e mummificato del centro culturale stesso. Partiva Steve Dingledine, il laureato, che ritornava sulla Terra per un poco, prima di abbandonarla di nuovo e puntare verso Madre, dove lo attendeva la sua futura carriera da specializzando. Ammesso che di carriera si potesse parlare.
«Non è detto che resterò là a lavorare per il resto della mia vita, sia chiaro,» aveva detto in uno dei suoi ultimi pomeriggi al centro culturale terrestre di Varshi. «Starò là per tutta la specializzazione e forse anche un poco di più, a seconda di come mi troverò, ma poi...»
«Poi ti butteranno fuori a calci, dopo aver visto come sei incompetente,» aveva risposto la sempre simpatica e cordiale Maelle Prsic. «O ti innamorerai di una mosca e metterai su famiglia là. Sì, me lo posso immaginare uno sviluppo come questo, da uno come te.»
«Ancora questa storia delle mosche? È passato più di un anno, se non te ne sei accorta. Certo che tu dai proprio un nuovo significato alla parola “monotona”. Trovati almeno qualcos’altro da dire, sul serio: non sei più divertente neppure come parodia di te stessa.»
«Non vale la pena di utilizzare troppo i neuroni, con uno come te. Riciclare la stessa battuta per più di un anno è sufficiente. E poi sei tu che pensi sempre a insetti e mosche.»
«Le mosche sono insetti, nel caso non te ne fossi accorta. A ogni modo, prima farò tappa sulla Terra, a casa, per riposarmi e cambiare il bagaglio, poi me ne andrò su Madre. Quando avrò finito con la specializzazione, poi, penserò a cosa fare. Potrei anche rimanere là, se avrò trovato qualcosa che mi interessa approfondire, oppure tornerò sulla Terra, o magari andrò a continuare su un qualche altro pianeta. Sarò qualificato a sufficienza per potermelo permettere, vedrete.»
«Certo, certo, dicono tutti così, prima di finire a fare i disoccupati a vita.»
Ma Steve non sarebbe finito a fare il disoccupato a vita, o almeno così si augurava. Sapeva che non c’era ancora molto spazio su Madre, per lui e nuovi studiosi, ma confidava che un posto lo avrebbe potuto ricavare, da qualche parte. Aveva sentito dire che la popolazione non direttamente produttiva era presente in una percentuale un poco troppo alta, per una colonia nata da poco e bisognosa quasi di tutto, e nuovi coloni erano ben più richiesti di nuovi accademici. Fonti ufficiali, poi, gli avevano confermato che non erano solo voci, ma possedevano anche una base di realtà: avrebbero gradito di più le braccia che le teste, su Madre, ma un posto da specializzando lo avrebbe avuto ugualmente. Per adesso, quantomeno.
E per dopo? Per dopo ci avrebbe pensato dopo. Steve non si era spinto troppo in avanti coi progetti, ma confidava che una ricerca sugli insetti gli avrebbe almeno dato un vantaggio su altri concorrenti: durante e dopo la quarantena, gli insetti erano diventati un tema caldo e chi li studiava doveva avere un qualche tipo di priorità, giusto? Priorità che non sarebbe durata a lungo, d’accordo, ma niente dura mai a lungo. L’importante era che durasse abbastanza. Così sarebbe andato su Madre, avrebbe continuato gli studi sugli insetti che Maelle amava tanto deridere e poi... E poi si vedrà. Avrebbe deciso in base ai risultati, al posto e quant’altro.
Matteo Kori lo aveva invidiato, in quel momento: nonostante la pettinatura ridicola che si ritrovava e la faccia non particolarmente gradevole, Matteo aveva invidiato Steve Dingledine. Forse per una frazione di secondo o forse per qualcosa di più, aveva anche desiderato essere come lui. Perché, pur con tutti i suoi difetti, Steve aveva almeno una idea sul futuro e su dove andare. Aveva un progetto. Aveva una laurea utile. Aveva anche molte altre caratteristiche per le quali nessun ominide sano di mente lo avrebbe mai invidiato, e forse neppure quelli insani di mente, ma non era quello il punto. Il punto era la visione, il progetto, le intenzioni. Sotto quegli aspetti, il neolaureato Steve Dingledine si trovava in una posizione invidiabile, soprattutto per un mezzo sorcio sperduto come Matteo.
Un anno prima era stato il turno di Bogdan, che tornava a casa con un posto di lavoro ad attenderlo, come nuovo planetologo all’Ufficio per la Colonizzazione. Persona indicibilmente più invidiabile di Steve e persona che, di recente, era partita di nuovo, ma per Svarga. Per portare avanti una ricerca rivoluzionaria, gli aveva detto in un messaggio, una ricerca che avrebbe cambiato la planetologia e lo avrebbe reso lo scienziato più famoso dell’epoca. O almeno così aveva dichiarato l’amico, con la modestia che spesso lo contraddistingueva, quando si trattava del suo campo di studi. Steve aveva ambizioni molto più basse, modeste, ma aveva comunque qualcosa. Un futuro. Mentre lui...
«Loro si laureano e sanno già dove andare. Io invece non so neanche se laurearmi,» si era lagnato quella sera con Chakra, in stanza. «Non so neanche cosa ci faccio ancora qui.»
«Ti fai mantenere dal pianeta, mentre giochi alla lagnetta piagnucolosa,» gli aveva risposto Chakra, senza neppure alzare gli occhi dalla sua lettura. «Sulla tua cara Terra ti avrebbero già buttato fuori a calci, costringendoti a lavorare per mangiare. Qui, invece, puoi mangiare senza lavorare. Per questo ti fai le seghe su ogni cosa. Troppo tempo libero e troppo niente dentro il cranio. Ma in fondo va bene così: Lakshmi è un pianeta fatto su misura per quelli come te, che vogliono solo mantenersi in vita e non fare nulla, giocare agli animali all’ingrasso e divertirsi, e non fare nulla. Un mondo per chi ha deciso che vivere è sufficiente e non serve cambiare qualcosa, o cercare qualcosa.»
«Certo che tu sei sempre gentile, eh?»
«Certo che tu sei sempre una lagna, eh? Te lo avevo già detto a fine estate, se ti ricordi. Hai perso il tuo obiettivo? Bene, cercatene un altro. Decidi cosa vuoi fare con te stesso. E tu lo hai fatto? Direi proprio di no. Se vuoi restare per sempre qui su Lakshmi a farti mantenere dal pianeta, fai pure. Lo sai come funziona, no? Il pianeta ti mantiene e tu in cambio fa il pesce rosso nella boccia di vetro. Non concluderai mai niente nella tua vita, resterai per sempre una pianta grassa, che mangia, dorme e caga, ma almeno vivrai. Di tanto in tanto ti divertirai e magari troverai anche qualcuna con cui ti potresti accoppiare, o qualcuno se le tue preferenze vanno in quella direzione. Una prospettiva che non dovrebbe dispiacere a uno come te.»
«Le piante grasse non dormono e non cagano.»
«Sicuro? Sei mai stato una pianta grassa?»
«No, però...»
«Però e piuò. Sempre a fare la piattola sui peli del naso e mai che guardi all’insieme. Davvero, non so neanche perché ti porto con me in giro. Dovrei lasciarti qui con Sharma, siete proprio una bella coppia insieme. Due cateteri usati e da buttare.»
«Ma te le studi di notte le cose che dici?»
«No, le improvviso. Avere sempre qualcosa con cui ribattere è necessario, nel mio corso di studi. O lo sarebbe, se avessi intenzione di praticare in futuro. Ancora non l’ho deciso, ma ci penserò. Non ho carenza di tempo e non lo spreco a piattolare per il mondo. Sei così inutile che non ti sei neppure fatto venire uno straccio di idea su che razza di vita vorresti fare?»
«Non lo so bene. Non è facile da decidere, sai...»
«I bambini delle elementari hanno meno difficoltà di te a pensare a cosa vogliono fare da grandi. Te l’ho detto, finirai a fare la pianta grassa qui su Lakshmi, da bravo parassita sociale a cinque stelle. Ma va bene così, dopotutto è il motivo per cui Lakshmi esiste.»
«Che cosa?»
«L’asilo nido per chi rifiuta di crescere e scegliersi una vita. L’utero più grande della galassia, se la preferisci come immagine. Finché resti qui, non devi pensare a niente: il pianeta ti mantiene, ti dà cibo, vestiti, una casa, divertimenti, blablabla, questo e quello. Il perfetto stato sociale: il pianeta sociale. C’è la storia del principio di responsabilità, ok, ma è un modo come un altro per dire ai bambini di fare i bravi e non rompere le palle. Alcuni se ne prendono una dose maggiore, da piccoli, e così credono davvero alla storia della responsabilità: sono quelli che diventano medici, tecnici e palle varie, perché lo percepiscono come un dovere a cui non si possono sottratte e pepperepé. Il che è comodo per gli altri, non trovi? Alcuni fessi lavorano, perché sono convinti di doverlo fare per un qualche tipo di morale distorta, e tutti gli altri si grattano. Tu sei fatto apposta per questa vita, con un pianeta che ti mantiene. Sei un numero fatto di carne.»
«E tu cosa saresti allora, eh?»
«Uno che si fa mantenere dal pianeta e non ha alcuno scrupolo a parassitare, per adesso. Per dopo si vedrà. Dipende da come andrà il viaggio.»
Matteo si era azzittito, a quel punto. Avrebbe potuto ribattere, continuare con quella specie di litigio da bambini, ma non lo aveva fatto. Non ne valeva la pena. E poi era quasi sicuro che avrebbe perso. Perché sì, per quanto strano e improbabile, pareva proprio che Chakra avesse in testa qualcosa. Pure lui un progetto? Possibile. In fondo non c’era motivo per cui tutti dovessero possedere un carattere da paramecio, come il suo. Se lui non riusciva a trovare qualcosa da fare, non era detto che lo stesso discorso valesse anche per il resto della galassia.
Due giorni dopo Steve Dingledine partì. Laurea virtualmente in tasca, una giornata serena e calda a dargli l’addio. Solo la giornata, perché nessuno lo avrebbe accompagnato nel viaggio verso la città di Mathurnath, dove si trovava l’ascensore, e nessuno lo avrebbe salutato alla stazione. Non doveva aver legato molto coi compagni di corso, durante i suoi anni di studio. Ma sorrideva, Steve, e aveva anche fatto uno sforzo per pettinarsi. Poco riuscito, ma meritava una lode per la buona volontà.
«Non so se vi capiterà mai di venire su Madre, mentre ci sarò anch’io, ma nel caso fatemi sapere in anticipo, così cambierò zona,» disse, in quella che probabilmente sarebbe dovuta essere una battuta spiritosa, almeno nelle intenzioni. I pochi presenti la trovarono divertente come un calcio in testa.
«Non credo proprio che verrò, ma nel caso non te lo farò sapere. Mi porteresti tutte le mosche della colonia,» rispose Maelle. «Magari passerà il nostro collega pseudofisico, che tanto non ha voglia di laurearsi.» Puntò il pollice verso Roger Snyder, poco più indietro, che invece non aveva fatto alcuno sforzo per pettinarsi o rimuovere la sostanza sospetta che luccicava sui suoi capelli.
«Ho voglia di laurearmi, ma solo quando mi sentirò pronto. Non mi accontento di tornarmene sulla Terra con uno straccetto di carta virtuale, se mi restano lacune e non sono pronto per la successiva fase lavorativa. O ci si laurea bene o non ci si laurea affatto. Niente mezze misure.»
«Capisco, quindi non ti laureerai affatto e resterai qui a farti mantenere dal pianeta. Chiedi anche lo shampoo, già che ci sei: miglioreresti il panorama di chi si siede dietro di te.»
Steve roteò gli occhi. «Potreste almeno salutarmi senza litigare, grazie? Comunque, io per qualche anno sarò su Madre. Se mai doveste avere voglia di cercarmi, saprete dove trovarmi. Se invece non mi cercherete proprio, non me ne lamenterò.»
«Tanto avrai le tue mosche con cui divertirti.»
«Maelle, te lo hai mai detto nessuno che hai la simpatia di un attacco di diarrea, mentre sei chiuso in ascensore con altre cinque persone?»
«Sì, tu proprio adesso. E non voglio sapere perché le persone devono essere proprio cinque.»
Matteo non andò oltre i semplici saluti, buon viaggio, arrivederci a forse mai. Cosa avrebbe dovuto dire, in fondo? Non è che si conoscessero poi molto. Ok, di tempo assieme ne avevano trascorso fin troppo, volenti o nolenti, e Steve era più o meno una porzione parlante dell’arredamento nel centro culturale terrestre. Da un punto di vista molto particolare, si poteva persino dire che era una parte della vita stessa di Matteo, grossomodo quanto lo era il portone di ingresso o l’asse del gabinetto nel suo alloggio. Era anche una persona dimenticabile, molto dimenticabile, e se aveva deciso di lasciar marcire i ponti che lo univano al gruppo di Sharma e Indira, perché si sarebbe dovuto preoccupare di un individuo periferico come Steve?
E infatti non se ne preoccupava. Non davvero. Solo che sarebbe andato su Madre, dove suo fratello viveva in incognito, e quello... E quello. Punto. Meglio non andare oltre.
Andò Steve, invece. Dopo gli ultimi saluti e le ultime battute di pessimo gusto regalate da Maelle, il nostro terrestre neolaureato in exologia abbandonò la città di Varshi, per dirigersi verso Mathurnath, nonché verso il caldo. Non che a Varshi facesse davvero freddo, ma Mathurnath era sull’equatore ed era difficile trovare una fascia più calda di quella equatoriale, in un qualunque pianeta abitabile. Era possibile di tanto in tanto trovare singoli punti più caldi, ma una intera fascia? No, decisamente no.
Non che sarebbe stato un problema reale, dato che vi si sarebbe fermato soltanto per poco. Per una notte, forse, prima di salutare la superficie di Lakshmi e montare sull’ascensore spaziale, che da là lo avrebbe portato alla stazione e sulla stazione lo avrebbe atteso una nave per la Terra. Per casa. Una nave su cui avrebbe speso un paio di settimane, coi suoi pochi bagagli e i suoi tanti progetti per il futuro. Ancora piuttosto vaghi, è vero, almeno su una scala a lungo termine, ma progetti erano e progetti sarebbero rimasti. Perché prima c’era Madre. Si era documentato un poco sul mondo che lo avrebbe accolto nel giro di qualche mese, ma solo su una ristretta parte del mondo: quella che lo avrebbe riguardato, insetti e centri di studio sull’argomento.
E il resto? Il resto lo avrebbe scoperto e appreso sul campo, se proprio doveva e non poteva farne a meno. Niente di cui preoccuparsi, comunque, e infatti Steve non se ne preoccupava. Perché avrebbe dovuto? Non si era preoccupato all’arrivo su Lakshmi, anni prima, e quella era stata la sua prima esperienza su un altro pianeta, affrontata con una buona conoscenza della lingua locale e una nulla conoscenza della vita locale. Eppure se l’era cavata abbastanza bene, no? Sarebbe successo anche su Madre, senza dubbio. O così pensava, mentre partiva.
Il tragitto era lo stesso che Matteo e gli altri avevano percorso un anno prima, per accompagnare Bogdan, e che Matteo avrebbe ripetuto a breve assieme a Chakra, stavolta con una meta vaga e non ben definita almeno per lui: da Varshi a Mathurnath, da Mathurnath alla stazione orbitale. E poi? E poi per Steve c’era la Terra, ma per Matteo e Chakra cosa ci sarebbe stato? Uno dei due interessati ancora non lo sapeva, anche se avrebbe gradito molto saperlo.
Lo chiese all’amico quella sera, in alloggio, mentre fuori un vento già primaverile profumava le vie e infastidiva i primi insetti, ancora non nocivi ma rumorosi a sufficienza. Sarebbero partiti e per un anno avrebbero viaggiato, ok, ma cosa si doveva aspettare come prima tappa?
«Ti ho detto che non te ne devi preoccupare,» gli rispose Chakra, stravaccato sul letto. «Lascia a me tutto ciò che è pratico: tu non ne sei capace. Pensa solo a guardarti attorno, quando saremo arrivati, e se vuoi anche durante il viaggio. E decidi cosa fare con la tua vita del cavolo!»
«Sì, ma almeno potrei informarmi prima, se tu mi dicessi dove andiamo.»
«Ecco, ottima ragione per non dirtelo. Se ti informi prima, fai solo cazzate. Se non ti informi prima, fai sempre cazzate, ma almeno saranno più creative. Le improvviserai, invece di preparartele con un mese di anticipo. È una delle vostre unità di misura, il mese, giusto? Vostre sulla Terra, dico.»
«Sì, ma non c’entra niente adesso. Un mese dura trenta giorni, oppure trentuno. O anche ventotto o ventinove, ok, ma noi partiremo fra meno.»
«Poi un giorno mi spiegherete cosa ve ne fate di unità di misura che non misurano niente, perché la loro durata cambia più spesso delle tue mutande. Terrestri, appunto. A ogni modo, me lo ha già detto il tuo amico Bogdan cosa combini, quando ti vuoi preparare. Meglio se non ti prepari.»
«Io le mutande me le cambio ogni giorno e comunque il mese corrispondeva al tempo che il nostro satellite impiega a girare attorno alla Terra, anche se poi il numero si è incasinato un poco, con tutte le modifiche al calendario, e comunque anche questo non c’entra niente. Io dicevo del pianeta su cui andremo. E poi cosa ti avrebbe detto Bogdan su di me, scusa?»
«Oh, mi ha raccontato di quanto bene tu ti fossi preparato sulla società lakshmita e di quanto tu gli abbia rotto le palle durante il viaggio verso qui, per farti spiegare tutto. A conferma che non ti sai preparare ed è meglio se non lo fai proprio, vedi? Arrivaci senza sapere niente e raccogli tutto ciò che ti serve direttamente sul posto. È il modo migliore per conoscere davvero qualcosa.»
«Non mi sembra molto valido, come metodo didattico.»
«Per te andrà benissimo.»
Matteo sospirò. Non potevi cavare niente da Chakra, quando faceva così. Comunque, il numero dei pianeti su cui potevano andare era piuttosto ristretto, per cui non doveva essere difficile indovinare quale. Poteva anche arrangiarsi da solo.
I pianeti su cui viveva l’uomo erano dodici. Pianeti pianeti, senza contare pianeti di serie B, satelliti e altre basi di vario tipo, sparpagliate qui e là nei vari sistemi solari. Dodici: la Terra, Madre e i dieci mondi coloniali. Nove mondi coloniali, togliendo Lakshmi. E poteva togliere anche Terra e Madre, perché Chakra non sembrava avere intenzione di andare là. Restavano dunque gli altri nove mondi e la loro meta doveva essere uno di loro. Ma quale?
Matteo non sapeva molto di quei pianeti. Non sapeva molto della galassia abitata in generale, se si voleva essere pignoli, e neppure della galassia non abitata: non aveva mai pensato che un giorno ne avrebbe potuto avere bisogno, neppure dopo avere deciso di venire a studiare su Lakshmi. E perché si sarebbe dovuto preoccupare di come erano fatti pianeti lontani anni luce da lui? La sua vita non si sarebbe più mossa dalla Terra, una volta laureato e una volta trovato un lavoro: gli era sufficiente conoscere i nomi dei posti e i loro artisti principali, giusto? Quello che c’era da sapere sulla storia e la geografia lo avrebbe imparato dalle opere locali.
Così gli era sembrato, un tempo, ma poi la vita aveva fatto la vita, come al solito, e i suoi progetti si erano dissolti in un attimo. E adesso avrebbe dovuto conoscere nuovi pianeti. Direttamente. Oh beh, poteva andare peggio. Poteva anche andare molto meglio, in effetti, ma quando eri attorno a Chakra ti conveniva sempre assumere l’altro atteggiamento, ossia quello di chi è scampato al disastro e ha scoperto che c’è sempre nuova terra solida su cui posare i piedi, al di là di qualunque catastrofe.
Bogdan era su Svarga, adesso, a studiare. Sarebbero andati là anche loro? Possibile, ma Matteo non lo riteneva probabile. Chakra non aveva mai parlato di Svarga, di recente, neppure per sbaglio, per cui si sentiva di poterlo escludere dalle destinazioni. Escluderlo come prima destinazione, almeno.
Kemala era su Agni. Sarebbero andati là anche loro? Non gli sembrava una scelta alla Chakra, ma a parte questo non ne aveva idea. Non aveva idea di niente. Forse era davvero meglio ascoltarlo, per una volta, e smettere di pensare a dove sarebbero andati. Tanto lo avrebbe scoperto da sé, alla fine.
Così smise di pensarci e ricominciò a vagabondare per Varshi, sempre evitando tutti i luoghi in cui riteneva possibile incontrare qualcuno di sua conoscenza. Il blando inverno era alle battute finali e la primavera si faceva già sentire, nell’aria prima ancora che nella vegetazione: vento tiepido, quasi umido, e dall’odore strano, sebbene non sgradevole. E insetti che ronzavano non visti, il che era un bonus: non erano tutti molto gradevoli da vedere, gli insetti di Lakshmi. Non lo erano neppure gli insetti terrestri, in effetti, ma quelli lakshmiti vi univano anche la sgradevolezza del non familiare, a completare un quadro che dava un nuovo significato al vecchio motto “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Lontano dalle orecchie sarebbe stato anche meglio, ma pazienza.
Avrebbe desiderato osservare la città dall’alto, giusto per farsene una idea più precisa, ma si trovava in una zona piatta che più piatta non si poteva e la sua architettura non includeva neppure una torre o elemento equipollente. L’aveva osservata dalle immagini satellitari, d’accordo, ma non era proprio la stessa cosa. Oh beh, pazienza anche per quello: alla fine dell’anno sabbatico ci sarebbe tornato, giusto? Avrebbe avuto altre occasioni per vederla. Era solo un arrivederci, non un addio.
«È solo un arrivederci, non un addio, giusto?» chiese una sera a Chakra, quando mancavano ormai due giorni alla partenza per Mathurnath e l’ascensore spaziale.
«Di cosa stai delirando, adesso?»
«Varshi. Qui. Ci torneremo, giusto? Voglio dire, alla fine dell’anno sabbatico o quello che è.»
«Se non hai in programma di morire, farti arrestare o fuggire sotto falso nome su un qualche pianeta come ha fatto il tuo caro fratellino, ci torneremo. O almeno io ci tornerò: tu poi potrai fare quello che preferisci. Ti stai facendo venire qualche paranoia dell’ultimo momento, tanto per cambiare?»
«No, stavo solo pensando.»
«Evento più unico che raro. Segnalo sul calendario, così potrai ricordare anche in futuro questa tua data storica. Già che sei in vena di attività cerebrali, però, pensa piuttosto a cosa mettere in valigia: sarà un lavoro in più che non dovrai fare all’ultimo momento.»
«Ci ho già pensato, grazie, ma se non so dove andremo, non so neanche cosa portare di preciso. Ci sarà freddo? Caldo? Pioverà? Ci sarà il mare?»
Chakra lo fissò in silenzio, accarezzandosi il pizzetto. «Sai, credo che non ti sia ancora ben chiaro il concetto di pianeta. È diverso da quello di città delle vacanze, vedi? Su un pianeta c’è caldo, freddo, tiepido, mite, secco, umido, arido, piovoso, ci sono deserti, ghiacciai, foreste pluviali, oceani, fiumi, laghi, paludi e più o meno di tutto. Perché, e questo è il punto chiave, si tratta di un pianeta. Pianeta. Ed è grande, sai? Ha stagioni diverse in zone diverse. A volte possiede anche lingue diverse in zone diverse, anche se ormai sono più che altro dialetti diversi. Un linguista ti direbbe che, col tempo, dai dialetti si evolveranno lingue e in parte è già vero, perché ogni mondo coloniale parla con accento e lessico leggermente diverso dagli altri, pur restando nell’ambito di un linguaggio commerciale che è chiaro e comprensibile a tutti. E dialetti si sviluppano anche all’interno dei pianeti, differenziando così la parlata di un continente da quella di un altro. Perché, e qui si torna al punto chiave, si tratta di pianeti e i pianeti sono molto grandi. Capisci?»
Matteo scosse la testa infastidito. «Sì, ok, capisco, ma tu continui a non rispondere alla domanda.»
Chakra si afflosciò con un sospiro. «Arriveremo all’equatore. Si arriva sempre all’equatore, come si parte sempre dall’equatore perché è lì che sono costruiti gli ascensori. Fin qui ci sei, giusto? Bene. Il clima all’equatore è più o meno lo stesso in tutti i mondi abitabili dall’uomo, lo sai? Quando poi ci allontaniamo dall’equatore, il clima rimane lo stesso in tutti i mondi abitabili dall’uomo. Qualcuno è un poco più caldo, qualcuno un poco più freddo, ma la media è identica. Il clima è identico. Perché, se il clima fosse molto diverso, il pianeta non sarebbe abitabile dall’uomo. Dovunque andremo, sei certo di trovare gli stessi climi che hai trovato sulla Terra e qui su Lakshmi.»
«Lakshmi è più caldo della Terra attuale.»
«Un paio di gradi al massimo, come media. Non un cambiamento così radicale, giusto? Lo stesso è valido per qualsiasi altro pianeta colonizzato. Il punto è: porta pure quello che ne hai voglia, per prepararti. Tutto il resto lo troveremo sul posto.»
«Ma non abbiamo soldi. Non esistono i soldi, qui su Lakshmi.»
«Ti ho già detto che non te ne devi preoccupare, no?»
«Qualche volta mi piacerebbe anche potermi preoccupare di qualcosa, così mi preoccuperei di meno nel complesso. Più mi dici di non preoccuparmi e più mi preoccupo.»
«Questa l’hai imparata da Sharma, vero? Lo stile sembra suo. Allora preoccupati pure di quello che vuoi, basta che non te ne preoccupi con me. D’accordo?»
D’accordo o meno, così sarebbe stato. Chakra non disse altro e Matteo non chiese altro, visto che di risposte non ne arrivavano. Arrivò invece il giorno della partenza, insolitamente piovoso ma molto meno insolitamente tiepido. Pioggia lieve e passeggera, per quanto poteva giudicare Matteo: le nubi sopra Varshi erano grigio chiaro, non pesanti, e sgocciolavano piano sulle strade poco affollate della città. C’erano risciò di passaggio, qualche avventuroso pedone con ombrello incorporato, ma niente fontane sonore, niente voci, niente ronzii di insetti. Tutto taceva. Era ciò che Varshi aveva scelto per dare loro l’addio? Era il meteo, molto più probabilmente, ma a Matteo piaceva pensarla in modo un poco più romantico e fantasioso.
«Hai portato tutto ciò che non ti serve e lasciato qui tutto il necessario?» gli chiese Chakra prima di uscire dall’alloggio. Aveva soltanto due valigie, non particolarmente grosse, e non sembravano né piene né pesanti. Matteo invece aveva riempito tutto il bagaglio che si era portato dalla Terra, due anni prima, e ancora si sentiva sicuro di avere dimenticato qualcosa.
«Ma non dovrebbe essere il contrario?» chiese. «Portare il necessario e lasciare qui quello che non serve?»
«Dovrebbe. Trattandosi di te, però, è più probabile che accada il contrario.»
«Sempre gentile, mi raccomando.»
«Faccio del mio meglio, grazie. Spero che tu non ti sia portato niente da studiare, perché tanto non studierai. Non che occupi spazio, d’accordo, ma ti renderebbe ancora più piattoloso di quello che sei normalmente. Difficile da credere, ma è così.»
«Non ho portato niente da studiare, non preoccuparti.»
Il che non era vero, ma per adesso poteva andare bene. In realtà aveva una scorta di letture, in parte di svago e in parte di studio (teoricamente), ma come aveva detto Chakra non occupavano alcuno spazio fisico, per cui poteva anche ignorarle. Occupavano spazio in memoria, vero, ma quello non mancava. Non poteva certo viaggiare per un anno senza avere niente da leggere, no?
In teoria avrebbe anche potuto, essendo assieme a Chakra. Nel corso della loro vacanza a Nuova Kalighat, l’estate precedente, Matteo aveva portato la solita scorta di letture, in prevalenza materiale di studio, ma alla fine non aveva letto quasi nulla. Non ne aveva avuto molto tempo. Un intero anno in giro per pianeti, assieme al suo amico irresponsabile, quanto tempo gli avrebbe potuto lasciare per rilassarsi in un divano a leggere? Poco, quasi di sicuro, ma era sempre meglio equipaggiarsi.
Così lasciarono Varshi sotto la pioggia e cominciarono il viaggio verso sud. Mathurnath, poi in alto verso la stazione, e poi? E poi lo avrebbe scoperto. Avrebbe anche dovuto scoprire cosa fare con se stesso e la propria vita, ma quello era già più complicato. Ci sarebbe riuscito? Ne dubitava, ma un tentativo almeno lo avrebbe fatto. Non aveva niente da perdere, giusto?
Sbagliato, ma anche questo lo avrebbe scoperto soltanto col tempo. Sempre che il tempo gli avesse dato tempo per scoprirlo.