La galassia di Madre - 51
La casa nella campagna attorno alla città di Guan Yu, capitale di Svarga, era grande, più di quanto Hideki Einarsson si sarebbe immaginato prima di vederla, ma adesso la vedeva, per cui non c’era più bisogno di immaginare. Bastava constatare. Constatò così che somigliava a una tenuta, più che a una casa o anche solo a una villa. L’edificio principale era modesto, più o meno delle dimensioni di una piccola casa unifamiliare, ma l’edificio principale era, appunto, soltanto l’edificio principale e solo per un dato valore di “principale”. Quello al centro. Quello in cui viveva il proprietario umano.
Attorno a questo edificio principale, però, si era formato un sistema solare di edifici non principali, che però sembravano avere una spiccata tendenza ad apparire più imponenti del primo. Non che ci volesse poi molto, in effetti, ma la dimensione era secondaria, rispetto alla forma, e la forma degli edifici secondari variava da strutture semplici e comprensibili, come una specie di fienile riadattato o quello che, a occhio, doveva essere (stato?) un garage, fino a strutture che erano... beh, altre, per mancanza di termini più precisi per descriverle. Per quel poco che Hideki sapeva di geometria, non esistevano ancora parole che definissero in breve le forme che lo avevano accolto all’arrivo in quel luogo. Forse neppure parole che le descrivessero in lungo, in effetti, ma era un altro discorso.
Assomigliavano anche alle costruzioni che si potevano trovare in città, progettate per gli insetti, ma erano molto più grosse. E no, Hideki dubitava che un essere umano le avrebbe trovate accoglienti. Il che lo lasciava con una sola possibile spiegazione sulla natura di quegli edifici: alloggi per insetti. Strano, per un terrestre, ma in apparenza non strano per uno svarghiano. Ancora meno strano per la persona che era venuto a incontrare e che adesso stava camminando verso di lui, lui fermo davanti al cancello a osservare la bizzarra struttura della casa. O delle case. O quello che era. La proprietaria era una specie di esperta nella comunicazione con gli insetti, o così gliela avevano descritta, e lui lo avrebbe verificato a breve, se tutto andava bene. Kaya Farrell, terrestre trapiantata su Svarga, già partecipante alla seconda missione su Madre, ricercatrice, insegnante adesso in pensione, impegnata a coltivare i propri interessi lontano dal resto della galassia.
Interessi che coincidevano con la curiosità di Hideki Einarsson.
Nei mesi trascorsi dal suo arrivo su Svarga, spesi in gran parte all’ambasciata terrestre ad attendere e inoltrare varie relazioni sugli studi di Bogdan Stratos, il planetologo che il ministro Hass aveva scelto come giocattolo più recente, Hideki aveva avuto tempo in abbondanza per portare avanti un suo studio tutto personale, un passatempo con venature di interesse serio. Uno studio sugli insetti di Svarga e il loro potenziale uso in campo militare. Interesse normale, per chi veniva dall’esercito, e interesse ancora più normale per chi aveva visto quanto onnipresenti fossero gli insetti nella società svarghiana, almeno in apparenza. Apparenza molto forte, a prima vista.
Le città sembravano progettate attorno a loro, anziché sopra di loro, come accadeva invece per altre forme di vita. Gli insetti avevano i propri spazi, i propri edifici, i propri percorsi, e a volte davano realmente la sensazione di poter interagire con gli umani. Interazione che non significava pungerli o infastidirli, ma coabitare, convivere rispettando ciascuno il proprio spazio vitale. Le città di Svarga erano luoghi in cui abitavano fianco a fianco due forme di vita molto differente, entrambe dotate di intelligenza, o almeno sospettate di possederne una: gli umani nuovi arrivati e gli insetti locali.
Ammirevole, da un certo punto di vista. Suggeriva che Svarga avesse scoperto e perfezionato una formula per far coesistere pacificamente umani e natura, o almeno umani e una parte selezionata di natura. Suggeriva che Svarga tenesse davvero alla salvaguardia delle specie autoctone, come tutti i mondi dichiaravano sulla carta, ma raramente applicavano anche nella realtà concreta. Suggeriva un gran numero di cose, più o meno belle e nobili, più o meno profonde e disinteressate, ma nessuna delle quali appariva molto credibile a Hideki il pragmatico. Se gli svarghiani si preoccupano tanto di coccolare gli insetti, è evidente che hanno già trovato un modo per usarli, o confidano di poterlo trovare a breve. Come intendevano usarli, dunque? Era questo l’interrogativo che aveva attratto il suo interesse verso gli insetti, interrogativo che adesso lo aveva portato lì, in campagna, a incontrare una terrestre trapiantata da circa vent’anni su Svarga, forse assimilata, forse no. Kaya Farrell.
Un donnone che doveva avere ormai passato i sessanta ed essere più o meno coetanea di sua madre, anche se decisamente più grossa e decisamente più in forma. Un donnone con una voce da sergente e un approccio pratico e veloce, che mise subito Hideki a proprio agio e lo fece sentire di nuovo in caserma, come quando aveva vent’anni. Aveva anche una stretta di mano a tenaglia, che gli risultò ancora più gradita, dopo tutti i molluschi universitari a cui si era dovuto presentare nel corso delle sue ricerche sugli insetti. Per stringere la mano a qualcuno devi stringergli la mano, non mollargli una specie di gelatina tiepida e umidiccia, accompagnandola con una espressione schifiltosa.
«Così sei tu quello interessato agli insetti, eh?» gli chiese Kaya, accompagnandolo verso la casa, su un sentiero in ghiaia e tra strutture abitative che sembravano costruite da un bambino di cinque anni con gravi disturbi alla personalità. «Me lo aveva anticipato il professor Som, ma non mi ha spiegato bene cosa vorresti sapere. Comunque vieni, mi fa sempre piacere vedere qualcuno dalla Terra.»
Hideki Einarsson non aveva esplicitamente chiesto o concesso l’uso della seconda persona, ma alla Farrell parevano non interessare quei dettagli e in fondo neppure a lui. Lo chiamasse pure come le piaceva, l’importante era che fosse utile per le sue ricerche. Probabilmente non lo sarebbe stata, non molto, ma era di certo il massimo a cui avrebbe potuto aspirare: nessuno avrebbe mai autorizzato un colloquio tra un funzionario dell’ambasciata terrestre, noto per essere un collaboratore del ministro della Difesa, e un qualunque scienziato svarghiano che si stesse occupando di ricerche militari. E dunque, meglio ricavare il massimo dal poco che gli offrivano.
L’edificio principale della tenuta, dove la sua ospite lo fece accomodare, si presentava anche al suo interno come una qualsiasi casetta unifamiliare, nello specifico una abitata da una donna ormai in pensione. Qualche foto sulle pareti o sui mobiletti, una poltrona sistemata accanto alla finestra, un divanetto, leggera penombra, soprammobili di dubbio gusto, alcuni modelli tridimensionali di posti che doveva avere visitato o che le piacevano, un vaso di fiori, un tappeto di poche pretese e una specie di mantide a due teste grossa come un terrier, che lo fissava da un angolo della stanza. Lo fissava prima con una testa, poi con l’altra, poi con entrambe assieme, strofinando come una mosca le quattro zampe sollevate, che spuntavano dalla parte eretta del corpo, segmento anteriore o come cavolo si chiamava. Hideki la osservò in silenzio, mentre si lasciava guidare verso una sedia.
«Oh, non farci caso,» disse Kaya Farrell. «È un po’ timida quando c’è un estraneo, ma è innocua. E comunque non aggredirebbe mai una preda grande come un umano, non senza il resto del branco.»
Hideki studiò con cura il resto della stanza, soffermandosi soprattutto sugli angoli meno illuminati e gli spazi sotto alla mobilia. E anche sopra alla mobilia. Volavano, quei cosi?
«Il resto del branco è fuori da qualche parte, assieme al capo,» spiegò Kaya. «Lei è semplicemente qui come... Beh, diciamo messaggera. Inviata, se preferisci. Non mi è ancora molto chiaro come mi vedano, ma a quanto pare sembrano essere interessati a mantenere un qualche tipo di rapporto con me. Penso che anche loro stiano cercando di capire come potermi utilizzare, sai.»
Come dispensa vivente, pensò Hideki, ma non era il caso di fare battute o commenti di dubbio gusto con una persona che avrebbe potuto fornirgli informazioni utili. E poi il discorso aveva preso subito la direzione che interessava a lui, no? «Quindi lei può comunicare con loro?»
«Comunicare no, non è il termine che userei. Non ancora, almeno. So che possono comunicare tra loro e probabilmente anche con altre specie, anche se questa è soltanto una mia ipotesi, al momento, ma con noi umani... no, per adesso no. Possiamo capirci, più o meno come si fa con un cane o un qualunque altro animale domestico, ma una comunicazione vera e propria rimane ancora piuttosto lontana, anche se mi auguro di poterla avvicinare il più possibile. È anche per questo che sono qui.»
«Ma è sicura che non siano pericolosi, almeno questa specie che ha in casa?»
«Sicura no, se vuoi una garanzia al cento per cento. Non puoi avere una garanzia al cento per cento neppure che il tuo vicino di casa umano non sia un pericolo per la tua vita. Per quanto noi abbiamo visto, però, non sembrano intenzionate a uccidere senza motivo. Possono uccidere per un motivo e non è ancora chiaro quali siano tutti i motivi per cui uccidono ma, di nuovo, lo stesso discorso si può fare anche con gli esseri umani, no? Comunque, penso che anche loro ci stiano studiando, per decidere cosa siamo e cosa potremmo fare. Fino a che non lo avranno capito, non credo che ci sarà un pericolo vero e proprio. Dopo...» e alzò le spalle, serena.
«Ci stanno studiando, mentre noi studiamo loro?»
«Normale. Sono intelligenti, dopotutto, anche se di una intelligenza diversa dalla nostra, basata su valori diversi dai nostri, sensi diversi dai nostri e struttura fisica diversa dalla nostra. Se noi stiamo studiando loro, non vedo perché loro non dovrebbero fare lo stesso con noi. Dopotutto siamo noi gli estranei, venuti a rubare il loro mondo.»
«Quindi quell’insetto è qui per studiare lei, mentre lei lo studia. Se ho capito bene.»
«Possibile, sì. Tutto dipende dal loro effettivo grado di intelligenza, rapportato a una scala umana. E questo ancora non lo siamo riusciti a determinare. Quanto siano intelligenti, intendo, e come la loro intelligenza si possa rapportare a quella umana. Per quanto ne sappiamo, potrebbero anche essere più intelligenti di noi. Dopotutto, al nostro arrivo su Svarga gli insetti erano probabilmente avviati a diventare la nuova forma di vita dominante del pianeta, dopo l’ultima grande estinzione di massa, che ha ridimensionato di parecchio i mammiferi. Lo sai cosa intendo, vero?»
Hideki Einarsson non lo sapeva. Di Svarga possedeva soltanto una conoscenza molto superficiale e che cominciava dal momento in cui gli umani lo avevano colonizzato. Cosa ci fosse stato prima, o come fosse stato prima, erano questioni che non lo interessavano. Avrebbe continuato a vivere più che bene anche senza sapere la storia geologica di quel maledetto pianeta o roba simile, ma la sua ospite sembrava determinata a raccontargliela e interromperla non sarebbe stato saggio. Lui voleva che parlasse, in fondo. Di altre cose, ok, ma da un argomento si poteva sempre giungere a un altro. E poi poteva essere utile. Poteva collegarsi in un qualche modo con la sua ricerca di informazioni sugli insetti. Forse. Con molto ottimismo.
Hideki ascoltò così Kaya Farrell mentre gli spiegava, in versione molto riassunta, come su Svarga si fosse verificata una grande estinzione di massa, circa due milioni di anni prima dell’arrivo della Garuda e il conseguente inizio della colonizzazione umana. Circa due milioni di anni, perché i dati non erano ancora sicuri, i reperti fossili ritrovati erano ancora pochi e insomma una qualche dose di incertezza ci voleva sempre, per fare contenti quegli scienziati. Comunque, la grande estinzione di massa sembrava aver chiuso l’epoca in cui il pianeta era stato dominato dai grandi mammiferi, più o meno come la grande estinzione a fine Cretaceo, sulla Terra, aveva chiuso l’epoca dei dinosauri.
«Ma sulle cause precise non siamo ancora sicuri, sai,» aggiunse Kaya. «L’ipotesi più accreditata, al momento, è una sequenza di violente eruzioni vulcaniche, che avrebbero provocato un accumulo enorme di polveri nell’atmosfera, causando di fatto un inverno atomico, come lo si chiamava una volta. Questo sarebbe durato per alcuni secoli, un periodo durante il quale tutti i grandi mammiferi e altri animali di grandi dimensioni si sarebbero estinti. Questo però è un punto su cui vi sono ancora grandi incertezze e grandi litigi e molti ti balzerebbero alla giugulare, se tu esponessi questa ipotesi nel posto sbagliato e col pubblico sbagliato.»
Hideki non aveva la minima intenzione di esporre quella o altre ipotesi di fronte a nessun tipo di pubblico, ma sorrise e annuì comprensivo. Fosse come fosse, il cosiddetto inverno atomico era poi passato, ma i mammiferi non si erano ancora ripresi dalla batosta. Ce n’erano, sia chiaro, e molti di loro si erano guadagnati un ruolo da protagonista nella cucina locale, ma niente che si avvicinasse al livello raggiunto prima dell’estinzione di massa. Perché gli insetti avevano sopportato molto meglio il periodo di “inverno”, la loro naturale prolificità aveva portato a una selezione molto più rapida e radicale, avevano saputo sfruttare al meglio quella intelligenza che forse già possedevano almeno in parte, e insomma alla fine erano stati di fatto gli unici a beneficiare della fase di estinzione.
«I modelli che abbiamo elaborato ci mostrano che, nel giro di qualche milione di anni, gli insetti si sarebbero imposti come forma dominante, con esemplari molto più grandi degli attuali, molto più specializzati e probabilmente anche molto più intelligenti. Salvo imprevisti, quasi sicuramente una o più delle loro specie avrebbe prodotto una civiltà vera e propria, alla fine. Non ci è ancora chiaro quanto alla fine, ma coi modelli si sa, non puoi mai essere troppo preciso. Sono solo stime, basate su dati che possediamo oggi e domani potrebbero cambiare. Comunque, l’idea generale è che prima o poi sarebbe successo come per noi umani sulla Terra, in altri termini, ma in questo caso con una specie di insetti a recitare il nostro ruolo.»
«Tutto questo al condizionale, però.»
«Tutto questo al condizionale, hai ragione. Bisogna sempre utilizzare il condizionale, soprattutto se si elaborano proiezioni future sulla base di dati incompleti. Non tutti se ne ricordano, ma tutti lo dovrebbero usare. E poi la nostra proiezione si basa su una situazione che ormai non esiste più, dato che lo stato del pianeta è cambiato molto.»
«Perché siamo arrivati noi umani, giusto?»
«Perché siamo arrivati noi umani, già. Lasciata a se stessa, la vita su Svarga avrebbe probabilmente seguito lo sviluppo del modello da noi elaborato, coi mammiferi che tornano a essere una forma di vita secondaria e gli insetti che si impongono come forma dominante, almeno fino al prossimo giro sulla giostra delle estinzioni. Con l’arrivo di noi umani, che siamo mammiferi anche se differenti da quelli autoctoni, e con l’arrivo di tutti gli animali che noi umani ci siamo portati da casa, lo sviluppo futuro della vita su Svarga è diventato molto incerto. Continuerà, questo è certo, e non basteremo noi umani ad annientare l’ecosistema del pianeta, per quanto ci stiamo impegnando a farlo, ma in che direzione continuerà? Gli insetti proseguiranno nella corsa verso il ruolo di forma dominante, o la comparsa di nuovi mammiferi evoluti ribalterà la situazione, portandoli a dominare di nuovo il pianeta, come era successo prima dell’ultima estinzione?»
Domanda molto interessante e Hideki Einarsson non dubitava che molti scienziati si stessero già riempiendo gioiosamente le mutande, al pensiero di poterlo studiare in diretta. Ma tutto questo cosa c’entrava con gli insetti? Con l’insetto che la sua ospite si teneva in casa, nello specifico. Decise di chiederlo, sperando di non doversi sorbire un’altra ora di lezione. Il che era pur sempre meglio che ascoltare un’ora di storie dei suoi eventuali nipotini o roba simile, d’accordo, ma se fossero riuscito a farla parlare di qualcosa pertinente ai suoi interessi, magari...
«C’entra perché, come ti ho già detto, ancora non sappiamo quantificare di preciso il livello che la loro intelligenza ha raggiunto. Sappiamo che sono intelligenti, sappiamo che hanno formato i primi abbozzi di società e forse anche di civiltà, almeno per un dato valore di civiltà, ma quanto sono intelligenti? Quanto capiscono del mondo che li circonda? E quanto del mondo su cui vivono? Se il loro livello fosse davvero comparabile a quello umano, è anche possibile che ci percepiscano come invasori a un livello molto più alto rispetto a quanto potrebbe farlo un animale che vuole proteggere il proprio territorio da altri predatori. Per quanto ne sappiamo, è anche possibile che alcune specie di insetti non solo ci percepiscano come invasori, ma stiano anche preparando qualche tipo di strategia per liberarsi di noi, con le buone o le cattive. Varie specie potrebbero anche decidere di collaborare tra loro per eliminarci. È molto fantascientifico, lo so, ed è anche piuttosto improbabile, ma resta pur sempre una possibilità da considerare. In più di tre secoli non è successo nulla, è vero, il che rende meno probabile una ostilità aperta tra noi e loro, ma impossibile? No, meglio non utilizzare questo termine. È un termine molto stupido, se non si riferisce a una impossibilità fisica.»
«E dunque lei perché vive qui in mezzo agli insetti, mi scusi la domanda? Non ne capisco il senso.»
«Per studiarli, ma soprattutto per cercare di comunicare con loro. Stabilire una relazione con loro. Ti dicevo la stessa cosa anche all’inizio, no? È possibile comunicare con loro, meglio di quanto potrei comunicare con un cane addestrato. Il problema è che non capisco cosa vogliano. Un membro del loro branco è qui, vive con me praticamente tutti i giorni, mentre gli altri sono fuori a caccia, oppure a sistemare le proprie abitazioni, o anche a commerciare con altre specie di insetti. Perché sanno commerciare, te lo garantisco. Vero, non so se commercio sia il termine adatto, ma scambiano certi oggetti con insetti di altre specie, per cui è probabile che lo possiamo definire commercio, no?»
«E l’insetto che vive con lei?»
«E l’insetto che vive con me... vive con me. Punto. Io studio lui, o meglio lei, sono quasi sicura che sia una lei, ma maschi e femmine sono pressoché indistinguibili in questa specie, davvero. Stesso aspetto, stesse dimensioni, stesse attività. Parità di sessi totale, potremmo dire. Comunque, ti dicevo che io studio lei e lei probabilmente studia me. Credo anche che faccia rapporto su di me agli altri che la vengono a trovare, di tanto in tanto, ma forse sono paranoica io, che ne dici? Forse cerco di attribuire attività e regole umane a una specie che di umano non ha nulla, ma è difficile non farlo, te lo assicuro. Proprio come è difficile non umanizzare un animale domestico, sai.»
Hideki non aveva mai avuto animali domestici, né desiderava averne, ma era disposto a crederle in fiducia, soprattutto perché non gliene fregava nulla. Erano le possibili implicazioni nell’intelligenza di quegli insetti a interessarlo, non il loro possibile valore come surrogato emotivo per una vecchia zitella che viveva in campagna su un altro pianeta. La sua posizione iniziale, o la sua ipotesi, se la si voleva mettere in termini scientifici, era che il governo di Svarga stesse cercando un modo per usare gli insetti a proprio vantaggio. Ipotesi probabile e ancora non smentita. Che però gli insetti stessero cercando di usare gli umani a proprio vantaggio, o anche soltanto di liberarsi degli umani, era una idea che non lo aveva mai sfiorato. Erano insetti, che cavolo! Gli insetti non sono così intelligenti o evoluti. Ma gli insetti di Svarga sì. Come doveva affrontarla? Prenderla sul serio o riderne?
«Ho visto che ci sono spazi per gli insetti in tutte le città, o almeno in tutte le città che ho visitato. È anche questo un modo per studiarli? Oppure un modo per fare amicizia?»
Kaya Farrell alzò le spalle. «Entrambe le cose. Progettazione e installazione, nonché miglioramenti e manutenzione di base, sono a cura della sezione entomologica delle facoltà di exologia locali. È il settore che attira il maggior numero di studenti dagli altri mondi coloniali, dopotutto, proprio come l’archeologia attira studenti e ricercatori su Madre, per esempio. Sono famosi, gli insetti svarghiani. Per fare amicizia... beh, potremmo anche metterla così. Non è il termine che utilizzerei io, ma rende l’idea, no? Almeno in una sua versione molto utopistica e idealizzata.»
I tentativi di comunicare con gli insetti erano cominciati circa due secoli prima, grossomodo quando era stato scoperto che alcune specie di insetti potevano comunicare, in teoria. Comunicare tra loro e con altre specie, almeno, e in linea teorica era anche possibile ipotizzare che disponessero dei mezzi per comunicare pure con gli esseri umani, una volta trovato un linguaggio che potesse fungere da strumento per comprendersi. Il che, però, si era dimostrato molto più semplice sul piano teorico che su quello pratico, come generazioni di entomologi avevano dovuto imparare a proprie spese, spesso con accompagnamento di punture e morsi.
Non avevano funzionato i suoni, i colori, gli odori. Non avevano funzionato gli ormoni che usavano gli insetti terrestri, né quelli estratti dagli insetti locali. Esami approfonditi dei centri nervosi degli insetti, che possedevano una struttura molto simile al cervello di mammiferi terrestri come i cani, si erano dimostrati utili di nuovo soltanto in teoria, perché avevano confermato la possibilità di una comunicazione, ma non avevano chiarito come si potesse svolgere. Alla fine, si era provato con un programma di allevamento e addestramento di alcune specie in cattività, a titolo di esperimento, con una vaga speranza di poterlo poi estendere a tutte le altre. Crescendo assieme agli umani, avrebbero imparato a comunicare? Avrebbero imparato a capirsi, anche senza una comunicazione diretta?
Apparentemente no. Gli habitat artificiali nelle città, costruiti in vista di una ottimistica convivenza e collaborazione tra due specie intelligenti, erano rimasti ed erano stati ampliati, perché persisteva la speranza di potere un giorno comunicare con gli insetti, ma ormai funzionavano più che altro come attrazione turistica. E funzionavano bene, in quel campo. Peccato che per tutto il resto fossero inutili nel migliore dei casi, dispendiosi nel peggiore.
«E la gente comincia a essere stanca di avere città piene di insetti, case piene di insetti, stanze piene di insetti. Perché le specie più piccole sono terribilmente invasive, ma anche terribilmente astute, se di astuzia si può parlare. Se decidono di entrare in casa tua, prima o poi ci entreranno, puoi starne sicuro. E non a tutti piace. Anzi, a pochi piace. Soprattutto perché è così facile schiacciare uno degli esemplari più piccoli senza accorgersene e questo provoca spesso reazioni ben poco amichevoli dal resto del suo branco, o del suo sciame, a seconda dei casi.»
Hideki annuì. Se n’era accorto, all’ambasciata. Aveva sempre qualche insetto in stanza, qualunque cosa lui facesse o tentasse per eliminarli. Da un certo punto di vista, davano un significato nuovo al vecchio termine “cimice”, con cui si indicavano microspie e analoghi strumenti di sorveglianza. E il pensiero non gli piaceva proprio. Potevano sorvegliarti davvero, quegli insetti? E fare rapporto alle autorità svarghiane? La risposta alla seconda domanda pareva essere negativa, almeno secondo ciò che gli stava raccontando quella terrestre emigrata su Svarga. Quella civile emigrata su Svarga. Che probabilmente non sapeva molto di progetti militari e affini.
«Ma se alcuni svarghiani li trovano così fastidiosi, perché non lasciarli fuori dalle città? Basta che le strutture per insetti siano costruite in campagna, in luoghi delimitati come zoo, cose simili. Non c’è bisogno di tenerseli attaccati alla parete del proprio palazzo, giusto? Soprattutto se rischi di essere punto perché non ti sei accorto che nonno insetto era sulla sedia prima di te.»
«In una regione del continente orientale è stato sperimentato anche questo,» rispose Kaya. «Hanno sfrattato gli insetti dalle città e ne hanno trasferito gli spazi in zone deserte. Diciamo che non è stato un esperimento molto positivo, ecco.»
«Perché agli insetti non è piaciuto?»
«Sì, anche per questo. Agli insetti non è piaciuto. Neanche a tutti i cittadini è piaciuto, ma da quelle parti succede spesso così, si prendono decisioni con la pancia più che con la testa, poi retromarcia, si rifà, ci avete frainteso, non era questo che volevano ottenere, eccetera. Saprai meglio di me come funzioni in questi casi, no? Col tuo lavoro, dico.»
Hideki sorrise e borbottò una risposta grossomodo affermativa, ma non compromettente. Non aveva grandi conoscenze delle dinamiche locali nella politica interna svarghiana, ma poteva immaginare che anche lì ci fossero zone dove si prendevano decisioni solo per fare dispetto alle autorità centrali e poi si cambiava idea col vento. Doveva essere qualcosa insito nella natura umana. Dettagli di poco interesse. Ciò che voleva sapere era semmai il modo in cui gli insetti avevano manifestato il proprio dissenso verso quella scelta di estrometterli dalla città. Kaya Farrell glielo spiegò.
Non lo avevano manifestato a parole, ovviamente, perché gli insetti non sembravano possedere un linguaggio, almeno non uno che gli umani fossero capaci di identificare come linguaggio. Avevano però strumenti molto più diretti per manifestare dissenso e li avevano impiegati con cura. Con gioia, anche? Su questo il dibattito era ancora aperto, come lo era sulle eventuali responsabilità giuridiche della serie di aggressioni condotte da due specie di insetti ai danni di circa cento residenti umani di quella zona. Punture, soprattutto, che in undici casi erano state letali e in ventisette avevano portato a invalidità permanenti, per gravi danni al sistema nervoso centrale.
«Undici morti, dunque,» disse Hideki, «e tutte per punture di insetti, giusto? E non si è fatto niente? Voglio dire, sono state accettate come fatalità e tanti saluti? Giusto per capire bene.»
«Non esattamente. Ci sono state proteste da parte dei residenti locali e ci sono state pure discussioni su un eventuale progetto di disinfestazione di massa, condotte soprattutto da esponenti del gruppo che amministrava quella zona, ma alla fine non è successo niente. Le aggressioni si sono interrotte assieme ai tentativi di sfrattare gli insetti dalle città e tutto è tornato normale. Più o meno normale,» aggiunse Kaya, come per un ripensamento.
«Più o meno normale, eh? Mi faccia indovinare. Il grosso degli abitanti non ha più detto nulla e dei morti non si è più parlato, ufficialmente, ma più o meno tutti continuano a bofonchiare in privato e a lamentarsi perché X non ha fatto niente, qui ci viviamo noi, adesso una sciame di mosche ci ordina pure cosa fare, non si può andare avanti così, eccetera eccetera.»
«Qualcosa di simile, sì, ma è avvenuto diciassette anni fa, parecchio lontano da qui, per cui tutto ciò che conosco io sono notizie riportate e poi non è che mi interessino molto le reazioni degli abitanti locali. È stata molto più interessante la reazione degli insetti locali: non hanno apprezzato la nostra politica, ce lo hanno fatto notare in termini che non potevamo equivocare e alla fine hanno ottenuto ciò che volevano. E senza grossi danni.»
«A parte gli undici morti e i ventisette invalidi, ma capisco che, dal punto di vista di quegli insetti, undici umani morti non saranno sembrati un grave danno. Trovo però piuttosto strana la reazione di Svarga. In politica estera, il suo governo ha sempre avuto fama di falco e si è sempre comportato in linea con la sua immagine, sia nelle trattative con la Terra, sia con gli altri mondi coloniali. Mi sta dicendo che in politica interna, invece, diventa una docile colomba e piega la testa davanti a qualche sciame di insetti?»
«Non è proprio così. La decisione di non perseguire gli insetti non è stata gradita da tutti e diversi partiti ne hanno approfittato per farne la propria bandiera elettorale soprattutto su scala locale. Pure nel governo centrale c’è una corrente di minoranza che vorrebbe usare soluzioni più drastiche nei confronti degli insetti, ma è una piccola minoranza ed è improbabile che possa mai diventare voce della maggioranza, a meno che non succeda qualcosa di veramente grave. Nel complesso, gli insetti sono visti come un male necessario e una grande risorsa in potenza: si sopportano i disagi, che non sono poi così grandi, con la speranza di poter raccogliere un giorno i benefici.»
«E lei pensa che questi benefici arriveranno?»
Kaya Farrell sospirò. «Lo spero. Benefici ci saranno di sicuro, perché due civiltà e due intelligenze così diverse, che convivono sullo stesso pianeta, sono un evento raro e non possono che portare a un miglioramento di entrambe, sul lungo termine. Benefici più concreti e a breve termine, che possano capire anche i politici e la gente comune, beh... non sarà facile, ma ci proveremo. Gli insetti sono la risorsa più grande di Svarga, su questo non ho dubbi.»
Hideki Einarsson guardò alla propria destra, nella zona di penombra in cui l’esemplare domestico di fauna locale, o l’insetto da compagnia della sua ospite, era seminascosto e osservava la discussione. Ascoltava la discussione? Chissà. Se ne stava lì, simile a una mantide troppo cresciuta, con le sue due teste puntate una verso di lui e una verso la Farrell, strofinando le quattro zampe anteriori come una mosca terrestre, silenziosa, discreta. Due teste. Significava anche due cervelli? Hideki non lo sapeva. Il cervello degli insetti terrestri, o quello che passava per cervello, non si trovava nella testa, ma nella zona dell’addome; la testa era solo un deposito di organi di senso, più la bocca. O quello che faceva funzione di bocca, a seconda dei casi. Ma su Svarga? Cervello nella pancia pure loro?
Lo avrebbe anche chiesto, ma al momento non riusciva a distogliere lo sguardo dall’insetto. Quella testa puntata verso di lui, un poco inclinata, come se davvero lo stesse ascoltando, o percependo, o qualunque altra cosa facesse per raccogliere i suoni, ammesso che raccogliesse i suoni. Per quanto ne sapeva lui, potevano anche fiutare le emozioni, o assaggiare le variazioni nel campo elettrico del cervello umano, o chissà cosa. Non gli piaceva. Era alieno, era intelligente, era inumano: era pure un insetto e non è che lui andasse poi pazzo per gli insetti, di qualunque tipo essi fossero. Non gli facevano certo paura, ma non è che li amasse così tanto, almeno nella versione terrestre.
«Oh, non ti preoccupare,» disse Kaya Farrel. «Non ricevo molti ospiti, ma lei fa sempre così, ogni volta che c’è qualcuno in casa. Se ne sta lì, nel suo angolo, e ascolta tutto quello che diciamo. Se ci ascolta davvero, ovvio. Forse segue soltanto i suoni delle voci, perché la sua specie sa percepire i suoni, anche se pare che non li utilizzino come mezzo di comunicazione. È un po’ come un cane o un gatto, che ascolta la musica. Curiosa, vero?»
Curioso non era l’aggettivo che avrebbe utilizzato lui, ma poteva passare. Interessante, soprattutto. Un insetto che se ne sta in casa tua, sembra inerme o inoffensivo, ascolta tutto quello che dici e poi comunica col resto del branco. Se esisteva un modo per sfruttarli e il governo svarghiano lo avesse scoperto (e magari lo aveva già scoperto), persino una vecchia mummia moribonda come Leonardi si sarebbe ritrovato con le mutande in disordine. Sì, era una informazione molto più importante di tutte le eventuali scoperte che quel planetologo, Stratos, avrebbe potuto compiere su due giganti gassosi inabitabili, nel mezzo di un sistema solare già controllato da loro. Doveva fare rapporto. Il suo incarico non era documentarsi sugli insetti di Svarga, ma doveva fare rapporto al ministro Hass. Per stare sul sicuro, per sentirsi tranquillo e in pace con la coscienza. Perché non si sa mai.
«Ma è solo questa specie di insetti a comportarsi così, oppure anche le altre fanno la stessa cosa?»
«No, non è soltanto questa specie. Le chiamiamo mantidi, peraltro, perché assomigliano un poco a mantidi, con quelle zampe anteriori a forma di falce, soprattutto, e per il modo in cui mantengono il segmento anteriore del corpo eretto, anche se hanno abitudini completamente diverse dalle mantidi terrestri, è ovvio, perché sono insetti completamente diversi, un poco simili soltanto nella struttura e nel profilo del corpo. Comunque, le mantidi hanno questa tendenza ad ascoltarti e guardarti, come se fossero cani, appunto, ma sono più una eccezione che una regola, almeno tra le specie che siamo riusciti ad avvicinare. Ci sono altri esemplari molto interessanti, nelle strutture abitative qui attorno. Ti interessa vederne qualcuno? Possono essere uno spettacolo molto istruttivo.»
Hideki era interessato, o almeno non aveva alcun motivo per non esserlo. Inoltre, per un poco non avrebbe avuto quel coso a due teste a fissarlo, mezzo nascosto nella penombra. Lo stava mettendo a disagio. Molto a disagio. E giusto per metterlo ancora più a disagio, il coso a due teste scattò verso la porta e uscì, col segmento anteriore del corpo chinato in avanti, le zampe che sfioravano il suolo.
«Cosa significa?» chiese, continuando a fissare la porta da cui l’insetto era appena uscito.
«Niente di preoccupante, anzi. Sei fortunato. Quando fa così significa che qualche elemento del suo branco è appena venuto a trovarla: lei lo sente e gli corre incontro.»
«E comunicano, scambiandosi informazioni?»
«È quello che penso io, se non altro, perché mi danno questa impressione. Poi non so di preciso, ti ho detto che i loro meccanismi di comunicazione non ci sono ancora chiari, anche se siamo sicuri che esista un meccanismo di comunicazione. Mi piacerebbe scoprirlo, prima o poi.»
«Gli amici la vengono a trovare e poi si siedono in cortile a chiacchierare, insomma.»
«Puoi metterla così, anche se non si fermano in cortile. Di solito si ritrovano in quella piramide a base eptagonale, che magari hai notato all’ingresso, un po’ fuori. Le mantidi sembrano amare molto le strutture a forma di piramide, anche se preferiscono quelle che hanno una base con un numero di lati dispari. Non chiedermi perché, non lo abbiamo ancora capito: forse sono soltanto gusti o forse c’è una ragione più profonda. O magari non ha niente a che vedere col numero di lati che ha la base, ma è dovuta ad altri fattori, come un particolare odore, un componente chimico dei materiali con cui le strutture sono fabbricate o chissà cos’altro ancora.»
«Un’altra cosa che le piacerebbe scoprire, prima o poi.»
«Un’altra cosa che mi piacerebbe scoprire, prima o poi, anche se non credo che sia molto urgente. Vuoi vedere il loro incontro? Di solito non protestano, se qualche umano le guarda.»
Loro ci guardano quando vogliono, ci mancherebbe altro!, pensò Hideki Einarsson. A voce rispose con un «Sì, se non è un problema mi piacerebbe vedere.»
Uscirono, nel pomeriggio che si riempiva a poco a poco di nubi, pur rimanendo parecchio luminoso. La struttura a piramide era effettivamente vicino all’ingresso della tenuta, una di quelle costruzioni strane che Hideki aveva ignorato all’arrivo, ma che adesso erano fin troppo presenti alla sua mente. In quante di quelle si stavano radunando insetti, per discutere sulle stramberie degli umani nuovi arrivati? In quante per discutere di cosa fare con gli umani, o degli umani? In quante poi gli insetti si lamentavano dei bei tempi andati, quando gli umani non c’erano? Poche, probabilmente, dato che gli insetti non erano proprio famosi per la vita lunga e nessuno poteva ricordare un periodo in cui gli umani non c’erano ancora. Ricordarlo di persona. E se avevano modi per conservare le memorie, in forma di testi scritti o altro? O magari in forma di odori sulle rocce, o come coscienza collettiva che superava i singoli elementi di una specie. Troppe cose non sapevano.
«Non fare rumore, mi raccomando. Di solito non li infastidisce, ma non si sa mai.»
Hideki non fece rumore, affacciandosi a una delle aperture laterali di quella piramide. Non voleva fare rumore. Non riteneva saggio fare rumore. Perché all’interno c’erano insetti. Tanti. Tutti simili a quello che la Farrell si teneva in casa, affari che ricordavano un poco una mantide, ma con due teste e quattro zampe anteriori, tutti di un colore verdastro, con striature marrone, ma tutti di dimensioni diverse. Tutti o quasi. Si andava da esemplari grossi come un gatto ad altri che potevano guardare negli occhi un pastore tedesco. Erano venti, forse trenta. Tanti, in ogni caso. Troppi, per i suoi gusti.
Parlavano? Comunicavano in qualche modo? Forse. Sembrava che comunicassero, per lo meno, ma come fai a dirlo, eh? Come puoi capire cosa fanno degli insetti che hanno tutta l’espressività di una barbabietola? Si guardavano a vicenda, raccolti più o meno in un circolo, e a volte sfregavano tra loro le zampe anteriori. A volte erano semplicemente immobili, come se dormissero. Ma qualcosa si scambiavano. Qualcosa si comunicavano. Hideki Einarsson ci avrebbe scommesso lo stipendio di un anno, tredicesima inclusa.
Rimasero così per una decina di minuti, i due umani fuori a guardare, in silenzio, mentre dentro la piramide il branco di mantidi era impegnato in chissà quale rituale da insetti. Alla fine sollevarono tutti le zampe anteriori, assieme, quasi coreografati, e annuirono con le teste, coordinate come la più brutta squadra di nuoto sincronizzato dell’universo. Poi si separarono, come se quell’ultimo gesto incomprensibile fosse una specie di saluto. Una mantide corse di nuovo verso la casa, le altre invece si dispersero nei dintorni e oltre i limiti della tenuta. Lo spettacolo è finito, andate in pace.
«Beh, cosa ne pensi?» chiese Kaya Farrell, mentre tornavano lentamente verso l’edificio principale, dove la mantide domestica li aveva preceduti. «Una scena molto interessante, vero?»
«Molto interessante, senza dubbio, anche se non ci ho capito niente.»
«Non sei l’unico, non ti preoccupare. Per quanto ne so io, ci sono almeno otto tesi di dottorato in lavorazione, nel corso di laurea in psicologia sociale entomologica di Guan Yu, che stanno cercando di capirci qualcosa e spiegare cosa abbiano fatto. Dubito che ci riusciranno, ma non si sa mai.»
«Ma è possibile capirci qualcosa, senza sapere come fanno a comunicare tra loro?»
«Possibile sì, facile no. Il comportamento degli insetti è stato studiato per secoli anche sulla Terra, no? Eppure non mi pare che qualcuno abbia mai imparato a parlare con le formiche o le api.»
«Ma questi insetti sono intelligenti, no? Voglio dire...»
«Sì, capisco cosa vuoi dire e capisco la tua obiezione. Se non capiamo come pensano, cosa pensano e come comunicano, è difficile che possiamo decifrare il loro comportamento. D’altra parte, senza studiare il loro comportamento è difficile anche capire come pensano, cosa pensano eccetera, no? Si può dire che per adesso stiamo ancora sparando un po’ alla cieca, ma intanto raccogliamo materiale, lo ordiniamo, cerchiamo collegamenti e tutto questo alla lunga ci porterà a qualcosa. È un puzzle, e come per ogni puzzle ci vuole pazienza. Una volta trovato e sistemato il primo pezzo di angolo, il resto diventerà molto più facile. O almeno lo speriamo.»
Un puzzle, già. La vita su tutti i mondi colonizzati era un puzzle, se la volevi mettere così, oppure un film in cui gli umani erano arrivati a spettacolo già iniziato, già molto iniziato, e adesso stavano cercando di capire qualcosa della trama, raccogliendo informazioni qui e là da quel poco che erano riusciti a vedere. Era successo anche sulla Terra, vero, ma almeno sulla Terra c’erano nati. Su altri pianeti, invece, c’erano arrivati, e arrivati tardi. A volte calpestando i piedi di chi vi abitava già. O le zampe. O i tentacoli, anche? Forse, pensando a luoghi come Varuna. Ma il problema era Svarga, al momento. Cosa pensavano di loro tutto quegli insetti? Di cosa discutevano?
Hideki aveva cominciato a interessarsi agli insetti, pensando che il governo di Svarga lavorasse al progetto di utilizzarli per scopi militari, o per spionaggio. Adesso, però, cominciava a chiedersi se non fossero gli insetti a spiare gli umani, a usare gli umani per un qualche loro scopo. Paranoia, forse, ma la scena della riunione nella piramide non era rassicurante. Aveva qualcosa da... sì, ok, lo poteva anche dire: qualcosa da horror. Qual era al momento la specie dominante, su Svarga?
Hideki Einarsson si trattenne nella tenuta di Kaya Farrell per tutto il resto del pomeriggio, parlando di insetti e raccogliendo altri nomi e altri indirizzi di persone che li studiavano e che, se prese in una fase positiva della propria giornata, sarebbero state forse disposte a discutere con lui. Dottorandi, in gran parte, o ricercatori, ma anche un paio di docenti universitari, più aperti alla conversazione degli altri colleghi. Poteva essere considerato un buon bottino, sì. Un punto da cui proseguire con le sue ricerche, sperando di arrivare prima o poi a qualcosa.
Poi tornò in ambasciata, trovò ad attenderlo un messaggio dal ministro Hass e agli insetti non pensò più, almeno per un poco. Pensò a Bogdan Stratos, invece, e a quello che sarebbe successo a breve. A come avrebbe reagito alla risposta di Hass. E a cosa sarebbe avvenuto poi.