Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 50

Quando Bogdan Stratos ebbe per la prima volta una opportunità di parlare col professor Hu Chen, il presidente della fondazione Chen-Cohimbra da lui stesso istituita circa trent’anni prima, erano già trascorsi cinque giorni dall’invio della sua relazione a Hideki Einarsson e qualcosa più di sei mesi dall’arrivo su Svarga. Se aveva tenuto bene il conto del tempo, cosa che era moderatamente sicuro di non aver saputo fare. Ma non era facile adattarsi ai calendari locali, soprattutto per qualcuno che non era molto interessato all’argomento. Bogdan non lo era. Le unità di misura del tempo su Svarga gli interessavano quanto il principio di funzionamento dello sciacquone. Circa sei mesi gli sembrava però una stima piuttosto accurata, con un margine di una decina di giorni in più o in meno.

Ma il tempo non è rilevante; il dialogo col professor Hu Chen sì. Avvenne in circostanze inattese e impreviste, almeno da Bogdan, il quale non si aspettava di ricevere una visita dal Grande Capo in persona nella stanzetta in cui lavorava con Muzafar Chang, il suo tutore, né si aspettava di riceverla in una fase così anonima e banale del lavoro stesso, che al momento era in sospeso, almeno nella sua parte di ricerca vera e propria. Inviata la documentazione a Einarsson, e in attesa di una risposta dalla Terra, lo studio diretto dei giganti gassosi era finito tra parentesi, in sospeso, mentre il grosso del loro impegno si era rivolto ai preparativi per la divulgazione dei primi risultati, attività a cui Muzafar sembrava tenere particolarmente.

«Ho già fatto circolare qualche nota in anteprima tra gli ambienti accademici più fidati e ti posso dire che c’è grande attesa per quello che presenteremo. Grande interesse. Grande curiosità. Anche grande scetticismo, è vero, ma è solo da preventivare, visto l’argomento della nostra scoperta,» gli aveva detto Muzafar. sorridendo, il pomeriggio successivo a quello in cui Bogdan aveva passato il materiale a Einarsson, suo controllore nonché anello di congiunzione col ministro Hass.

Bogdan non aveva apprezzato particolarmente l’iniziativa. «Mi sembra che non avessimo parlato tra noi di anteprime o simili, almeno finora. Mi sembra soprattutto che avresti dovuto almeno farmelo sapere, prima di agire. Chiedere il mio parere. Come ti ho spiegato, io sono pur sempre vincolato a Vihersalo e l’Ufficio, per cui prima di diffondere i risultati di una mia ricerca...»

«Sì, sì, lo so, devi aspettare il loro consenso, naturalmente. Me lo hai già detto, me lo hai già detto, e ci hai anche brontolato, me lo ricordo bene. Ma la mia è stata solo una notifica informale, giusto per creare un poco di aspettativa, di pubblicità, per aiutare il pubblico a preparare il giusto orecchio con cui ricevere i nostri risultati. Stiamo parlando di qualcosa di così grosso che, sai com’è, è stato molto difficile rimanere proprio zitto zitto, come se niente fosse. Mi puoi capire, vero?»

Bogdan lo poteva capire, perché neppure lui era stato zitto zitto. Ne aveva discusso soltanto con la sua collega terrestre, Anna Lindtner, come lui spedita su Svarga dall’Ufficio, ma non era proprio la stessa cosa. Lui ne aveva parlato con una persona sola. Quel Muzafar, invece, aveva cominciato a fare pubblicità nel mondo accademico! C’era qualcosa di profondamente sbagliato in quello, specie se Muzafar aveva fatto pubblicità a nome proprio, dimenticando a chi andasse il vero merito della scoperta e chi fosse il vero responsabile dell’intera ricerca. Errore imperdonabile.

«È comunque meglio aspettare che mi arrivi una qualche notizia dall’Ufficio,» aveva detto Bogdan, con la calma di cui era capace. «Se il vecchiaccio mi dovesse bloccare tutto, sparando chissà quale diritto di priorità o segreto vario, la figura da cioccolataio la farò io, che sono l’autore della ricerca. Perché sono io l’autore della ricerca, vero?»

«Beh...»

Bogdan si era preso un momento di silenzio, per riflettere. Poi se n’era preso un altro, per restare attaccato alla sedia e trattenere le mani sotto la scrivania. Unite. Immobili. Una mano che faceva la guardia all’altra, da brave amiche. «Come sarebbe “beh”? Sotto quale nome avresti fatto circolare le tue anteprime?»

«Beh, vedi, capisco che la cosa ti possa infastidire, è normale che ti infastidisca, succede a tutti nel corso della vita accademica. Soprattutto all’inizio della vita accademica, vedi? Il problema è che il tuo nome, al momento, non ha ancora forza. Non lo conosce nessuno. Sei un nessuno, nel mondo accademico. È brutto da dire, lo so, ma è la verità. Pubblicizzare questa scoperta come un grande risultato ottenuto dal dottor Bogdan Stratos, beh, non funziona. Nessuno lo prenderebbe sul serio e nessuno si farebbe vedere alla conferenza. Perché nessuno sa chi o cosa sia il dottor Bogdan Stratos, capisci? Proprio come nessuno sa chi o cosa sia un nuovo arrivato, uscito da poco dall’università e col suo dottorato ancora fresco di stampa, in senso metaforico. Ma se noi lo presentiamo invece con l’etichetta della fondazione Chen-Cohimbra, che è un nome riconosciuto e autoritario, e come una collaborazione tra il professor Muzafar Chang e il suo ricercatore Bogdan Stratos, allora ecco che lo stesso studio, che prima sarebbe stato ignorato da tutti, ottiene una serietà nuova, un peso nuovo. La gente lo ascolterà. Lo prenderà sul serio. Perché è questo che ti interessa davvero, giusto? Essere preso sul serio, dopo che il professor Vihersalo ha riso di te. O mi sbaglio?»

Muzafar non si sbagliava, non del tutto, e Bogdan non aveva saputo come ribattere. Perché aveva senso, nel complesso. Un senso non piacevole, ma pur sempre un senso. Presentarsi all’interno di una istituzione riconosciuta, con un professore riconosciuto al fianco, avrebbe dato peso maggiore alla sua ricerca. Autorità maggiore. Una qualunque altra cosa maggiore. Ma dannazione, voleva il suo nome su quella scoperta, non quello di Pincopallino e Cippirimerlo! Era la sua scoperta! Ma non aveva avuto niente con cui ribattere, al momento, e così era rimasto zitto, nonché a muso lungo.

Era rimasto perlopiù zitto e a muso lungo anche in seguito, mentre Muzafar cinguettava garrulo sui preparativi, sulle cose da inserire e non inserire nella presentazione, su dove e come programmare la conferenza stessa, su quanta attesa ci sarebbe stata, su quali immagini utilizzare prima e quali dopo, sui supporti migliori per il modello, perché doveva essere valorizzato e non occultato, come invece alcuni dispositivi facevano, e pipì e pipò, e questo e quello. Bogdan ascoltava e annuiva, di tanto in tanto mugugnando un consenso o un disaccordo, e intanto ruminava su come correggere tutti i torti e riaffermare la propria paternità della ricerca, in modo indubbio e indisputabile, cosicché anche il più piccolo frammento di incertezza potesse sparire e la scoperta, la grande scoperta, fosse attribuita soltanto a lui, Bogdan Stratos, eventualmente con la graziosa collaborazione della fondazione Chen-Cohimbra e del professor Muzafar Chang. Ma con carattere in corpo otto, al massimo.

La visita del professor Hu Chen lo colse in quel momento non felice e non soddisfacente. Quando la porta si aprì e il visitatore si affacciò, Bogdan lo riconobbe subito. Era anche piuttosto difficile non riconoscerlo, date le peculiarità fisiche del personaggio, ma probabilmente lo avrebbe riconosciuto comunque, sia perché lo aveva già visto (da lontano), sia perché non era difficile imbattersi nella sua faccia, qui e là negli edifici della fondazione. Molte presentazioni, cerimonie e premiazioni si erano svolte nelle sue sedi e molte avevano coinvolto il personale della fondazione stessa, se non come protagonista almeno in un ruolo di primo piano. E sempre, leitmotif di ogni evento, in un angolo delle riproduzioni compariva la faccia di Hu Chen, serio o quasi sorridente a seconda dei casi. Vivere da quelle parti e non riconoscerlo era impossibile per chiunque non fosse cieco.

Era un uomo che aveva superato in scioltezza i settanta e si avviava ormai verso gli ottanta, di buon passo se non proprio di corsa. Conservato bene, forse anche in modo naturale, possedeva la struttura fisica di un vecchio lampione, alto alto e magro magro, con una testa che sembrava sproporzionata e larga sulle spalle strette ed esili. Ed era glabro. Completamente glabro. Su nessuna parte esposta del suo corpo era possibile vedere anche solo l’ombra di un pelo. Quale fosse la situazione nelle parti non esposte, poi, era dettaglio che Bogdan ignorava e preferiva continuare a ignorare, se possibile, ma grazie lo stesso per il pensiero.

«Disturbo?» chiese il nuovo arrivato, con una voce che era al tempo stesso solida e acuta, forse di un paio di ottave più alta rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato nel vederlo.

Muzafar scattò come un pupazzo in una scatola. «Ma prego, prego, si accomodi, si figuri! Professor Chen, lei è sempre il benvenuto ovunque, lo dovrebbe sapere.»

Chen sorrise appena, annuendo. «Sei sempre molto gentile, Muzafar. Questa volta però sarei venuto a parlare col tuo collega, il ragazzo terrestre. Una discussione privata, sai. Potresti lasciarci soli per qualche momento, se la cosa non ti disturba troppo?»

Muzafar ebbe solo un attimo di incertezza, prima che il suo sorriso tornasse splendido e smagliante come prima. «Ma si figuri, certo, certo! Non c’è problema, davvero. Stavamo soltanto sistemando i dettagli per un discorso, ma possiamo pensarci dopo. Vi lascio subito lo studio libero, tutto per voi, in un attimo. Aspetterò giusto qui fuori, in caso di bisogno.»

«Potrebbe essere una cosa lunga, Muzafar, e non vorrei trattenerti in un posto così scomodo. Forse è meglio se aspetti di sopra, nella zona di ricreazione. Ti avvertiremo noi quando avremo finito e non ti perderai nulla del tuo lavoro, te lo garantisco.»

Incertezza e sorriso si alternarono di nuovo. «Va bene, come desidera lei, professore. Mi prenderò una breve pausa nella zona di ricreazione, ai piani superiori, su.» Uscì, dopo un ultimo sguardo allo studio e ai due che vi rimanevano. Bogdan e il professor Chen, il giovane e il vecchio. E cosa aveva mai da dirgli, il professore? Da dirgli in privato, poi.

Se lo domandava pure Bogdan, faccia a faccia col presidente della fondazione Chen-Cohimbra in una stanzetta che poteva essere accostata alla comodità e all’accoglienza solo in senso negativo. Di cosa gli voleva parlare? E perché a lui in privato? L’unica risposta che presentasse una qualche minima parvenza di senso era che Chen volesse parlare della ricerca sui giganti gassosi di Madre, la sola cosa rilevante che Bogdan avesse al momento al proprio attivo (al momento, beninteso, perché era sua intenzione accumularne molte altre, in futuro), ma se davvero era così, perché aveva chiesto a Muzafar di allontanarsi? Nel dubbio, parola al nuovo arrivato.

«Mi spiace di avervi dovuto disturbare mentre eravate al lavoro, ma come ho già detto c’è una cosa di cui devo discutere con te, da solo. Preferibilmente da solo,» disse Hu Chen, occupando la sedia lasciata libera da Muzafar. Fu decisamente un occupare, nessun dubbio su questo. Forme di vita con una struttura antropomorfa non potevano accomodarsi su un oggetto simile: il verbo conteneva un comodo di troppo, che non trovava corrispondenza nella realtà della sedia.

«Discutere di cosa?» chiese Bogdan, simulando una rilassatezza inesistente.

«Della ricerca che state conducendo, naturalmente. E del vostro progetto di annunciarla al mondo accademico, tramite una o più conferenze. Quella sui giganti gassosi di Madre.»

Ah, ovvio. Non poteva essere che quello. Rimaneva solo da scoprire quale fosse il problema. Perché c’era un problema, soltanto uno stupido ne avrebbe dubitato. Il presidente in persona non si presenta da solo e non annunciato nell’ufficio di un signor Nessuno, per chiacchierare del più e del meno. Se si presenta lui, qualcosa non funziona. Qualcosa di brutto, o almeno di spiacevole. Bogdan sospirò.

Gli era già capitata una situazione analoga, quando era ancora all’Ufficio sulla Terra e il ministro della Difesa era piombato nel suo studio sgabuzzinoso e solitario, parimenti da solo e parimenti non annunciato. Il ministro Hass, già. E il ministro Hass aveva voluto parlare del progetto sui giganti gassosi di Madre, un colloquio che si era concluso con Bogdan, spedito su Svarga ad approfondire le ricerche. Con guardiano al seguito, ovvio. Che cosa sarebbe successo stavolta? Il professor Chen lo avrebbe impacchettato e spedito su un altro pianeta? Che cosa aveva di tanto particolare quella ricerca, a parte il fatto che ipotizzava l’esistenza di strutture organiche nel nucleo di giganti gassosi, dove teoricamente non sarebbe stato possibile che esistessero?

«Se si riferisce a queste anticipazioni sul contenuto della mia ricerca, che il professor Chang dice di avere già diffuso in alcune accademie, allora voglio sottolineare che l’idea è stata soltanto sua, non mia,» disse Bogdan, gettando precauzionalmente il proprio tutore in pasto alle fiere, seguendo il più rodato ed efficace dei meccanismi di autodifesa, il mors tua vita mea.

Hu Chen sollevò una mano, lunga e sottile come il resto della sua persona. «Oh, lo so, lo so, ma non mi riferivo a questo. Non direttamente, almeno. No, ciò di cui volevo parlare è dei messaggi che ho ricevuto dalla Terra, giusto stamattina. Messaggi che riguardano la vostra ricerca e i suoi esiti, oltre al vostro progetto di diffonderli nel mondo accademico e non. Mondo in senso figurato, beninteso. Galassia accademica sarebbe forse una espressione più corretta, considerato che oramai non siamo più su un singolo pianeta ma ci siamo allargati a più pianeti, ma per qualche ragione sembra proprio che il mondo accademico, aha, sia alquanto tradizionalista e guardi con un certo sfavore ad alcuni mutamenti lessicali.»

«Messaggi dalla Terra? Dal professor Vihersalo, suppongo.»

Hu Chen sorrise. «Supponi correttamente. Dal professor Vihersalo, il tuo superiore e responsabile al dipartimento di planetologia dell’Ufficio per la Colonizzazione. Ma non solo da lui. Anzi, devo dire che il suo messaggio è il solo che io avessi preventivato. Gli altri, tuttavia, li ho trovati molto più interessanti, anche se meno previsti. Il che significa probabilmente che sto diventando vecchio. Li avrei dovuti prevedere, una volta conosciuto il contenuto della vostra scoperta.»

Bogdan strangolò l’impulso a sottolineare con vigore e poca diplomazia come la scoperta fosse sua, solo e solamente sua, e Muzafar non aveva scoperto neppure l’acqua calda, ma aveva contribuito in misura microscopica ai risultati che intendeva presentare. Era vero, ma non era il momento giusto per evidenziarlo. Poteva essere saggio tenersi qualcuno a cui dare la colpa, a seconda di quale fosse il contenuto di quegli altri messaggi.

«C’è qualche problema con la ricerca?» chiese.

«Beh, non so se sia proprio corretto parlare di problema, anche se sì, è un termine che può definire la situazione in modo sufficientemente preciso. Ma lasciami spiegare e poi deciderai tu.»

Il professor Hu Chen spiegò. Spiegò di aver ricevuto un messaggio da Aaron Vihersalo, il quale si complimentava col proprio giovane ricercatore per i brillanti successi conseguiti anche presso una fondazione così famosa e importante come quella con cui stava collaborando provvisoriamente (e Bogdan dovette trattenere una risata, ma soprattutto una raffica di insulti verso il vecchio caprone, che sarebbe arrivata subito dopo la risata). Spiegò come il messaggio si fosse concluso su toni meno entusiastici e più meditativi, come li definì Chen, toni che alludevano a una necessità di valutare a fondo i pro e i contro, prima di pubblicare uno studio così difficile da credere per chi non vi avesse dedicato molto tempo e non fosse dotato di una mente elastica e malleabile (altra risata che Bogdan si sforzò di inghiottire).

«In breve, il professor Vihersalo gradirebbe che la scoperta su giganti gassosi restasse sotto silenzio, almeno per un poco. E questo ci porta al secondo messaggio. Il messaggio del dottor Leonardi.» Il volto di Chen abbandonò ogni residuo di sorriso, appiattendosi in una serietà che dimostrava tutti i suoi anni e forse anche qualcuno in più.

Leonardi era stato molto meno entusiasta e molto, molto più diretto di Vihersalo. Soltanto l’Ufficio può decidere ciò che si deve e non si deve pubblicare su Madre e questa scoperta non dovrà essere pubblicata. Provvederemo noi ad approfondirla e verificarla, senza ingerenze dei nostri vicini, e poi, se lo riterremo opportuno, informeremo dei risultati ottenuti il mondo accademico e non. Eccetera, eccetera, sempre sullo stesso tono.

«Dunque, come puoi vedere, abbiamo un messaggio che invita alla prudenza e uno che ci intima il silenzio. Se ci fossimo fermati qui, la situazione sarebbe stata sufficientemente chiara. Ma non ci si è fermati qui,» disse Chen, arricciando un angolo della bocca. «Perché il terzo messaggio è arrivato dal ministro Hass. Il ministro della Difesa terrestre.»

Ed era un messaggio molto diverso, rispetto agli altri due. Non nella prima parte, dove si diffondeva in complimenti rivolti al giovane Stratos, felicitazioni per la scoperta e ammennicoli vari, che alle orecchie di Bogdan suonarono più genuini rispetto a quelli di Vihersalo, ma non meno interessati. E dopo le congratulazioni, ecco la stoccata: procedere con la pubblicazione, garantire alla scoperta la massima visibilità possibile, invitare anche il resto del mondo accademico a collaborare, per dare una risposta agli enigmi che la scoperta spalancava. Qualunque cosa ci fosse nel nucleo dei giganti gassosi di Madre, era doveroso che gli esperti di tutti i pianeti vi indagassero.

Posizione che Bogdan apprezzava soltanto in parte. Pubblicare? Certo. Massima visibilità? Neanche in discussione. Lasciare che altri raccogliessero quello che lui aveva seminato? Uhm, non eravamo d’accordo così. Non avrebbe potuto fare tutto da solo, ovvio. Lo sapeva. Lo capiva. Ma la scoperta era sua, sua, e se proprio la doveva dividere con altri, pretendeva almeno che a lui fosse assegnato il comando delle operazioni, giusto? Era il minimo sindacale, davvero.

«Dunque l’Ufficio vuole nascondere tutto, ma il governo vuole pubblicare,» disse Bogdan, fissando Chen negli occhi e tenendo le mani sotto la scrivania, dove il suo interlocutore non poteva vedere quanto stessero sudando o come si torcessero nervose.

«Generalizzazione eccessiva, almeno in parte. È vero che la posizione del dottor Leonardi incarna la posizione dell’Ufficio nella sua totalità, almeno sul piano pubblico, ma quella del ministro Hass non è rappresentativa del governo terrestre nella sua interezza. Soprattutto perché, diciamolo pure, non è proprio un campo il cui il ministero della Difesa possa avere un peso rilevante, a meno che i giganti gassosi di Madre non costituiscano un esempio di armamento dell’esercito terrestre. Il che, a dire la verità, mi appare estremamente improbabile.»

«Sì, beh, sono pianeti, non armi, ma non so bene a chi spetti esprimersi sui pianeti non abitati di un sistema solare colonizzato. Il principale pianeta abitato, credo, se è indipendente, ma Madre è una colonia terrestre, per cui...»

«Per cui spetta alla sua madrepatria, che è la Terra. Nello specifico, spetterebbe al ministero che si occupa di curarne lo sviluppo, se ne esistesse uno, ma sulla Terra non esiste. Esiste però l’Ufficio, che ne ricopre le mansioni. Di conseguenza, la posizione dell’Ufficio ha la precedenza.»

«Quindi mi sta dicendo che la mia ricerca dovrà essere tenuta nascosta e dovrò dimenticarmi ogni annuncio, pubblicazione, conferenza o altro.» L’umore di Bogdan stava virando verso il tempestoso andante, con possibile formazione di uragani nel tardo pomeriggio. Fantastico, davvero.

«Questo solo se seguissimo alla lettera il contenuto dei messaggi e ci attenessimo alle regole più generali di condotta per casi come questo. Se invece ci concediamo un poco di libertà e optiamo per una interpretazione un poco più creativa delle regole, allora ci si presenta un’alternativa al silenzio. È un’alternativa che probabilmente non ti piacerà molto, ma capisci anche tu che, ora come ora, le nostre mani sono legate e abbiamo soltanto due alternative: il silenzio sulla tua scoperta, oppure la proposta che ti farò. Sta a te decidere, in quanto autore della grande scoperta.»

Ed ecco la fregatura. Era ovvio che ce ne sarebbe stata una ed era anche piuttosto ovvio in quale direzione si stesse muovendo il professor Chen. Non una direzione che piacesse a Bogdan, ma gli restava una qualche alternativa? Forse, magari. Poteva parlarne con Hass, via Einarsson, e sentire il suo parere. Era favorevole a diffondere i risultati della scoperta, no? Magari poteva avere una idea migliore su come fare, visto che Leonardi da quell’orecchio ci sentiva quanto un fungo.

«Sentiamo questa proposta,» disse, con l’entusiasmo di un’aragosta davanti a una pentola di acqua bollente. Non che avesse davvero bisogno di sentirla formulare in parole.

«L’Ufficio per la Colonizzazione possiede l’autorità necessaria per bloccare qualunque conferenza su questa scoperta, se ad averla effettuata è stato un suo dipendente. Se però a compiere la scoperta è una terza persona, che non ha legami con l’Ufficio, allora non può bloccarla legalmente. Ed ecco il punto. Se noi presentiamo questa scoperta come compiuta dal professor Chang, naturalmente con la collaborazione di un ricercatore dell’Ufficio, cioè tu, allora l’Ufficio potrà impedire a te di parlare alle conferenze, se lo vorrà, ma non potrà impedire che siano organizzate le conferenze, perché non può esercitare alcuna autorità legale su Muzafar. Il nostro Muzafar.»

Là, nero su bianco. Facciamo finta che la scoperta sia nostra e non tua, così vivranno tutti felici e contenti. È per il bene della scienza, sia chiaro. Sempre per il bene della scienza. Bogdan Stratos si morse le labbra, per trattenere la prima risposta. Se le morse di nuovo, per trattenere la seconda, che era ancora meno conciliante perché aveva avuto più tempo per formularla. «Il professor Chang ha scoperto tutto e io gli ho fatto solo da schiavo, giusto?» disse infine, con un tono che un berserker avrebbe trovato poco amichevole.

«È solo come misura provvisoria, naturalmente. Una volta che sarà possibile attribuirti la paternità della scoperta, senza che possano derivarne conseguenze spiacevoli, ti assicuro che ci affretteremo a farlo. I fatti saranno rettificati al più presto, davvero.»

Disse il lupo all’agnello. Bogdan chiuse gli occhi, respirò a fondo, infine li riaprì. Niente da fare, al realtà faceva ancora schifo come prima. «Preferirei avere un poco di tempo per pensarci, prima di darle una risposta,» disse poi, quando era quasi convinto di poter parlare senza ringhiare. «Capirà anche lei che, insomma, non è una decisione semplice. Ci vuole un po’ per capire quale sia la scelta migliore da fare.» E procurarmi la vaselina, per non parlare degli impacchi di ghiaccio successivi. Il piedistallo su cui aveva collocato il professor Chen, all’inizio della sua avventura su Svarga, non era soltanto a pezzi, ma sembrava proprio essersi tramutato in un orinatoio. Un orinatoio in cui Chen si trovava benissimo, a dirla tutta. Sì, era proprio un posto adatto a lui. Hah, bella fregatura.

«Posso comprendere il tuo disappunto ed è più che motivato, davvero,» stava intanto dicendo Chen. «A ruoli invertiti, penso proprio che avrei grosse difficoltà ad accettare. Non avrei neanche voluto doverti fare questa proposta, in realtà, ma davvero, adesso come adesso non vedo alternative. Con la posizione di chiusura totale assunta dal dottor Leonardi, purtroppo, l’unica tattica possibile è questa. Non una bella tattica, lo so. Non una tattica nobile.»

«Perché la vuole adottare, allora? Se davvero le fa così schifo come dice, intendo.»

Il volto di Chen si contrasse. «Perché Madre non è un pianeta come gli altri e neppure il suo sistema solare è come gli altri. Soltanto per questo. E Madre è un pianeta che non posso ignorare, in nessun caso e a nessun prezzo. È il luogo dove è scomparsa una mia cara amica, più di trent’anni fa. È per questo che voglio scoprire tutto ciò che posso su quel mondo. Per capire, sapere cosa le sia successo davvero. L’Ufficio per la Colonizzazione ha sempre tenuto tutto segreto, ma è tempo che il segreto finisca di essere segreto. È tempo che anche noi sappiamo.»

Molto nobile, certo, ma un furto è sempre un furto. E il furto era la paternità della scoperta. Oh, sì, un giorno sarà rettificata, d’accordo. Un giorno. Un giorno che arriverà magari tra trenta o quaranta anni, se tutto va bene. Un po’ tardi per la carriera di Bogdan, no? E intanto Muzafar si sarebbe preso fama e gloria, senza aver fatto un tubo per meritarselo. Hah!

«Questa amica sarebbe Jana Cohimbra, giusto?» disse Bogdan, senza reale interesse.

«Jana Cohimbra, sì. Scelta per la prima spedizione su Madre, ai tempi, e mai tornata. Come non è mai tornato nessuno della prima spedizione. Tutti morti. Tutti spariti, almeno. I filtri che continuo a sviluppare sono quelli che avevamo progettato assieme, da giovani. Poi lei è partita e io... io sono rimasto indietro. E ho proseguito il lavoro, così come lo avrebbe proseguito lei.»

«Interessante,» mentì Bogdan, che al momento riusciva a concepire solo piani di vendetta orrenda e dolorosissima. «E tutto questo cosa c’entra con la mia scoperta sui giganti gassosi?»

«Con la tua scoperta sui giganti gassosi forse niente, almeno in modo diretto. Ciò che hai trovato, però, ci dimostra che il sistema solare di Madre contiene almeno un’anomalia. Due anomalie, se si vuole essere precisi, anche se in effetti è un’anomalia sola, ma presente in due pianeti. E questo ci porta a una domanda ovvia: sono solo i due giganti gassosi a presentare quell’anomalia? Oppure gli altri corpi celesti del sistema ne sono per così dire contaminati? Perché, a seconda di quale sia la vera natura di quelle strutture organiche, potrebbe anche trattarsi di una contaminazione reale, non solo figurata. Ci hai mai pensato, ragazzo?»

Sì, Bogdan ci aveva pensato. Molto alla lontana e in manufatti cerebrali che sarebbe stato forse più corretto definire come fantasticherie, piuttosto che pensieri veri e propri, ma era una ipotesi che lui aveva formulato. Era anche uno dei motivi per cui non voleva mollare l’osso della scoperta, mai e poi mai, a nessuno. Meglio la morte. Perché se quelle fantasticherie avevano anche solo una base di realtà, allora la sua scoperta avrebbe davvero cambiato tutto. A qualunque cosa ci si volesse riferire con la parola “tutto”. E l’aveva scoperto lui, dannazione! Era sua!

«Quindi lei ritiene che Leonardi ne sappia qualcosa e voglia mantenere tutto segreto? È per questo che vuole regalare la mia scoperta a Chang, pur di pubblicizzarla?»

«È una possibilità, sì, anche se non ho ancora ben chiaro il tutto. Il dottor Leonardi non vuole che si renda nota la tua scoperta, eppure il ministro della Difesa terrestre è non solo favorevole, ma vuole che gli studi siano aperti a tutti i pianeti. Posso ipotizzare che ci sia dietro un qualche tipo di lotta di potere, magari tra Ufficio e governo, non so, ma è tutto così confuso e privo di senso. So solo che su Madre, o almeno nel suo sistema solare, c’è qualcosa di importante, qualcosa di grosso. Qualcosa che più di trent’anni fa ha fatto sparire la mia amica Jana. E io voglio sapere cosa sia.»

Commovente. E io voglio che mi sia riconosciuto il merito per averlo scoperto per primo, non gli rispose Bogdan. Sarebbe stato inutile. Chen era un vecchio come gli altri, fissato con le sue manie e i suoi giochini di potere, che magari non erano di potere politico, d’accordo, magari li impanava col bene della scienza, il progresso, le palle varie, ma erano sempre motivazioni personali, nobili come una pedata nei testicoli. E se a tutti loro era consentito fare quello che volevano, inseguendo i propri capricci privati, perché proprio lui si doveva sacrificare per gli altri? Cedere la scoperta, rinunciare a fama e successo, perdere un posto nella storia, e tutto per fare contenti un vecchio e un professore mezzo cieco, che in quarant’anni e passa non aveva combinato niente di suo. Ma poi ecco che arriva Bogdan, Bogdan il fesso, e come Babbo Natale distribuisce il successo agli altri. Haha.

«Come le ho detto preferirei pensarci un poco, prima di darle una risposta. È una decisione che avrà un grosso impatto sulla mia carriera, capisce.»

«Oh, capisco,» rispose Hu Chen, alzandosi con un sospiro. «Avrà davvero un grosso impatto sulla tua carriera, credimi. Potrebbe anche concluderla, se giocherai male le tue carte.» E uscì, sul vento di quell’ultima ominosa affermazione. Bogdan non seppe trattenersi da un gesto molto infantile, ma anche molto soddisfacente, rivolto alla porta appena chiusa. Dal medio con amore.

«Questa devo averla letta nel capitolo tre di “Altri settantasette modi per rovinarti la giornata”, se non sbaglio,» brontolò alla stanza vuota. Grandioso. Favoloso. Meraviglioso. Altre cose in -oso, da aggiungere a volontà. Nell’intero universo esisteva forse un posto, un solo maledettissimo posto, in cui gli consentissero di studiare e portare avanti le proprie ricerche senza trascinarlo per i capelli in chissà quale intrigo politico o braccio di ferro tra gente con problemi alla prostata? Tutto ciò che lui aveva desiderato, partendo da Lakshmi dopo la specializzazione, era stato che lo lasciassero in pace a studiare e analizzare pianeti. Giganti gassosi nello specifico, dato che la sua specializzazione era in quel campo. E lo aveva ottenuto? Neanche per idea.

Quando Muzafar Chang rientrò, Bogdan aveva già provveduto a infilarsi la sua migliore maschera di indifferenza. Fu difficile conservarla davanti al sorriso del collega, ma in un qualche modo ce la fece, dietro i cavalli di frisia di un silenzio precauzionale, che lo accompagnò per il resto della sua pessima giornata. Aveva molte cose su cui riflettere, per un dato valore di riflessione.

Il mattino seguente scese a Guan Yu, direzione ambasciata terrestre, per parlare con Einarsson. Non sapeva bene di cosa, in effetti, e non sapeva bene a cosa sarebbe potuto servire, ma Einarsson era il tirapiedi del ministro Hass, cioè del suo sponsor, e il ministro voleva che la sua scoperta fosse resa pubblica, giusto? Quindi avrebbe dovuto pensare lui a un modo per farlo, un modo che ovviamente includesse un totale riconoscimento dei meriti di Bogdan nella sudetta scoperta. Totale ed esclusivo. La scoperta era sua, sua, e doveva essere lui ad annunciarla agli altri pianeti, non un Muzafar Chang di passaggio. Giusto? Giusto.

Ma Hideki Einarsson era di parere diverso. «Conosco anch’io il contenuto di quei messaggi, anche se non mi è chiaro come abbia fatto Leonardi a scoprirlo così presto e a rispondere addirittura prima del ministro Hass,» mentì in parte. Gli era chiaro come avesse fatto Leonardi a saperlo, ma quello Stratos non appariva nelle condizioni psicologiche giuste per ricevere altre brutte notizie, per cui era meglio fingere ignoranza. «Ed è vero, la parola di Leonardi è vincolante, su di un piano strettamente legale: se lui non vuole la pubblica diffusione di quella notizia, noi non lo possiamo costringere. Su un piano strettamente legale, ribadisco.»

«E su un piano strettamente illegale?» chiese Bogdan.

«La proposta di questo professor Chen non è malvagia, da un certo punto di vista. Non è buona per te, lo capisco, e capisco che tu vorresti strappargli la testa a morsi, ora come ora...»

«Non vorrei proprio strappargli la testa a morsi.»

«...o una qualunque altra parte del corpo con un qualunque altro strumento. Comunque, ha una base di razionalità. Se a diffondere la notizia è lo studioso di un altro pianeta, come Svarga, Leonardi non può farci nulla. Sempre su un piano strettamente legale. Può appellarsi al tribunale interplanetario, vero, e magari lo farebbe anche, forse vincendo, ma questo porterebbe a una pubblicità ancora più grande e alla fine lo sconfitto sarebbe proprio lui. È tuttavia una proposta non molto vantaggiosa per te, anche se non per i motivi che tu immagini.»

«E per quali, allora?»

Einarsson sorrise, senza molta allegria. «Tu la consideri svantaggiosa, perché ti nega la paternità di una scoperta importante. Paternità diretta, quantomeno. Una posizione da ricercatore, senza dubbio. Io la giudico svantaggiosa, perché farà terra bruciata attorno a te, all’Ufficio e più in generale sulla Terra. Leonardi sa di chi sia la colpa. Sa chi abbia scoperto davvero quello che hai scoperto, non me lo ricordo di preciso.»

«Le strutture organiche al centro dei giganti gassosi di Madre.»

«Quello che è, appunto. Di conseguenza, questo Muzafar Chang si prenderà tutti i meriti e tu invece ti prenderai tutti i danni. E credimi, non vederti riconosciuta la tua scoperta è il meno. Farti nemico Leonardi è decisamente peggio. E tu te lo farai nemico, se accetti l’offerta di questo Hu Chen.»

«E se non la accetto? La mia scoperta finirà ad ammuffire da qualche parte all’Ufficio, fino a che un ricercatore qualunque della fondazione Chen-Cohimbra non avrà una faccia sufficientemente simile al proprio deretano per raccogliere i miei risultati e pubblicarli a nome suo. Ma che bello!»

«Ci sono anche altre possibilità, ma dovrò prima consultarmi col ministro Hass. Per il momento ti suggerisco di non accettare alcuna offerta, soprattutto non a condizioni così svantaggiose, ed evita di pubblicizzare troppo la situazione. Giusto per stare sul sicuro.»

Bogdan tornò alla fondazione in un umore non molto migliore rispetto a quello con cui era sceso in città. Aspettare! Era tutto quello che sapevano dirgli. Aveva per le mani una scoperta rivoluzionaria e gli dicevano di aspettare. Ok, poteva capire il professor Chen, che voleva fregargliela per regalarla a Muzafar Chang, cioè uno dei suoi dipendenti, e si nascondeva dietro cortine fumogene da piccolo, tenero romanticone, che agiva per il bene della scienza e per scoprire la verità sull’amica scomparsa trent’anni prima. Era un porcheria, la sua offerta, ma aveva un senso. Ma Einarsson, che lo voleva parcheggiare in sala d’attesa per interrogare il capo?

Anche quello aveva senso, fu costretto ad ammettere Bogdan, mentre espletava la pratica alimentare in mensa, senza voglia e senza gustare il cibo. Einarsson era solo un tirapiedi, non poteva prendere decisioni importanti senza il consenso del capo. Poco eroico, ma comprensibile. Perché mai avrebbe dovuto rischiare, in nome di un estraneo con cui aveva solo blandi contatti lavorativi? Però doveva pur fare qualcosa, prima o poi. Non poteva restarsene seduto ad aspettare i comodi altrui.

Fece che Bogdan quella sera nel parlò ad Anna Lindtner, dopo cena, in una sala di ricreazione che il secondo sole di Svarga, il più blando e lontano, rendeva troppo chiara perché la si potesse definire sera o peggio ancora notte. Le parlò della sua intenzione di pubblicare la scoperta, dei messaggi che aveva ricevuto e della proposta fatta da Chen. Di Einarsson non parlò, per il momento: gli sembrava poco prudente. Aveva raccomandato di non pubblicizzare troppo la situazione, no?

Anna lo ascoltò in silenzio, senza concedersi neppure le solite interiezioni da dialogo socratico. Alla fine si raddrizzò, massaggiandosi un punto tra le sopracciglia. «Pubblicare la scoperta a nome di un altro, per aggirare il blocco del dottor Leonardi? Non mi sembra molto vantaggioso per te. Anzi, mi sembra una fregatura, se mi concedi l’espressione.»

«Hai scoperto l’America, guarda! Lo so anch’io che è una fregatura. Io mi becco tutta la merda e un altro si becca tutta la gloria. E se non faccio niente, alla fine qualcuno mi ruberà comunque la mia scoperta. Fregato in ogni caso, capisci?»

«Vihersalo e Leonardi sanno che la scoperta è tua. Se anche qualcuno te la dovesse davvero rubare, l’Ufficio si premurerà di fare causa ai ladri e ottenere che il merito ti sia riconosciuto. Certo, se c’è un qualche motivo per cui, per adesso, la scoperta deve essere tenuta nascosta, magari per una storia di sicurezza o altro, allora dovrai aspettare qualche anno prima di diventare famoso, ma nessuno te la ruberà, vedrai. Alla fine, sarai tu a ricevere tutto il merito.»

Risposta da nonna. E anche lei aveva usato quel verbo, aspettare, che Bogdan cominciava ormai a odiare con tutto il cuore, e anche con buona parte dello stomaco e del fegato, per non parlare della cistifellea. Pure, per il momento era costretto a farlo. Aspettare. Tanto più che, se voleva avere una qualche speranza di poter studiare da vicino i giganti gassosi, e magari cercare tracce di strutture organiche anche nel cuore di altri corpi celesti del sistema, doveva tenersi buono l’Ufficio. O, se si voleva essere più precisi, tenersi buono Leonardi. La chiave di quel sistema solare la conservava lui, probabilmente in tasca o in altra parte della sua anatomia.

E dunque? Senza risposta, ma con un principio di ulcera, Bogdan Stratos si ritirò nel loculo interrato che gli faceva da camera da letto. Meglio pensarci domani, a mente fredda. Perché, sempre secondo la filosofia di La Palisse, domani è un altro giorno, e magari gli avrebbe portato qualche buona idea. O qualche nuova fregatura, a seconda dei punti di vista.