La leggenda della Morte
Capitolo XIV
Le feste delle anime
Ci sono, nel corso dell’anno, tre circostanze, tre feste solenni in cui tutti i morti di ogni regione si riuniscono:
La notte di Natale, li si vedono sfilare per le strade in lunghe processioni. Cantano con voci dolci e leggere i cantici della Natività. Si crederebbe, a sentirli, che sono le foglie dei pioppi che stormiscono, se in quel periodo dell’anno i pioppi avessero le foglie.
Alla loro testa procede il fantasma di un vecchio prete, dai capelli ricci, bianchi come la neve, col corpo un poco curvo. Tra le sue mani scarnificate regge il ciborio. Dietro il prete cammina un bambino piccolo del coro, che fa tintinnare una minuscola campanella.
La folla segue su due file. Ogni morto regge una candela accesa, la cui fiamma non vacilla neppure nel vento4.
***
LXXXIII – La messa delle anime.
Mio nonno, il vecchio Chatton, se ne tornava una sera da Paimpol, dove era stato a riscuotere delle rendite. Era la vigilia di Natale. Aveva nevicato per tutto il giorno, così che la strada era tutta bianca; bianchi erano pure i campi e le scarpate. Temendo di perdere la strada in mezzo a tutta questa neve, mio nonno faceva procedere il cavallo al passo.
Mentre si avvicinava alla vecchia cappella in rovina che si trovava a un livello inferiore rispetto alla strada, sul bordo del Trieux, sentì scoccare la mezzanotte. Subito una campana dal suono gracile si mise a rintoccare, come per la messa.
«Toh,» pensò mio nonno. «Devono aver restaurato la cappella di Saint-Christophe. Non me ne sono accorto stamattina, al mio passaggio. È vero che non ho neppure guardato da quella parte.»
La campana continuava a suonare. Lui decise di andare a vedere cosa significasse tutto ciò.
La cappella si innalzava come nuova di pacca, sotto la luce della luna. All’interno erano accesi dei ceri i cui riflessi rossastri rischiaravano le vetrate. Nonno Chatton posò i piedi a terra, legò il cavallo a uno steccato che si trovava là ed entrò nella “casa del santo”.
Era piena di gente e tutti quanti erano così raccolti! Neppure uno di quei colpi di tosse che infrangono in un qualunque momento il silenzio delle chiese. Il vecchio s’inginocchiò sulla pietra all’ingresso dell’atrio. Il prete era all’altare. Il suo accolito andava e veniva per il coro.
Il nonno si disse: «Almeno non avrò mancato la messa di mezzanotte.» Cominciò a pregare, come si usa fare, per quelli tra i suoi parenti che aveva perduto.
Il prete nel frattempo si stava girando verso i presenti, come per benedirli. Il nonno notò che aveva gli occhi stranamente brillanti. Cosa ancora più strana, quegli occhi sembravano averlo scorto, lui Chatton, in mezzo a tutta quella folla, e il loro sguardo rimaneva puntato su di lui, fisso. Fu a quel punto che il nonno provò una sorta di imbarazzo.
Il prete, presa un’ostia dal ciborio e tenendola tra le proprie dita, domandò con una voce sorda: «C’è qualcuno che la può ricevere?» Nessuno rispose. Per tre volte il prete ripeté la propria domanda. Lo stesso silenzio regnava tra i fedeli. Allora nonno Chatton si alzò. Era indignato al vedere tutta quella gente rimanere come indifferente davanti alla parola di un prete.
«Santo cielo, Signor vicario parrocchiale,» esclamò. «Mi sono confessato stamattina prima di mettermi in viaggio, con l’intenzione di fare la comunione domani, il giorno di Natale. Ma se questo può farvi piacere, sono pronto a ricevere in questo momento il corpo e il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.»
Il prete discese subito i gradini dell’altare, mentre il nonno attraversava la folla per andarsi a inginocchiare alla balaustrata del coro.
«La mia benedizione sia su di te, Chatton,» disse il prete, quando il nonno ebbe deglutito l’ostia. «Una notte di Natale in cui nevicava come stasera, io rifiutai di andare a portare il viatico a un moribondo. Sono passati trecento anni da allora. Per poter essere liberato, era necessario che un vivente accettasse la comunione dalla mia mano. Grazie a te! Tu mi hai salvato e hai salvato nello stesso tempo tutte le anime defunte che sono qui presenti. Arrivederci, Chatton, arrivederci a presto, in Paradiso.»
Appena ebbe pronunciato queste parole, i ceri si spensero.
Il nonno si ritrovò da solo in un edificio in rovina, che non aveva che il cielo come tetto; si ritrovò solo, in mezzo ai grandi rovi e ai mazzi di ortiche che avevano invaso tutta la navata. Fece una gran fatica a liberarsene. Rimontò a cavallo e riprese il suo cammino.
Arrivato a casa, disse alla moglie: «Bisogna che ti rassegni a perdermi, prima che sia passato molto tempo. Ho già ricevuto il viatico. Puoi però consolarti. Questo viatico mi deve condurre dritto in Paradiso.»
Quindici giorni dopo, morì5.
(Raccontato da Charles Corre, detto Charles Bipi. - Penvénan, 1885.)
***
LXXXIV – Il battesimo di mezzanotte.
A quei tempi Saint-Gonval, a Penvénan, oggi decaduta al rango di povera cappella, era ancora la chiesa della parrocchia. Mio nonno materno aveva uno dei suoi fratelli che abitava nella fattoria accanto. Olliver Jézéquel era il suo nome. Era un uomo prudente e saggio, che aveva saputo accumulare dei beni, nonostante i tempi di allora fossero duri per i lavoratori della terra. È vero che non sarebbe stato certo l’allevare i bambini che lo avrebbe potuto rovinare, perché non aveva che una figlia unica, una pennhérès, come si dice, che era prossima ai venti anni.
Giustamente, l’avevano fidanzata a un ragazzo di una casa del vicinato, chiamato Patrice Penker, e quello prometteva, in fede mia, di essere un arrangiamento dei meglio riusciti.
Dopo che i bandi erano stati pubblicati, il ragazzo veniva tutte le sere, come era costume, a visitare la sua futura sposa. Le persone innamorate hanno mille sciocchezze da raccontarsi. I vecchi si erano debitamente coricati e addormentati, quando la pennhérès e il suo spasimante chiacchieravano ancora, seduti presso il focolare, da un lato e dall’altro della cenere. Quando alla fine si separavano, non era mai che sull’ultimo gradino della soglia, a meno che questo non accadesse all’ingresso del cortile.
Una sera che Patrice Penker si era attardato fino quasi alla mezzanotte a fare gli occhi dolci al suo “tesoro”, mentre quest’ultima lo accompagnava attraverso il letame dell’aia, per rimanere qualche istante in più in sua compagnia, furono entrambi testimoni di uno spettacolo che li sorprese: l’atrio di Saint-Gonval aveva i battenti spalancati e l’interno della chiesa era illuminato come per la grande messa del giorno di Pasqua.
«Chissà cosa staranno facendo?» si chiesero. E rientrarono in casa, per svegliare i genitori e raccontare loro la cosa.
«Venite! Ne vale davvero la pena!»
Messo al corrente di ciò di cui si trattava, Olliver Jézéquel scosse la testa: «Non è la prima volta che capita qualcosa del genere... Quando avrete la mia età e avrete imparato a conoscere come funziona il mondo, voi vi convincerete che ci sono molte circostanze in cui la cosa migliore è avere gli occhi per non vedere e le orecchie per non sentire... Rientrate a casa tranquillo, Patrice Penker, e voi, figlia mia, fatevi il segno della croce e salite a letto.»
«Dite bene, padre mio,» rispose la pennhérès, che soffriva del mal di curiosità, come tutte le donne, «ma se, tuttavia, fosse il sacramento della Estrema Unzione che ci si prepara a portare in grande pompa a qualche persona altolocata?»
Bisogna avvertirvi che in quest’epoca, quando il “buon Dio” andava da un nobile, non ci si accontentava di farlo precedere da una semplice lanterna, come accadeva invece per la gente comune; c’era bisogno di tutto un corteo di fiaccole.
«Se non mi volete credere, fate come preferite,» dichiarò il mio prozio, che non discuteva mai. E i nostri due giovani decisero di andare in chiesa, contro il suo parere.
La navata centrale e quelle laterali erano completamente deserte, ma nel coro, che i ceri illuminavano con una luce bianca e viva come quella della giovane luna, si trovavano tre figure umane: un prete al di sopra, in piedi sul più alto gradino dell’altare a cui voltava la schiena, poi ai suoi piedi una vecchia inginocchiata, avvolta da un mantello nero, come quello che hanno le groac’h an holen6; ed era proprio una groac’h an holen, in effetti, perché porgeva al prete un bambino piccolo, disteso sulle sue braccia.
Patrice Penker e la sua promessa sposa si avvicinarono, incuriositi. Il prete li aveva a malapena notati, quando congiunse le mani e disse: «Marteze’zo tud diwar ar bed-man cap da veza paeron ha maeronez d’ar buguel-man? (Ci sono forse persone di questo mondo capaci di servire da padrino e da madrina per questo bambino.)»
Parlando in questo modo, guardava fisso la pennhérès Jézéquel e il suo amico Patrice Penker. Loro due non sapevano bene in che modo comportarsi: adesso avrebbero preferito non essere mai entrati. Siccome rimanevano là, esitanti, chi officiava ripeté la sua domanda. Allora si decisero e Patrice Penker rispose: «Qui ci siamo noi due che potremmo fare da padrino e madrina per il bambino che voi dite, perché non siamo ancora marito e moglie.»
«Dio vi benedica!» mormorò il prete, scendendo i gradini dell’altare. Dopo aver fatto recitare il Credo in Deum ai due giovani, procedette col battesimo.
Poi, quando ebbe finito, disse: «Vi spiegherò tutto questo. Vedete in me l’antico vicario parrocchiale di Saint-Gonval. Non mi avete conosciuto, perché non eravate ancora in questo mondo quando io ne ero uscito già da tempo... Un giorno, mi vennero a cercare in fretta al presbiterio per battezzare questo bambino. Ora, io ero andato a mangiare da un mio confratello di Camlez. Ero di ritorno la sera, ma nell’intervallo il bambino era morto senza battesimo. È per questo che, quando sono finito all’altro mondo, Dio mi ha condannato a ritornare in questo luogo ogni notte, fio a che io non avessi trovato un padrino e una madrina per aiutarmi a rimediare alla mia colpa. Sono più di trent’anni che va avanti così. Grazie a voi, l’anima del bambino è adesso in cielo e io ho concluso il mio periodo di penitenza. Dio vi ricompenserà della vostra buona azione, ma dandovi altre gioie che quelle in cui voi sperate.»
Aveva appena finito di parlare, quando i ceri si spensero e i due giovani furono sprofondati in una oscurità così profonda che fecero fatica a dirigersi verso la porta a tentoni. Il giorno dopo si ammalarono, ognuno nella propria casa, di una malattia di languore contro cui tutti i rimedi si mostrarono inutili. I loro terzi bandi non furono mai pubblicati. Ma se non si sono potuti sposare su questa terra, senza dubbio lo saranno adesso in Paradiso. Amen!
(Raccontata da Jean-Marie Toulouzan. - Port-Blanc.)
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La notte di San Giovanni, in tutti i paesi, in tutte le frazioni della Bassa Bretagna, si accendono i tantad, o i roghi7. Quando il fuoco ha finito di bruciare, i presenti si inginocchiano in cerchio attorno al mucchio di braci e si comincia a recitare le grazie. È sempre un “vecchio” che si incarica di questo compito. Conclusa la preghiera, il vecchio si alza, ognuno fa altrettanto e tutti, sistemati in una sola fila, cominciano a marciare in silenzio attorno al tantad. Al terzo giro, ci si ferma. Ognuno raccoglie da terra un sasso e lo getta nel fuoco. Questo sasso si chiama da allora: anaon.
Completato questo rito, la folla si disperde8.
Dopo che i vivi se ne sono andati, accorrono i morti, perché il fuoco attira i morti, i morti che hanno sempre freddo9, anche nelle belle notti tiepide del mese di giugno. Sono contenti di potersi scaldare a ciò che resta del tantad. Si siedono sulle pietre, sugli anaon che sono stati messi là per loro10, e fino al mattino si scaldano.
Il giorno seguente, i vivi vanno a visitare il luogo dove avevano acceso il fuoco della vigilia. Quello il cui anaon è stato rigirato si può aspettare di morire entro l’anno.
***
C’è l’abitudine di recarsi ai fuochi di San Giovanni con un fiore chiamato, per questo motivo, louzaouen Sant Iann (erba di San Giovanni), il cui gambo è stato fatto passare nove volte tra le fiamme. Tornati a casa, lo si pianta diritto dietro il bordo di un mobile, armadio o alzata di credenza. Due cose potranno accadere: o piegherà la testa, seccandosi, oppure al contrario si irrigidirà. Nel primo caso, è segno che la persona che l’ha raccolto dovrà morire entro l’anno.
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La sera di Ognissanti, vigilia della festa dei Morti (Goël ann Anaon), i defunti tornano tutti a visitare i viventi11. I viventi hanno fatto, dopo i vespri, “la processione del carnaio”. I preti e i cantori hanno intonato davanti all’ossario il lamento che porta il suo nome (gwerz ar Garnel).
Ecco questo gwerz:
Veniamo al carnaio, cristiani, guardiamo l’ossame
Dei nostri fratelli, sorelle, padri e madri,
Dei nostri vicini, dei nostri amici più cari;
Guardiamo lo stato pietoso in cui sono ridotti.
Voi le vedete rotte, sbriciolate;
Anche la maggior parte è caduta in polvere.
Qui non c’è più nobiltà, fortuna, bellezza!
La morte e la terra han tutto confuso.
Tra il povero e il ricco, il signore e il valletto,
Non c’è più differenza; tutti sono uguali,
Di loro non restano che ossa, polvere e putrefazione.
Ci disgusterebbero, se non ne avessimo pietà.
Ebbene! In questo stato pietoso a cui sono ridotti,
Ci parlano, e la muta lor parola è di singolare eloquenza.
Ci danno una lezione e tocca a noi approfittarne,
Finché piacerà a Dio di lasciarci in questo mondo.
Ascoltate dunque il loro insegnamento, ascoltate bene,
Con cuore desideroso di trarne buon profitto.
Chiaramente vi dicon che anche loro furon di questo mondo
E che come loro voi morrete, quando men vi penserete.
«Abbiamo vissuto sulla terra, proprio come voi,
Abbiamo conversato, marciato, bevuto e mangiato,
Ed ecco adesso in qual stato siam ridotti,
Dopo esser stati in terra a servir da cibo ai vermi.
«Ero uomo robusto e galante!» «Io un gentiluomo!»
«Io un uomo ricco!» «Io un uomo d’ingegno!»
«Ho perso la mia nobiltà!» «Ho perso i miei averi!»
«Ho perso forza e bellezza!» «Ho perso il mio sapere!»
Non abbiamo che le nostre persone e le nostre buone azioni
Da presentare al nostro Giudice, al nostro Re, al nostro Padre!
Abbandonate dunque i beni della terra, detestate i vizi,
E vestite le vostre anime d’ogni tipo di virtù.
E se voi domandate dove sian finite le nostre anime,
In Purgatorio sono finite, ancora lontano dal cielo,
Sono nel fuoco che brucia, per finir di pagare il debito
Che in terra contrassero verso il vero Dio.
Terrificate dalle fiamme, si spolmonano a gridare,
A implorare le vostre preghiere, per liberarsi più in fretta
Dalle prigioni tenebrose in cui furono gettate.
Sbrigatevi, sbrigatevi a soccorrerle, e non rimandate!
A voi ci rivolgiamo, parenti e amici!
Ricordatevi di noi! Quando andrete nel cimitero,
Dite di passaggio: «Dio perdoni
All’Anaon nel Purgatorio!» (Perché là è il nostro paese.)
Una elemosina, una preghiera fatta con tutto il cuore,
Un digiuno o una messa, o una comunione
Possono molto per darci sollievo, per abbreviar le nostre pene
E per strapparci d’un colpo agli orrori della fiamma.
Preti cari, che ci avete guidati
Sul cammino della salvezza mentre eravamo al mondo,
Continuate ancor un poco ad aver pietà di noi
E a donarci, per pietà d’animo, ogni sorta di bene.
Quando salite all’altare, per celebrare messa,
Quando Dio scende verso di voi, ascoltare allora il nostro grido:
Dal cuore delle fiamme noi vi supplichiamo
Di aiutarci, per il santo sacrificio, a far pace con Dio.
E quando avrem finito d’espiare i nostri peccati,
Noi rivolgeremo per voi a Dio la nostra richiesta.
Pregate. Noi lo faremo a nostra volta. Aiutiamoci l’un l’altro.
È un buon modo per impedire che qualcuno si perda.
Come l’acqua estingue il peggior incendio,
Così anche il fuoco del Purgatorio è estinto
Dal santo sacrificio sparso sull’altare.
Chiedete la nostra liberazione, in nome di Dio il Salvatore.
Non appena il sole luminoso emerge al di sopra delle nubi,
Subito il mondo intero risplende di chiarezza.
Anche noi ci innalzeremo, chiari, come le stelle,
In virtù del santo sacrificio, quando le nostre pene saran cessate.
Addio, padri e madri, fratelli e sorelle!
Addio, parenti, amici! Addio, voi, i viventi del mondo!
Vi rivolgiam adesso i nostri ultimi addii.
Addio a tutti! Arrivederci nella valle di Josaphat!
Donate l’eterno riposo, Gesù, nostra Maria,
Al buon Anaon defunto, che si trova tra le fiamme!
Inviatelo in Paradiso, per dimorarvi per sempre
Assieme ai santi, a tutti gli angeli12!
Cantato il gwerz, ognuno rientrava a casa propria, poi ci si sedeva all’angolo del focolare, per discutere di quelli che sono morti. La padrona di casa ricopriva con una tovaglia bianca la tavola della cucina e su questa tovaglia disponeva del sidro, del latte cagliato, delle crêpes calde13. Conclusi questi preparativi, tutti vanno a dormire. Il fuoco è alimentato nel focolare da un ceppo enorme, il ceppo dei defunti (kef ann Anaon).
Verso le nove, nove e mezza, voci lamentose si alzano nella notte. Sono i “cantori della morte”, che camminano per le strade e vengono, in nome dei defunti, per rivolgersi sulla soglia delle case ai viventi prossimi ad addormentarsi. Recitano il “lamento delle anime14”:
I
Mie povere genti, non stupitevi affatto
Se alla soglia della vostra porta sopraggiungiamo;
È Gesù che ci ha inviati
A svegliarvi, se state dormendo.
II
È Gesù che ci ha inviati
A svegliarvi, se state dormendo,
A svegliarvi dal vostro primo sonno,
Perché voi preghiate Dio per le anime.
III
Voi siete nel vostro letto ben comodi,
Le povere anime sono in pena.
Voi siete dolcemente distesi nei vostri letti,
Le povere anime sono nello sconforto.
IV
Un drappo bianco, cinque assi,
Una manciata di paglia sotto le nostre teste,
Cinque piedi di terra sopra di noi,
Ecco tutti i nostri beni in questo mondo in cui siamo.
V
Vergine Maria, madre di Gesù,
Questo è il triste lamento,
Questo è il triste lamento
Che viene dal cielo, da parte di Gesù!
VI
Forse vostro padre e vostra madre
Sono in Purgatorio nel fuoco fiammeggiante!
Forse vostro fratello e vostra sorella
Sono nel fuoco fiammeggiante del Purgatorio!
VII
Sono là, sulle loro bocche,
Fuoco di sopra, fuoco di sotto,
Fuoco di sopra, fuoco di sotto,
Gridando, implorando le vostre preghiere.
VIII
Da quelli che noi abbiam nutrito
Da molto tempo noi siamo abbandonati.
Pregate, parenti e amici,
Perché i nostri figli non lo fanno!
IX
Pregate, parenti e amici,
Perché i nostri figli non lo fanno;
Pregate, parenti e amici,
Perché i figli sono ingrati.
X
Andiamo! Balzate dal vostro letto,
Balzate a piedi nudi sulla terra,
A meno che non siate malati
O già sorpresi dalla morte15!
Le persone che vanno cantando così di porta in porta il “lamento delle anime”, durante la note di Ognissanti, hanno spesso sentito passare sul proprio collo l’alito freddo dello Anaon che premeva in massa dietro di loro. Spesso hanno anche sentito, in quella notte, le foglie morte stormire sui sentieri, come sotto i passi di esseri invisibili.
I morti trascorrono tutta la notte che precede la loro festa a scaldarsi e a rifocillarsi nelle proprie antiche dimore. Non è raro che la gente della casa senta muovere gli sgabelli. L’indomani, si nota a volte che i visitatori notturni hanno cambiato di posto ai piatti nell’alzata della credenza.
Sul fare del giorno, i morti si recano allo stesso tempo dei viventi alla messa che si celebra per loro nella chiesa della parrocchia.
«Un anno in cui mio padre se ne andava da solo alla messa dei morti, si sentì chiamare all’improvviso da qualcuno che sembrava volerlo raggiungere. “Ehi, Iouenn, aspettami!” Si girò e non vide nessuno. Ma aveva distintamente riconosciuto la voce di sua madre, morta l’anno prima.»
(Raccontato da Marie Hostiou. - Quimper, 1887.)
***
La parrocchia di Plougastel-Daoulaz, una delle più importanti del Finistère, è divisa in un certo numero di confraternite (breuriez). La sera di Ognissanti, dopo i Vespri dei Morti, i membri di ogni confraternita si riuniscono a casa di uno di loro, per celebrarvi il seguente rituale.
La tavola della cucina è coperta da una tovaglia su cui è ostentata un grande pasticcio di pane, fornito dalla padrona di casa. Al centro del pasticcio è piantato un piccolo albero con un pomo rosso all’estremità di ciascuno dei suoi rami. Il tutto è coperto da un tovagliolo bianco.
Quando la confraternita è riunita attorno alla tavola, il padrone di casa, in qualità di officiante, comincia le preghiere dei defunti, a cui rispondono gli assistenti. Poi, dette le preghiere, solleva il tovagliolo, taglia il pasticcio di pane in tanti pezzi quanti sono i membri della confraternita e mette in vendita questi pezzi al prezzo di due, quattro o anche di dieci soldi l’uno. Ognuno dei membri della confraternita che non comprerà il proprio “pane delle anime” (bara an Anaon)16 incorreva nella maledizione dei propri parenti defunti. Niente sarebbe più prosperato per lui.
Il denaro raccolto in questo modo è consacrato a far celebrare messe e servizi per i defunti. Quanto all’albero dalle mele rosse, simbolo della breuriez, di cui del resto porta il nome, la persona incaricata di fornire il pane l’anno seguente lo viene a chiedere in pompa magna, quanto la notte si avvicina, e dispone a proprio gradimento i frutti di cui è ornato, in attesa di sostituirli con altri.
(Comunicato da Amédée Créac’h. - L’Auberlac’h, 1894.)
***
All’isola di Seine, il primo novembre, il vicario parrocchiale indica nella predica della messa grande otto persone giovani tra i maggiorenti della parrocchia, per svolgere la sera i riti dello Anaon.
Una volta concluse le preghiere della notte, che durano fino alle ore dieci, quattro di questi giovani si fermano nella chiesa che i fedeli hanno abbandonato e, di ora in ora, fanno risuonare i rintocchi funebri. Gli altri quattro, muniti di una campana portatile, circolano per il paese, si fermano davanti a tutte le case dove ci sono stati dei decessi nel corso dell’anno e salmodiano in coro: «Christenien, difunit, ha lavaromp eun De profundis evit an Anaon tremenet. (Cristiani, svegliatevi, e recitiamo un De profundis per le anime trapassate.)»
Recitano loro stessi il De profundis, con gli abitanti della casa che rispondono dall’interno. Arrivati al Requiescant in pacem finale, lo proclamano con tutta la forza dei loro polmoni. A ogni soglia si offre loro un obolo che non è mai inferiore a venti soldi, e realizzano anche collette che vanno dai cento ai duecentocinquanta franchi, che il giorno seguente depositeranno al presbiterio.
Un anno, sembra, il sindaco volle vietare questa usanza come pericolosa per l’ordine pubblico. Benché nella chiesa chiusa non ci fosse nessuno, tuttavia, i rintocchi funebri non cessarono in ogni caso, come d’abitudine, di ora in ora, durante tutta la notte: le campane suonarono da sole.
(Jeffe Fouquet. - Ile de Seine.)
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Il Giorno dei Morti, in tutte le fattorie, è abitudine dopo la cena di accendere un grande fuoco nel focolare. Questo fuoco non deve servire né a cucinare cibi, né a scaldarsi. Nessun vivente vi si può sedere attorno e non vi si appende sopra alcun vaso. È il fuoco dello Anaon, destinato unicamente alla purificazione delle anime, alla loro liberazione definitiva dalle fiamme del Purgatorio.
Quella sera, ci si astiene allo stesso modo dal mangiare qualunque tipo di alimento dopo la cena. Il cibo che i viventi dovessero mangiare, si dice, farebbe male ai defunti.
(François Le Roux. - Rosporden, 1894.)
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C’è un’usanza, a Douarnenez, per cui il giorno della festa dei Morti, l’indomani di Ognissanti, le donne che, in circostanze ordinarie, non hanno il diritto di salire a bordo di navi da pesca, vanno a fare un giro in mare assieme ai mariti. Una volta giunte, se non al largo della Baia, almeno a una certa distanza dalla costa, recitano dei De profundis per i marinai della loro famiglia, “morti” in mare e i cui cadaveri non sono stati ritrovati.
(Comunicato da Prosper Pierre. - Douarnenez.)
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Non c’è felicità per le case in cui ci si dimentica di concludere le “grazie” (preghiere) della sera con la seguente orazione, in bretone:
Tutti quelli che sono in casa, Dio li protegga!
Tutti quelli che sono fuori, Dio li guidi!
Dio liberi tutte le anime
Per le quali abbiamo il dovere di pregare!
Pace e salute alla compagnia!
Ai poveri Anaon, saluti!
La pace di Dio a quelli che vivono,
E le gioie del Paradiso a quelli che son morti!
(Marguerite Philippe. - Pluzunet.)
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Quando il messaggero di matrimonio, il baz vanel, va a domandare la mano di una ragazza per un ragazzo del suo quartiere, deve concludere il discorso in versi con la seguente formula:
Bennoz ar ré varo n’allan ket da c’houlenn,
Rac calz a galônou contristed a rafenn;
Gwell ez eo eur béden d’an Anaon désédet
Evit n’ê ho bennoz pa n’emant war ar béd.
Dré-zé m’ho péd oll da laret ganin-mé
Ar psalm deuz an Iliz en repoz d’ho iné.
[La benedizione dei parenti morti non la posso domandare, / Perché ci sono tanti cuori che rattristerei. / Meglio sia pregare per i trapassati / che (implorare) la loro benedizione, perché non son più di questo mondo. / Per questo vi invito tutti a recitare con me / il salmo della Chiesa per il riposo della loro anima.]
Dopodiché, comincia il De profundis e l’assistente gli dà le risposte. Se omette questo cerimoniale, la vendetta dei parenti defunti perseguiterà i giovani sposi e niente riuscirà loro.
(Raccontato da Lauric Laur. - Port-Blanc, 1896.)
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I mendicanti che, alla vigilia del primo dell’anno, vanno a due per due a “cantare la buona annata” di porta in porta, dicono in conclusione scoprendosi il capo:
Eur blavez mad war an douar;
Da iné ho tud oa ha gloar.
Donné, donné!
Mar int rétardet er poanio,
N’ôtro Doué d’ho délivro!
Ni zo aman daou dén a c’hiz
[Una buona annata sulla terra; / All’anima dei vostri parenti, gioia e gloria. / Donate, donate! / Requiescant in pace! / Se sono imprigionati nelle pene (del Purgatorio), Che il signore Dio li liberi! / Noi siamo qui due uomini al corrente degli usi / Che reciteranno un De profundis.]
(Iannic Ar Wéloëz, mendicante. - Pleudaniel.)
NOTE
1 - Cfr. E. Souvestre, Le foyer breton (1845), p. 233. In Galles, al contrario, si dice che nessuno Spirito malvagio può apparire la notte di Natale (E. Owen, Welsh folklore, p. 192).
2 - Durante queste due notti, non si ha niente da temere dagli Spiriti malvagi, perché Gesù bambino e San Giovanni rendono nulli i loro malefici (Sauvé, Mélusine, t. III, col. 358). Durante la messa di mezzanotte, le fiamme del Purgatorio si spengono e non si vedono più spettri sulla terra (Luzel, La veillée de Noël, Revue de Bretagne et de Vendée, t. X, (1861), p. 431). Se un uomo ha il coraggio di rannicchiarsi in fondo all’ossario durante la messa di mezzanotte, vedrà l’Ankou avvicinarsi a lui e indicagli i nomi delle persone della parrocchia che moriranno l’anno successivo (Sauvé, Revue des traditions populaires, t. II, p. 536). Secondo una tradizione del Morbihan, l’Ankou tocca con un dito tutti quelli che dovranno morire nel corso dell’anno. Per vederlo, bisogna avere digiunato durante la vigilia fino al levarsi delle nuove stelle e tenere l’indice nell’acquasantiera. Un uomo, che si trovava in queste condizioni e che vide l’Ankou dirigersi verso di lui, voleva uscire dalla chiesa, ma l’acqua dell’acquasantiera era congelata e non poté ritirare il proprio dito (P. M. Lavenot, Revue des traditions populaires, t. VII, p. 569).
3 - La notte di Ognissanti (Samhain) è in Irlanda la notte delle apparizioni e degli spettri. In quella notte non bisogna mai voltare la testa, quando si crede di sentire camminare dietro di sé; sono senza dubbio i morti che producono quel rumore di passi e lo sguardo dei morti uccide (lady Wilde, Ancient legends, p. 140). In Galles è la notte di Ognissanti che si possono vedere meglio le fate riunite per danzare e cantare (Rhys, Celtic folklore, p. 457).
Nello Herefordshire (Galles), la vigilia di Ognissanti, a mezzanotte, il diavolo vestito da monaco celebra una messa in chiesa e pronuncia i nomi di quanti moriranno nel corso dell’anno (Rhys, Celtic folklore, p. 328). Nell’Irlanda pagana, oltre alla festa di Samhain c’era un’altra grande festa, Belténé, che aveva luogo il primo maggio. La tradizione popolare ne conserva ancora il ricordo. Secondo Cr. Croker (Fairy legends, ed. Wright, p. 153), nella notte che precede il primo maggio molti Spiriti buoni e malvagi vagano per la campagna.
In alcune parti d’Irlanda, anche la notte dei Re è una festa delle anime; in quella notte, i morti vanno in giro e su ogni tegola della casa c’è un’anima in attesa delle preghiere che la libereranno dal Purgatorio (lady Wilde, Ancient legends, p. 83).
4 - Anche gli annegati fanno una processione sulla superficie del mare la notte di Natale (A. Le Braz, Vieilles histoires du pays breton, pp. 196-201).
5 - Cfr. Fr. M. Luzel, Veillées bretonnes, p. 5 e seguenti; R. F. Le Men, Traditions et superstitions de la Basse-Bretagne (Revue celtique, t. I, p. 426): è la storia del vescovo Penarstanc, di Tréguier, che tornava ogni notte a cercare di recitare la messa alla chiesa di Plougonven. Sulla messa dei fantasmi in Irlanda, si veda Th. J. Westropp, Folklore, t. XXI, p. 343.
6 - Groac’h an holen, letteralmente “fata (o vecchia) al sale”. Si chiama così la levatrice che porta il neonato in chiesa il giorno del battesimo.
7 - Cfr. N. Quellien, Revue d’Ethnographie, t. IV, p. 89; Aveneau de la Grancière, Revue Morbihannaise, 1912, pp. 171-173. A Pempoul, il rogo è costruito unicamente con cestini non più usati, dopo essere serviti per trasportare il pesce, e avvolti in una rete da pesca (A. Le Braz, Les saints bretons d’après la tradition populaire, Annales de Bretagne, t. IX, p. 594).
8 - In Irlanda, ogni notte di San Giovanni gli uomini si radunano sul Cnoc Ainé; portano su aste dei cliar, o fasci di paglia e di fieno a cui è stato appiccato il fuoco. Fanno in processione il giro di Cnoc Ainé, poi si sparpagliano nei campi coltivati brandendo le loro torce improvvisate. Sperano così di ottenere un buon raccolto e buon bestiame per l’anno successivo. Una volta, accadde che uno dei vicini morì e che non furono accesi i cliar. Tuttavia, quella notte si vide la collina illuminata dal fuoco, come non la si era mai vista. I morti erano venuti a prendere il posto dei vivi (D. Fitzgerald, Popular tales of Ireland, Revue celtique, t. IV, p. 189). Nella contea di Clare, si danza attorno al fuoco di San Giovanni e vi si fa passare il bestiame (Th. J. Westropp, Folklore, t. XXII, p. 206).
9 - Ar maro ién, dicono in Bassa Bretagna, “la morte fredda”.
10 - “Se ne vedevano molti che mettevano pietre accanto al fuoco che ogni famiglia ha l’abitudine di accendere alla vigilia della festa di san Giovanni Battista, affinché i loro padri e i loro antenati venissero a scaldarsi con comodo” (Vie de M. le Nobletz, in Gaidoz, Superstitions de la Basse-Bretagne au XVII siècle, Revue celtique, t. II, p. 485). Questa usanza è segnalata anche nelle Lettres morbihannaises dalla contessa di Morval, nata Anatolie de Kerguenec, Lycée armorican, t. IV (1824), p. 455. Si veda anche Le Fureteur breton, t. II, p. 152.
In Irlanda, a Tlachtga, è nella notte del 31 ottobre che si accende un grande fuoco (Rhys, The Hibbert Lectures, p. 515). Si fa menzione del fuoco di Samhain e delle pietre che vi si pongono nel Togail Bruidne Dâ Derga, racconto irlandese dell’Alto Medioevo (Revue celtique, t. XXII, p. 170). Il fuoco della Vigilia di Ognissanti (coetcerthi) è noto anche in Galles (The Cambro-Briton, t. I, p. 351). Ogni famiglia accende un grande fuoco in un luogo ben in vista accanto alla casa e, quando il fuoco si è spento, ognuno getta nelle ceneri una pietra bianca che ha marcato in precedenza. Se la mattina successiva una delle pietre manca, significa che la persona che l’ha lanciata morirà prima del prossimo Ognissanti. Quando il fuoco si spegne, tutti i presenti fuggono via il più in fretta possibile, perché l’ultimo ad andarsene sarà preda del Diavolo (Rhys, Celtic folklore, p. 225).
11 - “Dicono che la vigilia della festa dei morti ci sono più anime in ogni casa che granelli di sabbia nel mare e sulle spiagge” (Cambry, Voyage dans le Finistère, t. II, p. 32).
Ogni morto può abbandonare la propria tomba di tanto in tanto (Killarney), ma la notte di Ognissanti c’è una generale apparizione di tutti i morti. Si recano dai propri amici a sedersi accanto al fuoco, ma soltanto quelli che moriranno dentro l’anno li possono vedere. In preparazione a questa visita, si spazza con attenzione, si accende un bel fuoco e si recitano preghiere (Curtin, Tales of the fairies, p. 157). Le sofferenze di tutte le anime cessano dal 31 ottobre al giorno dei morti incluso (Br. J. Jones, Traditions and superstitions collected at Kilcurry co. Louth, Folklore, t. X, p. 121). Il Martedì grasso e il giorno di Ognissanti le anime escono dal Purgatorio e vanno a sedersi attorno al focolare nelle abitazioni. Se, in quei giorni, si lascia uscire di casa del cibo o del fuoco, questo porterà grandi mali (Haddon, A batch of Irish folklore, Folklore, t. IV, p. 359). Il primo maggio, non si deve lasciar portare fuori né fuoco, né acqua, né latte. Se un viaggiatore chiede una tazza di latte, deve berla all’interno della casa e vi si mischia del sale per allontanare la sfortuna (lady Wilde, Ancient legends, p. 106). Ugualmente, non si deve portare il fuoco fuori della casa quando una persona è in punto di morte (ibid., 118-119).
Nelle Highlands scozzesi, non si deve portare fuori di casa il fuoco né il primo giorno dell’anno, né il giorno di santa Brigitta, né soprattutto il giorno di Belténé e il giorno di Lughnasadh (primo di agosto) (J. G. Campbell, Superstitions of the Highlands and islands of Scotland, p. 235)
12 - Ho tradotto questa lamentazione dalla raccolta d’inni religiosi intitolata: Kanouennou santel, dilennet ha reizet evil Escopi Kemper. Questa raccolta è dell’abate Henry. L’autore ha modificato un poco il testo popolare, ma questa modifica non si è effettuata che su alcune espressioni a cui ha voluto dare una forma più arcaica, più scientificamente bretone. Ha inoltre avuto l’onestà di inserire all’inizio dell’opera una sorta di lista delle parole antiche che ha creduto di dover sostituire ai termini attualmente in uso.
Il gwerz di cui ho dato qui la traduzione ha un carattere avvincente, ma è necessario sentirlo cantare in bretone dalle rudi voci di paesani e nel contesto funebre che comporta. Non dimenticherò mai l’effetto che provocò in me, una sera di Ognissanti, nel povero cimitero di Spézet, un borgo sperduto della Montagne-Noire. Tutta questa regione della Cornouaille centrale è essa stessa una sorta di cimitero preistorico, punteggiato di monticelli che, nella solitudine del paese, sembrano un popolo di cairns misteriosi. In questo vasto paese mortuario, questa melopea potente, questo lamento così ampio, così monotono, aveva davvero una grandiosità selvatica e vi trasmetteva un fremito molto particolare.
13 - Questi pasti dei morti diventano sempre più rari, ma l’usanza non è scomparsa del tutto. Cambry scriveva nel 1799: “Il primo novembre si preparano ancora in qualche angolo sperduto [del distretto di Quimper] delle crêpes, un pasto per i morti» (Voyage dans le Finistère, t. III, p. 48; cfr. O. Perrin e A. Bouet, Galerie bretonne, t. III, p. 160; A. Le Braz, La nuit des morts, in Pâques d’Islande, p. 307).
A l’Isle-aux-Moines (Morbihan), la sera di Ognissanti, si lascia sulla tavola un piatto di crêpes per i morti che, in quella notte, hanno il privilegio di tornare sulla terra e visitare le loro vecchie dimore, a condizione di ritornare sotto terra al primo canto del gallo (A. Mauricet, L’Isle-aux-Moines, ses mœurs et ses habitaints, Bulletin de la Société polymathique du Morbihan, 1877, p. 89). In Galles, la vigilia di Ognissanti si trascorre a festeggiare: fuochi di gioia, danze, giochi atletici (The Cambro-Briton, t. I, p. 351).
14 - Questo “lamento delle anime” è già stato pubblicato, dapprima da L. Dufilhol sulla Revue de Bretagne, 1833, pp. 185-188, e su Guionvac’h (traduzione, p. 205 – testo, p. 375), quindi da H. de la Villemarque nel Barzaz-Breiz, sesta edizione, p. 507, sotto il titolo di “Canto dei Trapassati”. La traduzione che noi diamo qui, a nostra volta, è del tutto letterale. Bisogna essere stati svegliati di soprassalto da questo lamento doloroso nel letto chiuso di qualche fattoria isolata, per sapere fino a dove può arrivare l’intensa malinconia, la straziante e selvaggia tristezza degli inni della morte nella Bassa Bretagna.
15 - Si trova una versione del canto delle anime in E. Souvestre, Les Dernier Bretons, 184, p. 163.
16 - Un tempo, nel Monmouthshire, in Galles, i poveri di tutte le sette andavano, nel Giorno dei morti, a mendicare del pane per le anime dei trapassati (Coxe, Historical tour in Monmouthshire, 1801, citato in The Folklore Journal, t. I, p. 378).