Prosciugare il mare bevendolo
C’erano il Capo della foce del fiume e il Capo dell’alto corso del fiume. Il primo era molto sbruffone e così desiderava far umiliare il secondo, oppure ucciderlo, coinvolgendolo in un tentativo di fare qualcosa di impossibile. Così lo mandò a chiamare e disse: «Il mare può essere una cosa utile, nella misura in cui è ia casa di origine dei pesci che risalgono nel fiume. Ma è davvero distruttivo quando c’è tempesta, quando batte con violenza contro la spiaggia. Bevilo fino a prosciugarlo, adesso, così potranno rimanere soltanto i fiumi e la terra asciutta. Se non riuscirai a farlo, allora rinuncia a tutto ciò che possiedi.» L’altro (con grande sorpresa dello sbruffone) disse: «Accetto la sfida.»
Così, mentre scendevano assieme verso la spiaggia, il Capo della corrente superiore del fiume prese una coppa, con quella raccolse un poco di acqua del madre, ne bevve qualche goccia e disse: «Nell’acqua del mare così come è non c’è niente di dannoso. Sono alcuni dei fiumi che vi si riversano dentro che sono velenosi. Chiudi prima di tutto le foci di tutti i fiumi sia nel paese degli ainu che in Giappone, e impedisci loro di versarsi nel mare, e poi io provvederò a svuotare il mare bevendolo.» A quel punto il Capo della foce del fiume si vergognò, ammettendo il proprio errore, e diede tutti i propri tesori al suo rivale.
(Trascritta a memoria. Raccontata da Ishanashte il 18 novembre 1886.)
Commento
Di nuovo quello che dicevamo per il racconto precedente. Qui il più intelligente dei due è la persona che proviene dall’alto corso del fiume, ossia Pen, mentre il perdente è quello che proviene dal basso corso, ossia Pan. Interessante notare che in questa storia non sono utilizzati nomi veri e propri, ma solo i riferimenti geografici. O almeno, Chamberlain non utilizza i nomi nel raccontarcela: non avendo a disposizione il testo originale in lingua ainu, non possiamo sapere come fosse davvero. Ma sono dettagli.
Se allarghiamo la nostra prospettiva e osserviamo anche gli ainu che vivevano sull’isola di Sachalin, il discorso si fa più interessante. Bronisłav Piłsudski, che trascorse diversi anni a Sachalin e dintorni contro la propria volontà, per ingannare il tempo dell’esilio si dedicò a studi etnografici sulla popolazione ainu della zona: i suoi risultati sono raccolti nei volumi dei Materials for the study of the Ainu language and folklore, pubblicati a Cracovia poco prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Nell’introduzione a questi suoi studi, Piłsudski ci presenta una breve lista dei generi a cui possono essere ricondotte le storie raccontate dagli ainu (di Sachalin in particolare, ma anche di Ezo): in gran parte il discorso non ci interessa, non in questa sede, ma una voce va citata, perché si applica alle storie di Panaumbe e Penaumbe raccolte da Chamberlain.
La seconda sezione dell’elenco stilato da Piłsudski ci indica i vari generi di tuita, secondo il termine usato a Sachalin, o di uepeker, secondo il termine usato a Ezo. Queste storie, in genere in prosa, sono quelle che potremmo definire “fiabe”; la categoria di tuita/uepeker che ci interessa è la quinta, che Piłsudski indica con la lettera “e” e che racconta gli aneddoti di due vicini di casa, uno scaltro e uno stupido, dove il primo ha sempre successo e il secondo fallisce sempre, a volte morendo pure. Familiare, vero? La cosa interessante è che, secondo Piłsudski, a distinguerli non è il nome o la parte del fiume da cui provengono, ma l’età: il più giovane è sempre il più intelligente o il più coraggioso dei due ed è ovviamente lui a uscire vincitore da ogni contesa, mentre il più anziano perde sempre.