Adriano - racconti e altro

La galassia di Madre - 78

Bogdan Stratos si annoiava. Lo avevano posteggiato in quella specie di comitato con l’incarico di proporre e valutare le strategie migliori per condurre uno studio diretto dei nuclei dei giganti gassosi di Madre, ammesso che vi fossero sistemi per studiare da vicino il nucleo di un gigante gassoso, e in un primo momento gli era sembrato un progresso. Qualunque cosa ti sembra un progresso, quando hai sprecato mesi a fissarti le unghie in uno studio confortevole come un sarcofago, aspettando che i tartari si decidessero ad attraversare il loro deserto. Poi i tartari non si erano visti, ma era arrivato un ordine da Leonardi che lo ricollocava in un comitato, come prima tappa nel progetto che li avrebbe portati allo studio diretto dei famigerati nuclei e papparapà. Pareva un buon segno.

Adesso non lo pareva più. Adesso pareva soltanto una cortina di fumo, avvolta da una formuletta di buono propositi che, se possibile, erano ancora più fumosi della cortina fumogena stessa. Proporre e valutare le strategie migliori per condurre uno studio diretto dei nuclei. Hah! Come se fosse antani, si poteva aggiungere. Adesso Bogdan sprecava i giorni in riunioni col resto del comitato, un branco di scarti raschiati da chissà quali pareti nei bagni dell’Ufficio. O i bagni a pagamento di un qualche locale pubblico, se era per questo. Non che fossero incompetenti, sia chiaro: non c’erano persone davvero incompetenti che lavorassero per l’Ufficio, almeno non ai livelli più bassi, dove si lavorava invece di macinare mandibole e lingua. Erano solo persone competenti. Peccato che non tutte queste persone competenti possedessero anche una testa ben avvitata sulle spalle e connessa al resto del mondo, almeno secondo il suo modesto parere. Suo di Bogdan, non del mondo.

Progressi? Non pervenuti. Più o meno ogni settimana uno di quei tecnici se ne usciva con una nuova proposta che, a prima vista e prima sentita, suonava promettente. Poi un altro tecnico la criticava. E un altro si alzava e cominciava a preparare un grafico. Un altro ancora setacciava archivi di ogni tipo e ogni dimensione in cerca di precedenti a favore e contro. Quindi toccava alla simulazione virtuale e un paio di giorni di esperimenti con dibattiti che continuavano sullo sfondo, la radiazione fossile dell’universo o dell’Ufficio per la Colonizzazione. Infine, puntuale come qualcosa che non vuoi che accada, arrivava la bocciature, perché impraticabile, troppo costosa, al di sopra delle loro possibilità, questo e quello. La settimana si chiudeva in un tono di leggera depressione aromatizzata al moderato sconforto. Il lunedì seguente tutto ricominciava.

Bogdan si era divertito, all’inizio. Aveva partecipato, con tanta buona volontà anche se non proprio con entusiasmo e competenza. Non era tecnico, lui, non uno di quelli che montano e costruiscono. Lui in genere studiava i risultati finali, ricavati dagli strumenti che i tecnici avevano costruito. Per avere i risultati finali, però, avrebbe prima dovuto ottenere gli strumenti e di quelli si discuteva al momento, così lui aveva collaborato, dando suggerimento che gli sembravano sensati, anche se non sempre realizzabili, forse. Perché lui voleva studiare le strutture organiche al centro di quei giganti gassosi. Solo... non andavano da nessuna parte. Parlavano, progettavano, proponevano, ma sempre restavano nello stesso punto. Come se ogni cosa all’Ufficio fosse in stand-by.

A peggiorare in parte il suo umore gli era anche arrivato un messaggio da Svarga. Più precisamente, dalla fondazione Chen-Cohimbra, ma almeno non dal professor Muzafar Chang o da qualche altro suo compagno di merende. Quelli avevano avuto la decenza minima di restarsene zitti, anche se era parecchio discutibile un accostamento dell’aggettivo “decente” a personaggi come Muzafar, che gli aveva rubato la ricerca senza il minimo scrupolo morale e si era pure complimentato con lui, con la miglior faccia da culo che Bogdan avesse mai contemplato in un essere umano, tanto per non essere troppo fini ed eleganti. Loro no, se n’erano rimasti in silenzio a girare i pianeti e raccogliere onori e gloria e se c’era giustizia, una giustizia qualunque, sarebbero morti stroncati da un infarto mentre un attacco di diarrea esplosiva li coglieva nel mezzo di una conferenza, magari in mondovisione. Non per essere cattivi, beninteso. Bogdan non era mai cattivo, non secondo il suo modesto parere.

Il messaggio era di Anna Lindtner, la sua compagna di viaggio e di soggiorno durante la fantastica e indimenticabile permanenza su Svarga. Quando Bogdan era ripartito per la Terra, dopo aver preso la grande fregatura e averla messa in saccoccia virtuale, lei aveva deciso di rimanere alla fondazione Chen-Cohimbra, probabilmente assieme al suo svarghiano da compagnia o quello che era. Contenta lei, contenti tutti. Bogdan non ci aveva più pensato, preso com’era da passatempi più salutati quali masticarsi il fegato, fantasticare su fumosi piani di rivalsa personale e girare i pollici in attesa che l’Ufficio si ricordasse di lui. Poi era arrivato il messaggio ed era stato costretto a ripensarci, il che non gli aveva migliorato l’umore, come si diceva in precedenza.

Anna Lindtner si trovava bene nella città di Guan Yu, che adesso era nella sua stagione migliore (e a Bogdan fregava tantissimo, guarda), il suo progetto di ricerca sui pianeti rocciosi interni procedeva molto bene (interessantissimo) e a breve avrebbe cominciato una serie di esperimenti sul pianeta più interno del sistema solare, quello più vicino al loro sole principale, «in pratica il loro Mercurio, eh» (wow), ma i test li avrebbero condotti in orbita, non sarebbero certo scesi sulla superficie «è troppo caldo anche per i miei gusti, lo sai anche tu» (ahaha, che ridere). C’era stato qualche brontolio tra il personale della fondazione in seguito alla causa che l’Ufficio aveva intentato contro di loro (ma non mi dire! Strabiliante...), ma erano convinti che tutto si sarebbe risolto per il meglio e comunque non avrebbe danneggiato i fantastici rapporti tra i loro pianeti (pfff!). I terrestri sarebbero sempre stati i benvenuti (per fregare le loro scoperte, sì!) e comunque si sa, sono le solite baruffe tra i tizi ai piani alti, che se ne stanno in poltrona, ma alla gente normale non interessano. E bla, bla, bla e bla.

Bogdan lo avrebbe stracciato, se soltanto ci fosse stato un qualcosa di fisico da stracciare. Siccome però sarebbe stato parecchio difficile stracciare una fiumana di bytes, si dovette accontentare per il momento di gettare tutto in un angolo, mugugnare un poco e guardare fuori dalla finestra, braccia incrociate ed espressione da bambino in castigo. Che notizia fantastica che aveva ricevuto, proprio molto interessante! Perché poi Anna si fosse presa la briga di spedirgli il messaggio era un enigma, o quantomeno un pensiero a cui non valeva la pena di dedicarsi. Bogdan non vi si dedicò. Almeno non prima di essere stato in mensa qualche giorno dopo e aver incontrato di nuovo Karsten Lösing, suo malgrado. In quella circostanza, però, incontrarlo ed essere costretto a mangiare assieme a lui non fu del tutto negativo. Da un certo punto di vista.

Nel comitato per lo studio dei giganti gassosi avevano speso un’altra mattinata infruttuosa sul piano pratico, ma abbondante di disquisizioni filosofiche e progetti balzani. Certo, avvicinarsi al nucleo di un gigante gassoso era attività estremamente complessa, che richiedeva probabilmente tecnologie e risorse non ancora disponibili, se si aspirava ad avvicinarsi sul piano fisico e non solo con un studio a distanza e molto indiretto. Bogdan non ne dubitava, soprattutto perché la sua specialità consisteva appunto nello studiare i risultati, non nel costruire strumenti per ottenere quei risultati. Se Leonardi aveva deciso di avviare quel comitato, però, un qualche sistema doveva esserci, giusto? Magari non di pubblico dominio, ok, ma un qualche tipo di sonda militare, drone, cose così. E allora perché non lo tiravano fuori? Perché li lasciavano a chiacchierare a vuoto?

Bogdan se lo continuava a chiedere entrando in mensa, poi gli si avvicinò la sagoma bassa e larga di Karsten Lösing, planetoide lui stesso, e il vocione del nuovo arrivato soffocò ogni altro pensiero. E come stai, come non stai, quanto tempo, ti hanno trasferito, eh? E cosa fai adesso, ma dai, ma allora eh, prima o poi, Aaron non mi ha detto niente, ma lo sia anche tu, è un po’ così, ha altre cose per la testa adesso, la causa, brutta storia, ma dai, non lo sai? Ma vieni, vieni che te lo spiego. E Karsten lo arpionò per un braccio trascinandolo verso un tavolino a cui era già seduto un omino smilzo e con baffetti infelici che parevano disegnati da un bambino dispettoso. Bogdan non lo riconobbe, ma era moderatamente convinto di averlo già intravisto di sfuggita da qualche parte, forse. Non che gliene fregasse davvero qualcosa, beninteso.

Le presentazioni le fece Karsten Lösing stesso, accomodandosi o affondando dietro il suo vassoio, colmo come sempre di ogni tipo di alimento si potesse trovare sui banchi della mensa, magari non ancora mangiato da qualcuno. L’omino smilzo era il professor Ross Biff, il celebre professor Biff, il compagno di pranzo preferito da Karsten, probabilmente perché con quella figura non doveva certo essere un gran mangiatore e probabilmente avanzava sempre qualcosa, che il collega poteva sbafare senza pietà o pudore. Bogdan lo aveva già sentito nominare, soprattutto perché era impossibile non conoscere per procura qualcuno a cui la sorte o genitori sadici avevano appioppato un nome tanto infelice. È il genere di storia che finisci sempre per sentire, magari tra una battuta e l’altra, come era anche il caso del professor Guido Driver, presunto pilastro del dipartimento di exologia, oppure la professoressa Claire Spotless, che al momento lavorava al progetto di terraformazione di un qualche satellite. A volte dovevi domandarti cosa avessero in testa certi genitori, ma molto più spesso non lo volevi sapere, giusto nel caso fosse qualcosa di contagioso, hai visto mai, giriamo alla larga.

Ma non era il momento di ridere delle disgrazie onomastiche altrui, perché Lösing stava parlando e per una volta, strano ma vero, sembrava addirittura essere qualcosa di interessante. Importante.

«Parlo dell’ultima che si è dovuto inventare Aaron, poveraccio,» diceva. «Anche se, lo sai anche tu, è Leonardi che se l’è inventata e il nostro amico Aaron deve solo obbedire ed eseguire, come tutti.»

Bogdan non avrebbe mai e poi mai utilizzato il sostantivo “amico” per riferirsi ad Aaron Vihersalo, il capo del dipartimento di planetologia, ma capiva a cosa si stesse riferendo Lösing. Conoscevano tutti Leonardi e il suo particolare rapporto coi dipendenti, sebbene di fatto non fosse più il direttore e dunque nessuno all’Ufficio era più suo dipendente. In teoria. In pratica non era cambiato nulla e il dottor Leonardi, direttore o meno, comandava ancora e sempre, in tutto e su tutto. Ma cosa aveva ordinato a Vihersalo? Lo chiese.

«Beh, beh, è ancora una voce di corridoio, sai, una notizia non confermata, una storia, una di quelle cose che, si sa, le sai e non le sai,» rispose Lösing, strizzando l’occhio con fare cospiratorio, nonché con una forchetta carica e pronta a essere infornata in bocca, il che rovinò in gran parte l’effetto. «È una storia che pare, dicono, il processo non stia andando molto bene, anzi, non sta andando proprio, la tirano in lungo quelli di Svarga, li consocerai anche tu, ci sei stato per mesi e beh, non ne dovrei parlare, beninteso, è una notizia riservata, si dice e non si dice, ma tu sei, come dire, una persona un po’ speciale, sei la causa di tutto, no? Il pomo della discordia, il fulcro, il quello che è.»

«Sono quello che è stato fregato dalla fondazione, sì,» disse Bogdan, entusiasta come un cadavere.

«Fregato, fregato, sì, come dicevo io. Ma il punto, vedi, è che quelli di Svarga sembra che vogliano sfuggire al processo, sgusciare via, con tutte quelle storie da avvocati, non so, ma si sa, tirare dentro il governo, farne una storia politica, di libertà di pensiero, circolazione delle idee...»

«Merda fritta e furto con scasso.»

«Anche, anche, come dici tu. Il punto è che, pare, Leonardi avrebbe ordinato ad Aaron di accelerare, di darsi una mossa, di, come si dice, sbattere il pugno sul tavolo, non so. Fare la voce grossa, ecco, sì, quella roba lì. Comunque, pare che abbia buttato dentro altri avvocati, ma ancora non basta, eh, e allora adesso ci sarà... l’Anatema di Leonardi!» Pronunciato così, con tanto di A maiuscola e vaga mimica a effetto, in una posa da oratore d’accatto venduto ai saldi di fine stagione.

«Anatema di Leonardi?»

«Sì, sì, ma abbassa la voce, eh, che è ancora una storia riservata.»

Bogdan guardò la mensa attorno a loro, tavoli e tavoli affollati di varia umanità e ancora più varia bestialità, tutti a chiacchierare, masticare, tagliare, inforchettare e produrre rumori di ogni sorta e di parecchi disgusti, almeno se avevi un orecchio alquanto raffinato. Non era il suo caso, per fortuna: non sarebbe sopravvissuto a un pasto con Lösing, se fosse stato così schizzinoso. «Non mi pare che siano in molti ad ascoltarci,» osservò. «Anzi, con tutto questo casino non mi pare neppure che siano in molti a poterci sentire, se anche volessero ascoltarci.»

«Cautela, cautela! Cautela è sempre la parola d’ordine,» rispose Lösing a bocca piena. «Comunque, ti dicevo, l’Anatema di Leonardi, che colpirà tutti i nostri dipendenti che sono a studiare o lavorare su Svarga, al momento. Quelli che sono alla fondazione, per cominciare, ma se tanto mi dà tanto da qui a breve colpirà tutti, dovunque essi siano. Perché, e questa sì che è una notizia riservata, sono i rapporti tra Terra e Svarga che cominciano a cigolare, sai? E tutto è cominciato da te, ci pensi? Ah, il nostro giovane planetologo ci diventerà una persona importante, di questo passo, il piripicchio che spara all’arciduca e ci fa esplodere la guerra mondiale.»

Bogdan chiuse gli occhi, ma solo dopo aver schivato una briciola di qualcosa, impastata di saliva ed espulsa balisticamente dalla bocca del collega. Che tortura dover sopportare quel pasto, il discorso fatto di toni cospiratori e le gomitate virtuali di Lösing, da amicone che noi ci capiamo, eh? Pure, se voleva capire cosa fosse quel famigerato anatema, doveva passare sotto le forche caudine e magari evitare gli sputacchi più entusiastici e vigorosi. «Potresti spiegarmi di preciso cosa sia l’anatema?»

Karsten Lösing finalmente spiegò. A quanto pare, ma la notizia era da prendere con le molle, ancora da confermare, voce di corridoio, palle varie, Vihersalo si sarebbe rivolto a tutti i loro dipendenti, il che significava tutti dipendenti dell’Ufficio, che al momento si trovavano su Svarga per collaborare con la fondazione Chen-Cohimbra e li avrebbe invitati caldamente a ritornare alla base, per questo o quel motivo formale e apparente. Di fatto, però, sarebbe stato solo il primo passo per troncare ogni rapporto tra i due istituti, almeno fino a che la controversia legale non si fosse rivolta. Chi decideva di rimanere alla fondazione, poi, era libero di farlo, se proprio desiderava, ma ogni rapporto tra lui o lei e l’Ufficio si sarebbe interrotto. Definitivamente. Ci dispiace tanto, ma è per il bene di tutti.

«Quindi, fammi capire. Tutti quelli che sono su Svarga alla fondazione dovranno tornare subito qui. Chi non lo fa sarà licenziato. Giusto?» disse Bogdan, carezzandosi la fronte.

«Giusto. Il testo completo comprenderebbe poi molti altri dettagli, storie di penali e così via, ma il comunicato di Aaron dovrebbe ridursi in sostanza a questo: o con noi o contro di noi. La fondazione è nostro nemico legale, per adesso, quindi non dovete più lavorare con loro. Se lo fate, sarà a vostro rischio e pericolo e ne pagherete le conseguenze.»

«Non è un poco melodrammatico?»

«Sì, vero, forse ho accentuato un poco, ma è questo che dicono. Staremo a vedere. Comunque poi ci saranno altri passi, non è certo finita qui. Se il governo di Svarga dovesse prendere posizione come sembra e farne una questione politica tra pianeti, invece che legale tra istituti, anche se, ok, noi non siamo proprio un semplice istituto, non proprio, ma ci siamo capiti, no? Comunque, se dovesse fare una questione politica, allora l’ordine sarebbe esteso a chi lavora anche in altre parti di Svarga, non solo alla fondazione Chen-Cohimbra. O così dicono, poi staremo a vedere.»

«E questo sarebbe l’anatema di Leonardi?»

«Questo sarebbe l’Anatema di Leonardi, dicono. Espresso per bocca di Aaron. Arriverà domani nel pomeriggio, sembra, ma staremo a vedere. A me sembra una mossa esagerata, senza offesa, so che tu ci tieni a questa causa e ti senti derubato, ma, suvvia, Leonardi sta esagerando, non trovi? Ora ci vuole fare anche la guerra fredda coi vicini da casa? Ah, non so, non so proprio cosa abbia in testa.»

Non lo sapeva neppure Bogdan, ma rimase in silenzio, proprio come era rimasto in silenzio per tutto il tempo anche il professor Biff, che mangiucchiava nel suo angolo e non intervenne mai, neanche per un semplice “mi potrebbe passare il sale, per favore?”. Strano tizio, ma non era questo il punto. Il punto era che una normale, sana e giustificata causa contro quel verme di Muzafar Chang, che gli aveva rubato la scoperta e si pavoneggiava di pianeta in pianeta con risultati non suoi, era diventata una sfida a chi piscia più lontano tra Leonardi e, poco ma sicuro, qualche altro vecchio parruccone di Svarga. Fantastico. E lui passava le giornate in un comitato che, per carità, brave persone, certo, e ben intenzionate, mai messo in dubbio, ma non combinavano niente! Non avevano prodotto una e una sola idea valida, funzionante, applicabile! C’era da piangere.

Bogdan non pianse. Continuò a mangiare, schivando le effervescenze più esplosive di Lösing, e non ascoltò quasi nulla delle altre chiacchiere che il quarantenne pettinato da scemo gli riversava sulla crapa, come in una catena di montaggio progettata all’inferno. Si sganciò poi dalla compagnia non gradita alla prima occasione utile, si sciacquò la faccia in bagno, quindi raggiunse la stanza in cui il comitato sedeva e dibatteva. Ascoltò. Collaborò. Espresse opinioni e dubbi. Si complimentò quando era il caso di complimentarsi. Svolse in tutto la propria parte e sempre col pilota automatico inserito e il cervello perso in altre lande, altri pensieri, altro altro. Giornata da sogno, proprio.

Il giorno seguente ci fu il proclama di Vihersalo e fu proprio come lo aveva anticipato Lösing, più o meno. Qualche virgola diversa, qualche dettaglio ritoccato forse all’ultimo momento, ma immutata era la sostanza: cari amici vicini e lontani, che studiate o lavorate alla fondazione Chen-Cohimbra, o tornate subito all’ovile, oppure la porta dell’ovile sarà chiusa per sempre. E tanti saluti. Soltanto un decerebrato morto non avrebbe capito che l’autore del testo era Leonardi e Vihersalo svolgeva solo la funzione di megafono umano, cassa di risonanza, voce che parlava per conto di altri, pupazzo col braccio ben innestato nell’orifizio posterinferiore. Dietro a ogni lettera del proclama si disegnava in controluce la sagoma del vecchione. E la causa stagnava paludosa.

Poi, proprio mentre si preparava a lasciare il palazzo dell’Ufficio e tornarsene al proprio alloggio, il misero rifugio da scapolo zitelloide che occupava in periferia, qualcuno lo contattò. Una persona da cui non si sarebbe aspettato di essere contattato soprattutto perché ormai ne aveva quasi dimenticato l’esistenza. Hideki Einarsson, il presunto funzionario di ambasciata, che li aveva accompagnati nel viaggio su Svarga e poi se n’era rimasto là, a lavorare o a svolgere qualunque altra attività dovesse svolgere per conto del ministro Hass. Perché lo contattava proprio adesso? E perché dalla Terra?

«Sono tornato per un breve periodo, questioni di lavoro,» rispose Einarsson. «Non mi tratterrò qui a lungo, perché come puoi immaginare la situazione su Svarga sarà piuttosto tesa nei prossimi giorni. Prima di ripartire, però, avrei bisogno di parlarti, di persona. Saresti libero domani, diciamo per un pranzo di lavoro? Va bene anche alla sera, ma il pranzo sarebbe meglio.»

Bogdan era libero e si accordarono su luogo e ora. Era anche piuttosto curioso, in effetti. Che cosa voleva da lui un collaboratore del ministero della Difesa? Aveva tentato in due occasioni di mettersi in contatto col ministro Hass, o almeno con uno qualunque del suo entourage, quando sembrava che all’Ufficio si fossero dimenticati di lui, ma nessuno aveva avuto tempo per Bogdan. Adesso erano loro stessi a invitarlo. Curioso, già. Magari interessante. Lo avrebbe scoperto a pranzo.

L’inizio però non rientrò proprio tra le cento discussioni più interessanti a cui Bogdan prese parte in quasi trent’anni di vita, ma si guadagnò una posizione tra le cento più sgradevoli, specialmente per i ricordi che portava con sé. Pranzarono in un locale quasi nascosto in una zona della città che poteva essere descritta come “centrale, ma non troppo”. Non un locale molto frequentato, in apparenza, ma fornito di apprezzabili stanzette separate, per chiunque volesse mangiare e discutere senza troppe orecchie attorno, nonché altre porzioni di corpo altrui. Una stanzetta era riservata a loro.

Hideki Einarsson non pareva cambiato molto rispetto al poco che Bogdan ricordava di lui. Forse più abbronzato, certo in abiti meno formali rispetto a quelli che indossava nel suo ruolo di funzionario di ambasciata, ma per il resto era la stessa persona tranquilla, muscolosa tendente all’atletico e con una espressione di blando e annoiato buonumore. Saluti, convenevoli, il solito ciarpame da incontro e relazione pubblica, come va come non va, mentre gli antipasti scorrevano davanti a loro, e in parte anche dentro di loro, via bocca e apparato digerente. Prima o poi sarebbe arrivato al dunque, ma il dunque pareva non volere arrivare. Non andava di fretta, Einarsson.

Andò ancora meno di fretta quando cominciò a parlare di insetti. Insetti svarghiani, che nel corso di mesi su quel pianeta sembravano essere diventati una specie di suo passatempo, o forse qualcosa di più grave. Non proprio mania, no, Bogdan non avrebbe usato quel termine (per adesso), ma secondo lavoro? Sì, ci poteva stare. Secondo lavoro preso molto sul serio, per chissà quale motivo. Lo aveva invitato a pranzo per raccontargli storie di vita vissuta in mezzo a fastidiosi insetti?

Pareva di sì. Einarsson gli descrisse a lungo e in dettaglio i propri incontri e colloqui con studiosi locali di ogni tipo, ma soprattutto entomologi, exologi e incroci tra i due. Da come lo descriveva, su Svarga si era sviluppata una nicchia piuttosto larga di gentaglia che si guadagnava da vivere con gli insetti, sugli insetti, attorno agli insetti e forse pure attraverso gli insetti. Il che era comprensibile, se li si considerava la specialità svarghiana, ma era anche noioso, almeno per chi aveva pessimi ricordi di pessime esperienze con quegli affari. Mentre macinavano primi e secondi piatti, Bogdan si trovò più volte ad accarezzarsi gli occhi, il collo e le altre parti che avevano conosciuto troppo da vicino, ma per fortuna non biblicamente, il contatto di quelle libellule sgorbio che vivevano nel giardino e nei dintorni della fondazione. Pessima esperienza. Davvero pessima esperienza.

E adesso quello Einarsson gli raccontava tutto entusiasta dell’ultimo problema che c’era stato nella città di Guan Yu tra due specie di insetti. Non proprio una guerra, niente di così grave, ma qualche tipo di animosità sì, anche se nessun umano era ancora riuscito a capire di preciso cosa avesse dato origine al problema e perché. Ma un discreto numero di insetti era morto e a ucciderli era stato una differente specie di insetti. Una battaglia per le risorse alimentari? Improbabile, dato che gli umani si impegnavano ad assicurarsi che vi fosse cibo per tutti. Problemi di territorio? Forse, ma nessuno aveva ancora idea di quanto fossero territoriali quelle due specie di insetti e come si dividessero un ipotetico territorio, ammesso e non concesso che. Ancora nessun colono era stato toccato di persona dal problema e gli incidenti si erano verificati soprattutto fuori città, segno forse che la città doveva essere considerata una specie di luogo neutro, almeno secondo alcuni, ma in fondo...

«Scusa la domanda,» lo interruppe Bogdan, mentre ripuliva con cura il piatto. Dialogo noioso, ok, ma cibo ottimo. «Ma mi hai chiamato qui per raccontarmi storia e gloria dei mirabolanti insetti di Svarga? No perché, se è così, mi spiace dirti che non me ne frega molto, sai.»

Einarsson sorrise. «Lo so, certo, e non ti ho invitato qui per questo. Volevo però lasciare che almeno il grosso del pranzo passasse con discorsi tranquilli, per non guastarci l’appetito, e tu non sembravi molto interessato a chiacchierare, così ho dovuto fornire io un argomento. Direi però che possiamo passare al piatto forte, tanto per rimanere in tema gastronomico.»

«L’anatema di Leonardi?»

«Lo chiamate così all’Ufficio? Nome indicato, direi, anche se immagino che molti cercheranno di fare sentire la lettera maiuscola, pronunciando la parola “anatema”.»

«Lösing e compagnia brutta, sì. Il ministero ti ha richiamato alla base per questo?»

«Sono partito e arrivato prima. Il ministro si aspettava una mossa di questo tipo da Leonardi, ma in effetti non solo lui. Se l’aspettava pure il governo di Svarga e suppongo che al momento abbia già messo in atto le sue contromisure e così via. Solita storia, insomma. Non proprio partita a scacchi, perché le partite a scacchi tendono a essere un poco più interessanti, ma ci siamo capiti.»

«Ci siamo capiti, sì, direi. Quello che non ho ancora capito, però, è il punto di questo incontro. Cosa c’entro io in tutto questo? Voglio dire, ok, tutto è partito dalla mia scoperta, il famigerato casus belli potrei anche essere stato io, d’accordo, ma ormai è tutto parecchio al di sopra della mia testa, lo sai anche tu, suppongo. Io neanche volevo tutto questo casino. Chiedevo solo che mi fosse riconosciuta la scoperta, che mi fossero attribuiti i meriti, visto che la scoperta l’ho fatta io e non quel sacco di metano ambulante di Muzafar Chang, ma problemi tra i pianeti o questa scemenza di ultimatum che si è inventato adesso Leonardi, insomma...»

Hideki Einarsson sollevò una mano. «Capisco benissimo. Anzi, capiamo benissimo. Ne ho discusso anche ieri col ministro, che mi ha convocato proprio per questo, e l’opinione generale è che questa volta il dottor Leonardi sia andato troppo oltre. Tutti noi vorremmo saperne di più su quella strutture organiche al centro dei giganti gassosi, o almeno presunte strutture organiche...»

«Esistono davvero,» lo interruppe Bogdan.

«Non ho i mezzi o le competenze per metterlo in discussione: in fatto di planetologia e affini sono un ignorante completo. Comunque, il punto è che dobbiamo saperne di più su cosa ci sia al centro di quei giganti gassosi, giusto? Abbiamo un pianeta in quel sistema solare. Una colonia. È vero, non ci vivono ancora in molti, solo qualche milione, ma ricadono sempre sotto la responsabilità del nostro governo, fossero anche soltanto in due. Ciò che vuole il ministro Hass, e come lui altri ministri, è di proseguire gli studi, accelerare gli studi, da soli se necessario, assieme agli altri pianeti se possibile, che sarebbe poi l’opzione migliore. Purtroppo Leonardi non ci sente. La semplice idea che qualche altro pianeta si unisca a noi per studiare Madre e il suo sistema solare lo disgusta.»

Bogdan sospirò, diversamente contento. «Sì, lo so, segreto militare, priorità, quello che è. La stessa storia che ha fatto con me e che mi è costata la scoperta. Quella di cui adesso si vanta il professor Chang, per inteso. Nel caso ve ne foste dimenticati.»

«Non ce ne siamo dimenticati. Difficile dimenticarcene, con uno che lo ripete a ogni occasione, ma di questo ne dovresti discutere con qualcun altro. Io sono un impiegato, niente di più: ricevo ordini e li eseguo, un messaggero che non conta niente,» mentì Einarsson. «È appunto come messaggero e basta che sono qui oggi. Il ministro Hass mi ha fatto convocare, ha voluto discutere di alcune cose e alla fine mi ha ordinato di farti pervenire un suo messaggio. Pervenire, beninteso: un ministro non si sognerebbe mai di farti avere un messaggio. Non suona abbastanza ufficiale.»

«E quale sarebbe questo messaggio?»

Hideki Einarsson glielo riferì. Più tardi, Bogdan Stratos rientrava nel palazzo dell’Ufficio coi resti di un pranzo più che buono che gli si attardavano ancora lungo l’esofago e pesavano un poco nello stomaco, come gli pesava dietro la fronte il messaggio ricevuto. Ordine ricevuto, se si voleva essere più precisi e meno eufemistici. Non che lo fosse davvero, sia chiaro. O beninteso, come amava dire Einarsson. Non ordine ordine. Niente di rigoroso. Niente di inderogabile, inevitabile, altre cose non piacevoli ma sempre in -abile. Un messaggio, già. Con un suggerimento. Un consiglio. Forse anche una raccomandazione, sì, del tipo che ti raccomando di fare così, per il tuo bene.

Bogdan non era certo che fosse per il suo bene o che a qualcuno fregasse davvero qualcosa del suo bene, a parte lui stesso, ma in quel particolare caso non avrebbe avuto nulla in contrario a fare così, visto che il così coincideva a grandi linee con le sue intenzioni. Il problema, semmai, era che molto dipendeva da altri. Dal resto del comitato, per cominciare, e da chi stava dietro al comitato. Tutto o quasi dipendeva da eventuali accelerazioni al moto tartarugoso dei suoi colleghi. Se si fossero per lo meno portati a un passo da pensionato zoppo, magari, le cose sarebbero migliorate parecchio.

Se accelerazione doveva essere, però, di certo non fu quel pomeriggio. Discutevano come sempre e i progetti irrealizzabili volavano da un punto all’altro della sala riunioni, a volte sfiorando forse per puro accidente i crani che la occupavano. Facciamo così, no è meglio così, ma figurati, ti dico che la soluzione migliore è questa, ma figurati, non hai seguito gli ultimi sviluppi del pippappero? Ormai è superata, vecchia, vetusta, morta. Dobbiamo procedere con questo e quest’altro, come è emerso al convegno del cippalippa, quando il professor X ha confutato le ipotesi del professor Y dimostrando che così e cosa, e così via nei secoli dei secoli amen, la messa è sfinita andate in pece.

Quella notte Bogdan sognò un branco di trilobiti che lo inseguiva lungo il braccio della radice di un numero complesso, mentre i cateti di un triangolo con tre angoli retti ballavano la mazurca assieme al fantasma di sua madre, sotto un cielo dove il suo insegnante di matematica delle medie spiegava e scriveva alla lavagna come calcolare il fattoriale di un complemento di causa in una frase latina. Il sole del risveglio fu il benvenuto. Ma non poteva continuare così. La vita all’Ufficio lo avrebbe del tutto tirato scemo, ammesso che ci fossero ancora parti di lui che potevano essere tirate sceme. Lui ne dubitava. Che il ministro ordinasse pure quello che voleva, maledetto lui! Basta che mi mandino su Madre o nei paraggi, con tutto il necessario per i miei studi, e poi che ordinino pure tutto quello che vogliono, inclusa una pizza con asparagi e cactus fritti.

O così si ripeteva, mentre si recava al lavoro in un umore temporalesco. Non lo era il meteo e quello fu il solo elemento positivo della mattinata, per quanto lo riguardava. Tempo tepido e umido, non la combinazione migliore ma di gran lunga non la peggiore. Il resto era nulla, sempre che il nulla sia e non non-sia soltanto. Poi nel primo pomeriggio la capa del comitato portò una notizia e il nulla fu di colpo pieno. E sorridente.

La capa era Ruth Blakely, donna snella di mezza età (o almeno mezza età agli occhi di Bogdan, poi altri l’avrebbero probabilmente descritta giovane, stante la natura soggettiva del tempo, specie se si riferisce all’età di una persona), che forse una volta era stata scienziata in un qualche settore ma da anni ormai era dirigente a tempo pieno. Non una figura che si vedesse spesso nella sala in cui loro si riunivano, sempre impegnata a suo dire a discutere coi superiori per maggiori risorse, un budget più ampio e flessibile, questo e quello. Cose amministrative che a Bogdan non interessavano, come non interessavano agli altri che producevano progetti balzani. Quel giorno, però, la capa aveva qualcosa di positivo da dire. E lo disse, guadagnando in qualche minuto tutta l’attenzione che non aveva mai ricevuto in settimane e settimane da capa del comitato.

«Ci è voluto tempo e fatica, ma alla fine ci siamo riusciti,» annunciò, dietro un plurale che voleva forse far sentire tutti parte della squadra, ma che non ottenne grandi risultati, almeno a giudicare dai volti di chi ascoltava. «Il consiglio di amministrazione ha approvato l’aumento del nostro budget e lo sblocco di nuovi fondi immediati per il progetto di studio dei giganti gassosi di Madre. Questo ci consentirà sia migliori strumentazioni, sia nuovi esperti per accelerare il percorso ed essere pronti quanto prima alla partenza. Perché la parola d’ordine sarà questa: accelerare. Il nostro programma è sempre stato a cuore del consiglio di amministrazione, ma finalmente sembra avere raggiunto anche il suo portafogli. Non avremo la priorità assoluta nell’Ufficio, sia chiaro, né mi aspettavo di ottenere qualcosa del genere, naturalmente, ma saremo molto vicini alla vetta. Ci rimangono ancora alcuni punti da sistemare, accordi da raggiungere e documenti da firmare, ma posso già anticiparvi che, se non succederà nulla di imprevisto e la galassia ci sarà ancora, tra un anno dovremmo essere pronti a partire per Madre con tutto il necessario per sondare almeno uno dei due giganti gassosi.»

Seguirono applausi (moderati, ma qualcuno ci voleva, anche solo per decenza), domande, risposte, nuove domande, nuove risposte, discussioni di ogni genere. Bogdan le seguì con mezzo orecchio, il minimo indispensabile per fingersi presente, abile e arruolato. Non lo era. La sua testa al momento galleggiava altrove, inseguendo pensieri, ipotesi e forse anche libellule nel prato. Un anno. Troppo, per i suoi gusti, che avrebbero preferito partire subito, ma un anno era realistico, forse ottimistico. Il comitato non era solo in alto mare, ma aveva anche perduto i salvagenti, le scialuppe di salvataggio imbarcavano acqua e le razioni erano finite. In un tempo incalcolabile di discussioni e dibattiti non avevano prodotto una sola idea concreta e realizzabile. Da dove avrebbero estratto il “necessario per sondare almeno uno dei giganti gassosi”?

Il ministro Hass. Il ministro Hass e il suo ordine, messaggio, consiglio, quel che era. Ovvio, già. Ci aveva messo la mano lui, o almeno il suo ministero, se non lui di persona. Un giorno un funzionario lo invita a pranzo per discutere e il giorno dopo ecco che il loro comitato si ritrova con fondi e ruolo di primo piano (o secondo, ma pur sempre in alto) nella gerarchia fossilizzata dell’Ufficio. Ovvio, ci aveva pensato qualche pezzo grosso e il ministro, al momento, era l’unico che gli venisse in mente.

Oh beh, tanto di guadagnato. Una sola cosa contava e quella cosa era studiare i giganti gassosi, per primi. E prendersi tutto il merito, come era giusto e sacrosanto. Secondario, invece, era conoscere la natura della mano che li spingeva verso il traguardo, almeno per adesso. E al dopo avrebbe pensato dopo, se mai fosse stato necessario.

La capa Ruth Blakely continuava intanto a discutere con la prima fila, definendo il come e il dove e il quando, nonché il quanto e altri avverbi assortiti. Avrebbero avuto una sala più ampia, avrebbero avuto più sale, un settore del palazzo tutto per loro. Settore piccolo, nel seminterrato, ma settore era e questo bastava da solo a dimostrare quanta importanza avesse assunto il loro gruppo. Bene, bravi, bis. Un anno. Un anno salvo imprevisti, e se la galassia ci sarà ancora. Come se potesse andare da qualche parte, hah! Che razza di battuta.

Ma battuta forse non era. Nel suo momento di entusiasmo parziale, Bogdan Stratos ripensò a tutti i problemi che Leonardi si stava inventando per litigare con Svarga e che Svarga si stava inventando per litigare con l’Ufficio. Non era niente di serio, vero? Non troppo serio, giusto? Ovvio che non lo era. Nessuno sarebbe mai stato così tanto stupido. A parte forse la quasi totalità degli esseri umani.

Ma era meglio non pensarci, adesso. Erano problemi per altri, che altri avrebbero risolto e che non riguardavano un planetologo come lui. Ciò che lo riguardava, e molo da vicino, erano i due giganti gassosi di Madre. Studiarli. E umiliare quel maledetto verme ladrone di Muzafar Chang.

Con un sorriso poco amichevole, Bogdan contemplò il pomeriggio che invecchiava. Un altro anno, e poi...