La galassia di Madre - 41
Autunno a Varshi, di nuovo. Matteo e Chakra erano rientrati da poco dal viaggio a Nuova Kalighat, capitale amministrativa del pianeta, ed erano rientrati in ritardo. In notevole ritardo. Cosa che non sembrava dare problemi a Chakra, ma li dava a Matteo. Gliene dava abbastanza, almeno sul piano simbolico e formale. Perché le lezioni erano cominciate senza di loro e lui ci teneva alle lezioni. Da un certo punto di vista. Teneva a essere sempre presente e farsi vedere a lezione, illudendo gli altri e soprattutto se stesso di essere lì e di esserci per combinare qualcosa. Non necessariamente qualcosa di buono o utile, ma qualcosa in generale. Qualunque cosa. Era meglio di niente, no?
Perché il modo in cui si era concluso il soggiorno a Nuova Kalighat gli aveva lasciato molto più del semplice e banale amaro in bocca. Aveva in bocca tutti i sapori peggiori che potesse immaginare e forse anche una buona parte di quelli che preferiva non immaginare. Amaro e basta? Sarebbe stato un progresso. Nei giorni all’estremo sud del continente aveva ricevuto più notizie di quante fosse programmato per sopportarne. E non una che fosse buona. Non una che fosse digeribile.
Continuava a ripensare ai due tizi dell’ambasciata, che si erano presentati per interrogarlo (o per un informale accertamento dei fatti, come l’avevano descritto loro) e per scaricargli sulla testa una camionata di materia organica di scarto. Virtuale, per fortuna, ma forse avrebbe preferito che fosse reale: sarebbe stata più fetida, ma forse meno lesiva sul piano psicologico. Perché quei due, armati del tatto di un meteorite che si prepara inconsapevolmente a innescare una nuova e impareggiabile grande estinzione di massa, lo avevano informato che sua madre era morta e suo fratello era su un altro pianeta, come quasi-terrorista latitante o giù di lì. Ah, e lo avrebbero tenuto d’occhio, nel caso Davide avesse cercato di mettersi in contatto con lui. Grazie per la collaborazione.
«Fate pure, tanto c’è la fila qui fuori per sorvegliarmi,» aveva risposto Matteo, ma solo nel segreto della propria testa. Lo aveva poi ripetuto ad alta voce a Chakra, ma l’amico lo aveva ascoltato con tutto l’interesse che di solito si dedica a notizie sconvolgenti quali la rottura del tacco dell’attrice tal dei tali o il raffreddore improvviso del principe Pincopallino.
«Dicono solo per dire,» aveva poi risposto. «Hanno visto che sei un povero fesso e sperano di farti un poco di paura, così ti farai beccare subito e scopriranno tutto quello che sai. Siccome però tu sei molto più fesso di quanto pensano loro, e non sai neppure da che parte sei girato, figuriamoci quello che combina tuo fratello a qualche decina di anni luce da qui, non scopriranno un bel niente, non da te. Ti controlleranno per un po’, poi capiranno di avere solo perso tempo e si dedicheranno ad altro. Non hai niente di cui preoccuparti, davvero.»
Probabile, anche se Matteo non aveva gradito molto il modo in cui Chakra lo aveva descritto. E dei due funzionari dell’ambasciata non aveva più visto o sentito nulla, né mentre erano ancora a Nuova Kalighat né dopo il ritorno a Varshi. Il che era un bene. Era un male la mezza crisi esistenziale che lo aveva colto subito dopo, di cui Chakra stesso era in buona parte responsabile. Da un certo punto di vista e perché bisogna sempre dare la colpa a qualcuno, per qualsiasi cosa: aiuta il morale.
E ora cosa vuoi fare di te stesso? Ecco cosa gli aveva chiesto Chakra, più o meno. Domanda sensata e motivata, per carità. Il progetto iniziale di Matteo aveva previsto la laurea su Lakshmi, il ritorno a casa sulla Terra e poi, in un modo piuttosto vago e nebuloso, cercare lavoro come insegnante in un qualche posto (e trovarlo, ovviamente) e... e boh, quello che capita. Un piano dettagliato, studiato e preparato come neppure il più intrepido dei moscerini avrebbe saputo fare. Un piano che adesso, per fortuna o purtroppo (Chakra propendeva per la fortuna, Matteo per il purtroppo), era utile come un asciugacapelli elettrico in un posto senza energia elettrica. Anzi, meno: perché un asciugacapelli lo puoi almeno usare come arma impropria, in caso di bisogno. Ma il suo progetto?
Il suo progetto era buono per farci i coriandoli. Avrebbe comunque continuato a studiare, certo, e si sarebbe laureato, e magari sarebbe anche tornato sulla Terra. Forse. Eventualmente. Ma per cosa? A fare cosa? Che cosa voleva fare con la sua vita? Più ci pensava e più gli sembrava che una sonora pernacchia fosse l’unica risposta sensata. E si sentiva come qualcosa che ti è rimasto attaccato sotto alla scarpa. Perché persino Chakra sapeva cosa fare nella propria vita, persino una persona che non sapeva neppure mettere le proprie mutande in un cassetto! Poteva esserci qualcosa di più frustrante?
Sì, certo che poteva. C’erano parecchie cose più frustranti, in effetti, ma nessuna era lì, nessuna era attorno a lui, lui Matteo, quindi tutte quelle altre cose più frustranti non contavano. Contava che era tornato a lezioni cominciate, si era perso i primi giorni, la sua prospettiva sul futuro si limitava a un paio di giorni, rinnovabili di volta in volta e... E non sapeva cosa fare della propria vita, ok? Non molto ok, in effetti, ma così era e ci si sarebbe dovuto abituare. O adattare. O qualcosaltrare.
Così l’autunno lo accolse e lo accompagnò per le vie di Varshi, più o meno come aveva già fatto un anno prima, anche se nel corso di quell’ultimo anno era cambiato quasi tutto. No, sbagliato: non nel corso dell’ultimo anno, ma nel corso degli ultimi giorni. Perché sì, vero, anche l’anno in generale gli aveva portato diversi cambiamenti, come il passaggio da Sharma a Chakra, ma solo da poco la sua vita si era capovolta. No, sbagliato di nuovo: non si era capovolta. Aveva perso la strada. Anzi, aveva notato che la strada non c’era. Grossomodo. Per così dire.
Non sapeva bene neppure lui quale fosse il suo problema, di preciso, ma sapeva che ce n’era uno, da qualche parte, e lo doveva risolvere. O anche aggirare. Ignorare, se proprio proprio poteva. Ma la folla estiva aveva abbandonato le strade, per ritirarsi forse nei locali, forse nelle abitazioni, forse in altri posti ancora, ma sempre e comunque fatti loro. Se aveva senso parlare di fatti propri su un pianeta come Lakshmi, beninteso, capitale galattica dei guardoni. E poi le fontane cantavano poco e cantavano piano, e la vita animale aveva abbandonato la città, per ritirarsi di nuovo nelle campagne attorno. E poi e poi.
Un anno prima, Matteo aveva avuto il Baffo, quello strambo individuo che lo seguiva ovunque. E non solo il Baffo. Aveva avuto gente con cui parlare, gente da frequentare, gente anche da evitare con una scusa e un sospiro di sollievo. In teoria poteva esserci anche adesso, solo che. Solo che. Sì, aggiungere altro non sarebbe servito. Cominciava davvero a deprimersi, quando fu di nuovo Chakra ad afferrarlo per le orecchie e rimetterlo in riga, con le buone o con le pessime.
«Non hai ancora trovato cosa fare con te stesso, vero?» gli disse la sera del sedici di Autunno, dopo la cena nella mensa. Cena solitaria in una mensa solitaria, con una spolverata di malinconia e una bella impanatura di pessimismo cosmico: poca gente in giro, nessuna che lui conoscesse, vento che ti scorticava la pelle e temperatura che, per gli standard lakshmiti, era decisamente fredda. Fredda per la stagione, quantomeno. Un terrestre come lui l’avrebbe definita frizzante, al più, ma terrestri come Matteo erano una minoranza da cercare col microscopio e la loro opinione non contava. Era una serata fredda, dunque, e la mensa era stata quasi vuota. E Chakra gli aveva fatto una domanda.
«Non è proprio così,» bofonchiò in risposta, agitando la testa e fissando il suolo. «È che mi sento un po’ così, confuso. Incerto, ecco. Devo ancora capire bene come muovermi, insomma, e...»
«Non sai cosa fare con te stesso e non lo vuoi ammettere, per qualche tua stupida sega mentale. Al solito, insomma. Devo proprio decidere io per te?»
«Non è che ci sia molto da decidere, è solo che...»
Fu a quel punto che Chakra lo afferrò fisicamente per un orecchio. «Tu non hai più un cazzo da fare e non hai fretta di laurearti, perché tanto a casa non ti aspetta nessuno, giusto? Anzi, non ce l’hai proprio più una casa e scommetto che sulla Terra non ti vorrebbero neppure se qualcuno li dovesse pagare per riprenderti, palloso come sei. Quindi, a fine inverno verrai con me.»
«Con te dove? Di nuovo a Nuova Kalighat o come si chiama? E perché a fine inverno?»
«A fine inverno, perché quello è l’intervallo tra il vecchio anno accademico e il nuovo. E andremo in giro, niente Nuova Kalighat o altri posti qui vicino. Ci prenderemo un anno sabbatico, che tanto non abbiamo fretta di laurearci, e ce ne andiamo un poco in giro. Ti sveglierò io, se proprio da solo non sai decidere nemmeno come allacciarti le scarpe.»
«In giro dove, scusa? E perché dovrei venirci anch’io?»
«In giro. Vuoi vedere qualcosa nella tua vita, oppure vuoi restare a vivere sotto un sasso, come uno scarafaggio venuto molto male? Visitiamo qualche altro pianeta, ci divertiamo un poco, io raccolgo materiale per la mia tesi e tu fai quel cazzo che ti pare, basta che la pianti di trascinarti qui e là da un giorno all’altro, come se ti fosse morto il gatto e te lo avessero sepolto nell’intestino crasso.»
«Mi è morta la mamma, non il gatto.»
«E tuo fratello è un terrorista ricercato in mezza galassia, come ti piace descriverlo. O questo non lo aggiungi più alla lista delle tue disgrazie? Comunque è la stessa cosa e te l’ho già detto, no?»
«Che devo pensare a cosa fare di me stesso, giusto?»
«Sì, anche quello. Smettila di masturbarti pensando a quello che è successo e pensa invece a quello che ancora non è successo e che non succederà mai, se non ti levi il dito dal culo. Viaggia con me, vedi posti nuovi, conosci gente nuova, ascolta pensieri nuovi e magari ti toglierai qualche ragnatela da quella testa inutile che hai attaccata sul collo.»
«Sempre molto gentile e simpatico, tu.»
«Quanto serve, con una lagna come te. Capito? Goditi questo ultimo periodo, seguiti le tue lezioni, passa i tuoi esami, fai quello che devi fare e per la prossima primavera saremo da qualche altra parte a fare qualcosa di più interessante. Questo posto è un vicolo cieco, come ti ho già detto.»
«Avevi usato un’altra espressione.»
«Stessa cosa.»
«E se io non volessi venire? Sono libero di non venire, no?»
«Libero come una scoreggia. Sharma ti riaccoglierà a braccia aperte, ne sono sicuro.»
Quello concluse la discussione. Matteo non era convinto e probabilmente non si sarebbe convinto per un altro paio di millenni, se mai li avesse avuti a disposizione e se avesse deciso di spenderli a discutere così, ma le alternative erano chiare: o con Chakra, dovunque lo volesse portare, oppure di nuovo da Sharma. E tutto perché ancora non si era meritato il diritto di vivere su quel pianeta senza una balia lakshmita. Non era abbastanza responsabile. Tante grazie, Kemala.
Ruminò le alternative per giorni, in un angolo del suo cervello. Non che ci fosse molto da ruminare e non che ci fossero davvero molte alternative, ma Matteo era un ruminante mentale per natura e per addestramento: qualunque cosa gli finisse nel cervello doveva essere masticata, inghiottita, vomitata e masticata nuovamente per almeno una decina di volte, prima di poter anche solo prendere in vaga considerazione l’eventualità di fornire prima o poi una risposta. E la proposta (ma si poteva definire proposta, in effetti? O era una imposizione?) di saltare un anno e spenderlo a girare per la galassia, o almeno in quei pochi sistemi solari dove l’uomo aveva stabilito colonie, era interessante. Anzi, era affascinante. Quasi romantica, per certi versi, se si utilizzava a dovere l’aggettivo e lo si ripuliva da ogni sfumatura erotico-sentimentale: romantica in quanto da romanzo, da letteratura, da storia di fantasia. Abbinarla a Chakra con qualunque altro significato gli dava la pelle d’oca.
E poi, oggettivamente, se proprio proprio doveva guardare al nocciolo della questione, o almeno a uno dei noccioli, l’amico aveva ragione: un anno di vacanza non gli avrebbe cambiato la vita. Non in una prospettiva futura, almeno. Laurearsi in corso, o andare fuori corso, non avrebbe fatto alcuna differenza. Non per lui, non sul lungo termine. Dopo la laurea, per lui, c’era solo il vuoto, il nulla, ammesso e non concesso che il nulla potesse esserci. E quindi perché esitare?
Perché esitare era la sua natura. E perché aveva sempre bisogno di un qualche stimolo, o un robusto spintone, prima di fare qualsiasi cosa. Il pomeriggio che spese, o sprecò, al centro culturale terrestre qualche giorno dopo, mentre fuori il vento trasformava la pioggia in un fastidio polidirezionale, gli fornì uno di questi spintoni. Per certi versi.
Il centro culturale terrestre! Un edificio di singolare bruttezza, almeno nel panorama di Varshi, ma a cui Matteo poteva dire di essere quasi affezionato, per un dato valore di affezione. Sarebbe stato forse più preciso dire che gli era diventato familiare, volente o nolente, e che vi si era abituato, ma nel complesso sì, anche affezionato poteva essere un buon aggettivo. Lo pensava quel pomeriggio, mentre saliva i pochi gradini che lo avrebbero condotto all’ingresso, in un turbinio di pioggia che sembrava mirare proprio alle poche parti esposte della sua persona. Sarebbe stato bello se anche quell’edificio avesse avuto un accesso sotterraneo, come molti altri in città, ma non l’aveva. Perché la Terra era vecchia e tradizionalista, giusto? E dunque gli edifici che parlavano di Terra dovevano essere altrettanto vecchi e tradizionalisti. Dovevano suonare terrestri.
Un anno e mezzo. Tanto era passato, arrotondando per eccesso, da quella serata in cui lo avevano costretto a vestirsi da paggetto: umiliazione estrema, indimenticabile, a cui però era sopravvissuto, proprio come era sopravvissuto al dopo serata, quello non indimenticabile ma proprio dimenticato, per abusi vari collegati alla consumazione di alcoolici locali. E in quella serata, mentre i suoi amici erano dentro ad assistere allo spettacolo, lui era uscito a respirare un poco di aria fresca e lì fuori aveva incontrato la presidente Jarkovska, che in due parole gli aveva spiegato proprio quel concetto. La Terra come tradizione, come vecchiume, come luogo a cui i coloni guardavano per assaggiare un poco di nostalgia verso il passato e poi dimenticarsene, proiettati verso il futuro. L’immagine che volevano della Terra e che loro, esportatori della cultura terrestre, dovevano confezionare e vendere ai clienti, soddisfatti o rimborsati.
Tranne Svarga, già. Svarga era l’unico mondo coloniale interessato alla Terra presente, non a quella passata. E Bogdan sarebbe partito per Svarga. O era già partito? Matteo non si ricordava di preciso, anche perché stare dietro a tutta quella Babele cronica che univa alla meglio pianeti diversi, con tempi di rotazione e rivoluzione altrettanto diversi, era impresa superiore alle sue modeste capacità e al suo nullo interesse. Bogdan sarebbe andato su Svarga, per specializzarsi o condurre una qualche ricerca, non gli era ben chiaro. E Chakra gli aveva proposto di partire con lui, a fine anno, per girare un poco e vedere posti nuovi. E svegliarsi.
«Potrebbe essere una esperienza interessante, sì, anche se del tutto inutile sul piano pratico,» disse Roger Snyder. «Visto che tanto non hai niente di meglio da fare, da buon letterato quale sei, ci puoi anche sprecare un poco di tempo, no?»
Era l’unico occupante del bar nel centro culturale, Roger coi suoi lineamenti da topo e i suoi lunghi capelli neri, che luccicavano di qualcosa su cui Matteo preferiva non indagare, ma che sospettava essere soprattutto una scarsa pulizia. Il clima era uno schifo, non c’era nulla da fare e gli altri soliti studenti avevano scelto, saggiamente o pigramente, di restarsene a casa o almeno di affaccendarsi in tutt’altre faccende. Matteo più o meno se lo aspettava, ma era passato lo stesso, tanto per cambiare aria, non vedere nuove facce e insomma sprecare un poco di tempo. E poi chi lo sa? Poteva sempre esserci qualcosa di interessante per lui. Il centro culturale era collegato a eventi rilevanti, nella sua memoria, eventi che gli avevano cambiato la vita, anche se in misura modesta e in gran parte solo nel chiuso della propria mente, ma... Beh, era più o meno un simbolo, no? Non necessariamente di qualcosa, solo simbolo e basta. Un simbolo simbolico.
Così era entrato, e non aveva trovato nessuno, a parte i dipendenti veri e propri. Così si era diretto verso il bar, dove avrebbe di sicuro trovato qualcuno, come i soliti tre, che erano sempre seduti sullo sfondo, a commentare e fare teatrino. Ma i soliti tre non c’erano. C’era il solito uno, che era uno dei tre ma era solo: Roger Snyder, appunto, lo studente di fisica che ormai doveva essere al quinto anno e che ancora non dava segno di volersi o doversi laureare. Così Matteo si era seduto al suo tavolino. Così avevano cominciato a chiacchierare del più e del meno, ma anche di altri simboli aritmetici. E così alla fine aveva raccontato della proposta di Chakra: mollare tutto, prendersi un anno sabbatico e via, a vedere altri pianeti, dove parecchi uomini erano già giunti prima.
«Beh, non è che non ho proprio niente da fare. È che, di recente, mi sono accorto di non avere più un piano ben definito per cosa fare in futuro e così, sai, magari vedere altri posti potrebbe essere di aiuto per capirci un poco di più, fare nuove esperienze, così. No?»
«No. Trovo che la mitologia del viaggio come ricerca di se stesso e scoperta di nuovi orizzonti nella propria vita, e palle varie, sia una fandonia estremamente sopravvalutata,» rispose Roger. «Di fatto, è solo un modo per perdere tempo e illudersi di cambiare, senza cambiare davvero. Se prendi un cretino qui su Lakshmi e lo spedisci, che so, a Rudra, sarà sempre lo stesso cretino ad arrivare anche su Rudra. Non cambi un cretino spostandolo da qui a là: cambi un cretino cambiandogli la testa.»
«Ma il viaggio potrebbe aiutare a cambiargli la testa, no? Vedere posti nuovi, gente nuova...»
«Vedrà posti nuovi con occhi vecchi e incontrerà gente nuova con la faccia vecchia. Come ti ho già detto, che viaggiare serva a qualcosa è soltanto un mito, non capisci? È sempre la stessa persona che è sballottata qui e là e tutto ciò che vede, sente e incontra lo esperimenta solo attraverso il filtro del proprio bagaglio mentale e culturale, che non cambierà mai. Vedrà solo quello che gli farà comodo vedere, sentirà solo quello che gli farà comodo sentire, ed esperimenterà solo quello che gli farà comodo esperimentare. Non troverà un solo grammo di novità, perché su ogni cosa avrà impresso il marchio di se stesso. E quello non cambia, lo sai.»
Un fisico filosofo, senza dubbio. Matteo non sapeva bene come rispondergli, ma neanche se valesse poi la pena di rispondergli; sapeva solo di non essere d’accordo col conoscente (non lo avrebbe mai chiamato amico, neppure sotto minaccia di morte lenta e orribile). E perché? Beh, non per ragioni ben precise o ben meditate, ma solo perché, da qualche parte, si stava ormai convincendo che quella di Chakra fosse una buona proposta, a modo suo, e viaggiare un poco gli avrebbe fatto solo bene. Di conseguenza, si aspettava di sentirsi dare ragione. Che quel Roger non lo facesse era fastidioso. Che gli offrisse ragioni plausibili per non dargli ragione era più che fastidioso: era moralmente urticante.
«Ma la letteratura riporta molti esempi di persone a cui un viaggio ha fatto bene. Persone che sono state cambiate da un viaggio, vedi? Quindi non è così inutile come dici tu.»
«Oh, letteratura. Fantasie di persone che non vogliono lavorare, intendi. Sono appunto fantasie, solo fantasie e niente di più. Portare una fantasia come prova a sostegno di una tua ipotesi è peggio che inutile, molto peggio. È deleterio, sia per la tua credibilità, sia per la credibilità della ipotesi stessa.»
«Comunque, io penso che viaggiare mi farebbe bene.»
Sullo sfondo, il notiziario terrestre li informava sul ritrovamento di un fossile su Madre, il primo che fosse stato trovato su quel nuovo pianeta. Un qualche funzionario locale, che assomigliava a un ragioniere mummificato prima della scoperta dell’agricoltura e riesumato e rianimato da poco, più fossile che umano vivente lui stesso, spiegava che non potevano ancora escludersi collegamenti tra la forma di vita rappresentata dal fossile, che ancora doveva essere accertata, e la civiltà aliena che era sorta e svanita su quel pianeta, milioni di anni prima. Si concludeva con l’equivalente scientifico di un “le indagini sono ancora in corso”. Né Matteo né Roger lo ascoltavano.
«E poi, al di là di tutte queste fantasie sulle presunte e pretese facoltà miracolose dei viaggi,» diceva intanto Roger, «il nocciolo vero della questione è un altro, vedi? Ed è molto, molto semplice, oltre che molto, molto concreto e tangibile: i soldi per il viaggio dove li trovate? Non dirmi che userete i vostri risparmi, dato che qui su Lakshmi di soldi non ce ne sono proprio. No, no: sul piano ideale un viaggio potrebbe anche presentare qualche aspetto utile, almeno per passare il tempo e divertirsi un poco, ma sul piano concreto la vostra idea fa più acqua di uno scolapasta, vedi?»
E lì Matteo non poteva proprio ribattere, perché non ci aveva neppure pensato. La vita su Lakshmi lo aveva così abituato a fare a meno dei soldi e a trovarsi a due passi da tutto ciò che gli serviva e da molto di ciò che non gli serviva, che il pensiero di dover ricominciare a preoccuparsi di pagare era a modo suo sconvolgente. Inaspettato, anche. E difficile da risolvere.
«Mah, non so,» borbottò in risposta. «Dovrei chiedere al mio amico. È lui che lo ha proposto, per cui penso che avrà una qualche idea per questo, no? Almeno, dovrebbe.»
«Oh, se è così, allora buona fortuna. Ne avrai di certo bisogno.»
Quando rientrò all’alloggio, più bagnato delle mutande di qualcuno che è affetto da gravi problemi di incontinenza, Matteo era discretamente arrabbiato. No, non proprio arrabbiato: infastidito, però, e anche seccato. Ma non incerto, non più, o almeno non del tutto. Adesso era deciso. Deciso a partire con Chakra, andare in giro per la galassia (ma sì, facciamo pure le cose in grande, già che ci siamo), vivere nuove esperienze e cambiare grazie al viaggio. Alla facciaccia di Roger Snyder. Il problema era però pratico. Monetario. Ed era un problema a cui Chakra avrebbe dovuto rispondere. Presto, o ancora meglio subito. E rispondere in modo soddisfacente.
Lo trovò come da sua tradizione stravaccato sul letto, con una posa che soltanto lui poteva trovare comoda, ammesso e non concesso che fosse davvero comoda per lui e non solo uno dei suoi strambi vezzi. Lo trovò anche nella più classica baraonda domestica, che suggeriva una violenta esplosione nel reparto di abbigliamento di un qualche grande magazzino, e che l’amico si ostinava a definire caos creativo, anche se nessuno lo aveva mai visto produrre alcunché, creativo o meno che fosse. Fingeva anche di studiare, Chakra, o forse studiava davvero: neppure un’analisi al microscopio lo avrebbe potuto determinare con certezza.
«Allora? Divertito a prendere acqua? Certo che avete strane abitudini, voi terrestri.»
«Non ero a prendere acqua e non mi sono divertito. Piuttosto, come facciamo per i soldi?»
«Che soldi, scusa?»
«Quelli per il viaggio. Per il tuo fantastico, favoloso viaggio attraverso la galassia, per vedere cose nuove, fare esperienze originali, eccetera eccetera.»
«Penso che tu mi stia confondendo con qualcun altro. Mai parlato di viaggio attraverso la galassia, o di esperienze nuove e originali. Se però hai bevuto qualcosa di strano, mentre eri fuori, e ti ha fatto questo effetto, allora gradirei conoscerne il nome: potrebbe valere la pena di provarlo.»
«Sto parlando sul serio. Il viaggio, no? Quello che dicevi tu, da fare a fine anno, per prendersi una pausa dallo studio e roba varia. Non te lo ricordi più?»
«Così alla fine hai deciso di venire anche tu? Ottimo. E dunque?»
Matteo respirò a fondo. «E dunque i soldi! Come pensi di pagarlo? È questo che voglio sapere.»
«Pensavo di vendere i tuoi organi sul mercato nero, per questo ti ho invitato. Ok ok, sto scherzando. Ti farò prostituire: qualche vecchio depravato potrebbe decidere di comprarti. Comunque, ai soldi non ci pensare: non sono un problema.»
«Direi proprio che lo sono! Ma lo sai quanto mi è costato venire fin qui dalla Terra?»
«Non lo so e francamente non me ne può fregare di meno. I viaggi non sono un problema. È vero, sul posto ci serviranno soldi, questo non lo discuto, ma ci penseremo sul posto. Qualche lavoretto si trova sempre, per te.»
«Ma ce la fai a rispondermi seriamente, una volta? Se non abbiamo neanche un soldo, mi dici come facciamo a viaggiare per pianeti e vivere qui e là per un anno? Seriamente.»
Chakra sospirò, sollevandosi e mettendosi a sedere nel letto. «Sei proprio una piaga in culo, ne sei almeno consapevole? Spero di sì, perché lo sei. Ti sei mai chiesto come fanno i lakshmiti ad andare a studiare su altri pianeti? O come fanno a viaggiare su altri pianeti, in generale? Ti sei mai chiesto come funzioni il commercio estero, se noi non usiamo i soldi e gli altri pianeti sì? Ti sei mai chiesto un sacco di altre cose, che potrei anche elencarti ma che non ne ho voglia, perché tanto so già la tua risposta e la risposta è no, non te lo sei mai chiesto, per cui non c’è bisogno che rispondi a tutte le mie domande retoriche?»
«Ehm... no.»
«No cosa?»
«No. In generale.»
«Se non ti sei mai posto tutte queste domande, e poiché non te le se mai poste, continua per favore a non portele anche adesso, così io mi risparmio spiegazioni inutili e tu ti risparmi preoccupazioni inutili. Ok? Al viaggio non ci devi pensare, in nessun caso: non è un problema. Al soggiorno sui vari pianeti ci penseremo quando saremo là, e comunque neppure quello è un problema. Menti ben migliori della tua hanno già risolto tutto al posto tuo, piccolo terrestre, quindi torna pure a cuccia o a fare quello che preferisci e lascia che l’universo si prenda cura di se stesso.»
«Mi piacerebbe anche sapere qualcosa, ogni tanto.»
«Sai già tutto quello che hai bisogno di sapere. Il resto sono cose per cui non ti devi preoccupare, perché non c’è niente di cui preoccuparsi. Ok? Stai tranquillo. Quante volte ti ho mentito, scusa?»
«Solo oggi, oppure da quando ti conosco?»
«Metaforicamente, intendo. Comunque non saremo i primi e neppure gli ultimi a partire da Lakshmi senza un soldo in tasca e alla fine tutto si è sempre risolto bene, quindi perché preoccuparsi?»
«Perché io mi preoccupo di natura.»
«Perché tu sei una piaga di natura. Non hai appena visto quella tua amica, come si chiama, che se ne è partita per Agni, senza soldi e senza preoccuparsi? Bene, lo stesso sarà anche per noi.»
«Quindi manderanno anche noi in esilio? E comunque Kemala, che sarebbe il nome della mia amica in questione, era preoccupata parecchio, per cui non mi sembra proprio un bell’esempio.»
«Perché l’hanno spedita su Agni in punizione e non era il posto in cui voleva andare. Sulla Terra, però, c’è andata senza pagare il biglietto, giusto? Se avesse deciso di fare la semplice turista, invece di fingersi terrestre e balle varie, per quelle idee assurde che le hai messo in testa tu, non avrebbe avuto alcun problema a vivere sul tuo pianeta, almeno per un certo periodo.»
«Non gliele ho messe in testa io, quelle idee. Tutta produzione propria, te lo garantisco.»
«Quello che è. Comunque, per viaggi e brevi soggiorni non ci dobbiamo pensare. Se poi ci vorremo fermare più a lungo in un posto, allora sì, dovremo guadagnarci qualcosa per conto nostro, ma è un problema che affronteremo se e quando si porrà. Per adesso, stai pure calmo e goditi le lezioni. Già che ci siamo, sei poi passato dagli altri, o stai ancora giocando a fare l’offeso?»
«Non gioco a fare l’offeso.»
«Quindi hai già incontrato Sharma, Indira e gli altri, giusto?»
«Beh, ecco, non esattamente incontrato.»
«Stai ancora giocando a fare l’offeso, capisco. Deve piacerti molto questo gioco, se lo continui dopo tutto il tempo che è passato. Quando è stato, scusa? A fine primavera?»
«Il sessanta di Primavera, sì.»
«E oggi che giorno è?»
«Il venti di Autunno, ok, ma...»
«Possiamo dire che sono passati più di centoventi giorni, arrotondando un poco? E tu sei ancora lì a tenere il muso e fare l’offeso? Sei davvero un caso da manuale psichiatrico, credimi.»
Ma non era così. Non stava facendo ancora l’offeso. Ok, magari in parte sì, magari ancora non gli era riuscito di digerire tutta la faccenda dello spionaggio e simili, anche se ok, non era proprio vero spionaggio, ma di fatto lo era, altroché se lo era. Il problema, semmai, era che non sapeva più bene come affrontare la questione. I rapporti interpersonali non erano mai stati la sua specialità, o anche solo qualcosa in cui se la sapesse cavare. Trovare subito un gruppo, lì su Lakshmi, gli era piaciuto e gli era anche capitato addosso come un evento imprevisto e superiore alle proprie forze. Adesso che il gruppo era andato a pezzi, però, o almeno stava andando a pezzi, non sapeva proprio cosa fare o come doversi comportare. Oltre al puro non farci niente, che valeva sempre come soluzione, almeno dal suo punto di vista. Se almeno ci fosse stato ancora Bogdan...
Ma Bogdan non c’era. C’era invece una stagione e mezza da far passare in un qualche modo, tra le lezioni e gli esami, e poi l’idea di Chakra, il progetto di Chakra o il quel che era di Chakra avrebbe portato qualche cambiamento e risolto il suo problema. In forma molto radicale, d’accordo, ma una soluzione era pur sempre una soluzione e tanto bastava. Che tutto si sarebbe potuto risolvere in un attimo e in modo assai più dignitoso, semplicemente incontrando qualcuno e parlando faccia a faccia, era un pensiero presente alla sua coscienza, sì, ma in pesante minoranza. Matteo lo ignorò.
Pensava invece al modo in cui la gente sembrava sparire o disperdersi nella galassia, almeno attorno a lui. Suo fratello su Madre, Bogdan adesso su Svarga (o in viaggio verso), Kemala su Agni, mentre lui e Chakra sarebbero partiti per chissà dove, nel giro di centocinquanta giorni o giù di lì. C’era da farsi venire le vertigini, a pensarci troppo. C’era anche molto di interessante, però, e soprattutto una robusta dose di avventuroso e irreale: da bravi figli dell’epoca nuova, epoca in cui non soltanto era possibile spostarsi da un sistema solare all’altro, senza che innumerevoli generazioni morissero di vecchiaia strada facendo, ma epoca in cui il suddetto viaggio era alla portata di tutti (quelli che se lo potevano permettere). E loro che facevano, i giovani di quell’epoca? Viaggiavano. Giusto, no?
Ma non avrebbe rivisto Davide. Su questo, Chakra era stato chiarissimo. «Madre è un letamaio di mondo e io non ci metterò piede. E neanche altre parti del corpo, ok? Solo posti civilizzati, dove per civilizzati intendo posti in cui ci siano vasche con idromassaggio accessibili a tutti, climatizzatori anche dentro le scarpe e persino i cessi automatizzati, che si puliscono prima ancora che tu abbia il tempo di pensare all’eventualità di farlo tu stesso. La roba primitiva la lascio ai primitivi.»
Oh beh, Matteo era disposto anche ad accettarlo. Forse non era un comportamento da buon fratello maggiore, ok, ma l’incontro coi due funzionari dell’ambasciata lo aveva spaventato a sufficienza e si era già messo in una quantità sufficiente di casini interplanetari, grazie al gentile aiuto di Kemala: per il resto della propria vita avrebbe evitato di infilarsi in altri, con le buone o con le cattive. E se per questo avrebbe dovuto dimenticare il proprio fratello minore, nonché unico superstite noto della famiglia, pazienza: lo avrebbe dimenticato. O avrebbe tentato di.
Ma la curiosità di cosa avrebbe potuto trovare in giro per la galassia era forte e lo portò a spendere in biblioteca più tempo di quanto il suo piano di studi avrebbe apprezzato, soprattutto perché quel tempo lo spese nella sezione sbagliata della biblioteca, studiando la storia dei vari pianeti coloniali e le spettacolari mappe quadridimensionali, di cui aveva ignorati fino ad allora l’esistenza, ma di cui adesso non avrebbe più saputo fare a meno. Perché le mappe tridimensionali le conosceva e dopo un poco diventavano tutte uguali: semplici ricostruzioni della struttura attuale del pianeta, e i pianeti abitabili dall’uomo avevano tutti la stessa struttura, in fin dei conti. Quando però aggiungevi anche il tempo come quarta dimensione, e animavi le mappe per poter osservare il modo in cui il pianeta si era trasformato nel corso di miliardi di anni, allora era tutta un’altra storia. Era fantastico.
Sì, poteva capire perché Bogdan avesse deciso di studiare proprio planetologia, se in planetologia si usavano spesso cose affascinanti come quelle mappe. Il che era tutt’altro che sicuro, almeno per lui, ma erano mappe di pianeti e la planetologia studiava i pianeti, no? Quindi era almeno plausibile che usassero quelle mappe. Forse avrebbe dovuto ascoltare meglio l’amico, quando parlava dei propri studi. Già, era un peccato. E poi la letteratura coloniale si stava dimostrando così noiosa...
In un paio di occasioni vide di sfuggita anche Sharma e Indira, in biblioteca, mentre un’altra volta si ritrovò quasi di fronte a Lin Yutang, che chiacchierava a bassa voce assieme ad altri due tizi, forse suoi compagni di corso. Matteo riuscì a evitare incontri frontali, con tutta la messe di domande che si sarebbero trascinati con sé, ma si sentì comunque a disagio. Avrebbe dovuto parlare con loro? O li poteva semplicemente aggirare, fino alla partenza? Non lo sapeva, ma provvisoriamente decise di continuare con gli aggiramenti furtivi. Che magari gli amici lo stessero osservando, secondo quella che era una moda o una consuetudine lakshmita, non lo sfiorò neppure: aveva altro per la testa e la sua paranoia si era placata per un poco, intontita forse dall’abitudine.
Così l’autunno di studio e lezioni si trascinava pigro e indolente verso l’inverno, nella indifferenza quasi divina del pianeta e dei suoi occupanti. Come accadeva sempre, del resto, perché Lakshmi non era un mondo molto attivo: amava vivere per i fatti propri, ignorare ed essere ignorato. I mondi attivi erano altri e la loro attività sarebbe presto aumentata, perché cambiamenti grandi e decisivi si preparavano altrove, lenti, nascosti, come moti tellurici o rovinosi dissesti economici. Ma questa è storia futura ed è storia che non riguarda Lakshmi, il pianeta sognante e soddisfatto di sé.
È una storia in cui alcuni incauti viaggiatori, però, potrebbero tuffarsi inconsapevolmente. Almeno per un dato valore di storia e di inconsapevolezza.