Adriano - racconti e altro

La figura del corvo nel folklore ainu

Il corvo è un animale che ha un ruolo piuttosto curioso nel folklore ainu. Non un bel ruolo, nella maggior parte dei casi, ma questo è un problema che comincia già dal suo nome, almeno in lingua ainu, e non fa che peggiorare nelle storie in cui compare. O almeno in molte storie. Non in tutte.

Il termine generico per indicare un corvo, in lingua ainu, è infatti paskur e fin qui non ci sono problemi. Lo troviamo sotto questo nome nel kamui yukar1 che ho tradotto in altra sede e che è stato registrato col titolo di “Passero”, e la parola paskuru è inserita anche nel dizionario compilato da John Batchelor, dove la traduzione data è “A crow or rook”. Nel kamui yukar pubblicato da Chiri Yukie col titolo di “Kamuichikap Kamui Yaieyukar” all’interno della sua raccolta Ainu Shin’yōshū, poi, compare come personaggio Pashkurokkayo, ossia il “giovane (okkayo) corvo (pashkur)”. Già nel Moshiogusa, un vocabolario giapponese-ainu piuttosto primitivo compilato nel 1792 da Uehara Kumajirō e Abe Chozaburō, possiamo leggere che al termine giapponese karasu, ossia “corvo”, corrisponde in lingua ainu la parola bashikuro2.

Fin qui, tutto bene: c’è poca consistenza nella grafia della parola, ma è del tutto normale con la lingua ainu e se ne vedono di peggiori. Comunque sia trascritto, paskur corrisponde a corvo.

Se esaminiamo però il secondo canto contenuto nella raccolta di Chiri Yukie, da lei intitolato “Chironnup yaieyukar, Towa towa to”, il corvo fa una nuova apparizione, ma con un nome diverso: qui si parla infatti di shipashkurutar: se utar serve semplicemente a rendere plurale la parola, in quanto di corvi ce ne sono due, mentre pashkur è il nome del corvo come Yukie lo scriveva abitualmente, resta da giustificare la prima sillaba, ossia shi. Il verso successivo ci dice cosa significhi questa parola in lingua ainu, presa da sola: significa “escremento”, nello specifico di animale, ed è l’oggetto che i due corvi stanno beccando con tanto entusiasmo in quella scena della storia.

Se il termine shipashkur potrebbe sembrare a prima vista una battuta di cattivo gusto, vista l’attività degli animali in quella circostanza, la realtà è piuttosto diversa. Se cerchiamo sul dizionario di Batchelor, infatti, troviamo davvero la parola shipaskuru, che il missionario traduce come “Japanese oriental raven”. Traduzione ufficiale e forse anche pudica, visto che Kubodera sceglie invece una strada parecchio diversa: nel suo dizionario, infatti, shipashkur è tradotto come 糞烏, ossia “corvo (烏) degli escrementi (糞)”, che lascia ben poco all’immaginazione. Come se non bastasse, abbiamo anche un rimando a shiepasukur, che nel suo dizionario però non compare. Forse è anche meglio, dato che la parola promette molto male: sembra infatti che si stia parlando di un corvo che mangia (e) gli escrementi (shi), non qualcosa su cui vorremmo ulteriori dettagli.

I dettagli però ce li fornisce un altro ainu: Kayano Shigeru, infatti, nella sua raccolta di uwepeker3 pubblicata sotto il titolo di Ainu to kamigami no monogatari, ci racconta anche la storia di “Karasu to akanbō”, ossia “Il corvo e il neonato”, registrata nel trentaseiesimo anno dell’era Shōwa nella zona di Biratori. In questa storia, che di per sé è una versione ainu del motivo del changeling ben noto nel folklore europeo, uno dei due personaggi in scena, come già ci dice il titolo, è un corvo, che nel corso della vicenda sarà identificato dal narratore come uno shiepaskur, che Kayano Shigeru traduce in giapponese come kusokui karasu, ossia “corvo mangiacacca”. Il sospetto che il dizionario di Kubodera ci aveva dato, dunque, riceve una conferma ufficiale. Il corvo, o almeno il corvo chiamato paskur in lingua ainu, era considerato un animale coprofago. Perché?

La dieta dei corvi può non risultare molto gradita ai palati fini, specie nel ruolo che li ha resi famosi anche in Europa, ossia quello di mangiatori di cadaveri. Una parte della loro pessima reputazione tra gli ainu potrebbe dunque venire semplicemente dal fatto che, nel loro variegato menù, rientravano anche le carogne. Un’altra possibilità, che non esclude necessariamente la prima, è che sia soltanto uno sfortunato caso di somiglianza fonetica. In lingua ainu, la parola si4 non significa soltanto “escremento”; o meglio, al suono “si” corrispondono anche parole che hanno un significato diverso da “escremento”.

Come prefisso, infatti, “si” può essere utilizzato per dare un senso aumentativo, come nel caso di siapka, che significa “cervo maschio adulto”, mentre in altri composti può avere il significato di “vero, principale”, come nel caso di siso, cioè il posto (so) alla sinistra del focolare riservato al capofamiglia, oppure sipet, che è il corpo principale di un fiume (pet). Sipaskur, quindi, poteva essere semplicemente l’esemplare adulto o più rilevante della sua categoria: tutto il resto lo avrebbe fatto uno sgradevole e sfortunato caso di omofonia, magari abbinato alla discutibile abitudine di beccare i cadaveri, che questo uccello sembra possedere. O forse non è così e gli ainu lo hanno visto fin dall’inizio come un mangiatore di escrementi, per ragioni note soltanto a loro: sono solo ipotesi, non sapendo di preciso quando e come siano nate questa parola e questa idea, né se siano legate da un preciso rapporto di causa ed effetto.

Sia come sia, nel folklore ainu il corvo ama gli escrementi. Lo troviamo protagonista di una storia in cui rovina la festa organizzata dal passero, gettando un escremento nella botte di sake che aveva preparato per gli altri kamui. A seconda della versione, a volte lo fa per ripicca, a volte solo perché è ubriaco fradicio ed è convinto di migliorare in questo modo il sapore del vino, ma il risultato è sempre lo stesso: il sake è rovinato dall’aggiunta di un escremento, che il corvo teneva in bocca, e tutti gli altri si arrabbiano con lui, a volte linciandolo. Esistono più varianti di questo racconto e ne ho già presentate tre altrove, per cui non è necessario dedicarvi troppo spazio in questa sede.

Una versione della storia è un kamui yukar, in versi, ed è raccontata in prima persona dal passero che ha organizzato la sfortunata festa, come è normale per i kamui yukar. Qui il corvo voleva solo imitare la ghiandaia, che prima di lui aveva aggiunto una ghianda al sake, migliorandone il sapore. L’escremento aggiunto dal corvo otterrà ovviamente l’effetto opposto, con linciaggio finale. Una seconda versione, riferita da Batchelor, è pressoché identica, soprattutto nelle motivazioni del corvo e nel finale. Un’altra versione, che Chamberlain ci riporta come raccontata a lui da Batchelor, vede invece l’aggiunta di escrementi al sake come atto di ripicca da parte del corvo, che non era stato invitato alla festa. Sempre a Chamberlain è dovuta una quarta versione, col titolo “Il corvo arrabbiato”: qui il corvo si presenta come un umano vestito di nero5, riceve in offerta del sake, danza contento, aggiunge escrementi alla bevanda, è picchiato dal padrone di casa e fugge in forma di animale.

Cosa ne ricaviamo? Poco, per il momento. Abbiamo una conferma del legame tra il corvo e gli escrementi, ma per adesso l’animale non ci appare come particolarmente malvagio: poco intelligente, forse, ma questo è un altro discorso e non implica necessariamente malvagità. Pure, nel folklore ainu il corvo era una figura negativa, in generale. La sua presunta passione per gli escrementi poteva certo giustificare una parte di questa sua fama, dato che per gli ainu erano materiale impuro6 (e non solo per loro, ovviamente), ma sembra un poco eccessivo. Anche nel già citato “Chironnup yaieyukar, Towa towa to” di Chiri Yukie i corvi appaiono in scena danzando attorno a escrementi e beccandoli ripetutamente, con passione: sgradevole da vedere, certo, ma non malvagio.

In “Kamuichikap Kamui Yaieyukar”, invece, il corvo non ha legami con gli escrementi, ma ci è descritto come un personaggio piuttosto sbruffone, incapace però di confermare coi fatti quanto vuole dimostrare con le parole e gli atteggiamenti: si presenta dal gufo per candidarsi come suo sostituto nel ruolo di intermediario tra mondo umano e mondo divino, ma fallisce miseramente e si attira la furia del gufo, che lo ucciderà. Di nuovo, non certo una rappresentazione positiva di questo uccello, ma siamo ancora parecchio lontani dalla negatività vera e propria. La raggiungiamo invece nel già citato uwepeker raccontato da Kayano Shigeru.

In questa storia, presentata col titolo giapponese di “Karasu to akanbō”, il corvo compare in scena con l’aspetto di una donna, che alleva da sola un bambino in un posto non ben precisato, indicato solo come 小さな家, “una piccola casa”. La donna manda il bambino a caccia di animali via via sempre più grandi, man mano che cresce, e fin qui ancora niente di strano. Non troppo strano, quantomeno. Lo strano arriva quando, di ritorno da una battuta di caccia, l’ormai ragazzo sente la madre che canta da sola, vantandosi di aver scambiato un bambino che adesso usa come cacciatore personale, per procurarsi buon cibo. Il ragazzo non la prende molto bene: raggiunge la donna e la costringe con la forza a raccontargli tutto7. E cosa scopre?

Scopre che siamo di fronte alla classica storia di changeling, appunto. Una donna umana era salita in montagna portando con sé un neonato. Mentre raccoglieva vegetali, lo aveva lasciato in una culla appesa a un ramo. Un corvo vede la culla, vede il neonato, lo trova più bello dei propri figli e decide così di rapirlo, scambiandolo con un piccolo corvo. Saputa la verità, il ragazzo la prende molto male e uccide la donna corvo che lo aveva rapito quando era ancora in fasce. A seguire, ritroverà la sua famiglia umana e ci sarà il lieto fine, come è normale in un uwepeker, ma a noi non interessa più.

Abbiamo dunque un corvo nel ruolo che, nelle isole britanniche, è interpretato di solito da un qualche esponente del Piccolo Popolo: trova un neonato momentaneamente incustodito, lo rapisce e al suo posto lascia il proprio figlio, che è di solito uno sgorbio. Qui ci siamo spostati decisamente sul lato negativo del compasso morale. Kayano Shigeru, nel suo commento in coda alla storia, ci spiega poi che gli ainu distinguevano due tipi di corvo: il primo, chiamato siepaskur, era in genere malvagio, o almeno compariva nelle storie in ruoli negativi; di contro, il secondo tipo di corvo era il kararat e aveva di solito ruoli positivi. Non erano solo diversi come carattere e come ruolo nelle storie: erano proprio diversi anche come classificazione scientifica. Batchelor, nel suo dizionario, definisce il kararat come “Carrion crow. Corvus corone”; il paskur, invece, dovrebbe essere il corvo classificato come Corvus macrorhynchos, ma lascio che siano eventuali ornitologi ad approfondire questo aspetto: io non me ne intendo proprio.

La cosa che ci interessa, invece, è che gli ainu distinguevano due tipi di corvo: uno positivo e uno negativo. Se il corvo abbinato agli escrementi compare di solito in ruoli negativi, la presenza di un secondo tipo di corvo, a cui sono assegnati i ruoli positivi, impedisce a questo uccello di essere una figura totalmente “cattiva”. Se esiste un tipo di corvo che si diverte a fare dispetti o danni veri e propri, come rapire i bambini incustoditi, ne esiste anche un altro tipo che è pronto invece ad aiutare gli umani, almeno a quanto ci dice l’ainu Kayano Shigeru. Peccato solo che non ci abbia fornito anche qualche esempio in cui un corvo esplicitamente indicato come kararat aiuta una persona: sarebbe stato utile anche solo come confronto. Esistono comunque corvi “buoni”, a quanto pare.

Un’altra storia ainu molto diffusa, infatti, ci mostra il corvo in un ruolo decisamente più positivo: assieme alla volpe, è infatti uno dei due animali che, ogni giorno, si sacrifica facendosi divorare dal mostro che vorrebbe mangiare il sole. Chamberlain ci ha raccontato questa storia sotto il titolo “Il sorgere del sole”, mentre una versione più estesa e complessa ce la riferisce Matsumoto Nobuhiro nel suo Essai sur la mythologie japonaise, pag. 127 e seguenti. Una particolarità nella versione di Matsumoto è che i corvi sono usati soltanto al tramonto del sole, mentre all’alba sono solo le volpi a essere gettate tra le fauci del mostro; nelle altre varianti, invece, corvi e volpi sono mescolati senza problemi e il loro intervento è richiesto solo all’alba.

È opportuno notare che l’idea di un legame tra i corvi e il sole sembra essere presente nel folklore di tutto l’Estremo Oriente o quasi. In Cina e Giappone, in particolare, è la figura del corvo a tre zampe a essere collegata al sole, in forme variabili a seconda della storia: a volte il corvo a tre zampe è il messaggero del sole, a volte vive dentro il sole, a volte è una manifestazione del sole stesso. In Giappone, questo corvo a tre zampe è chiamato Yatagarasu e compare già nel Kojiki, dove fa da guida a Jinmu verso il territorio di Yamato8, e nel Nihonshoki, dove la sua apparizione è interpretata come un segno inviato da Amaterasu al suo discendente, l’imperatore in carica. Nel suo ruolo di guida imperiale ottiene poi una menzione anche in un frammento dello Ise fudoki, dove è indicato come corvo d’oro (kogane no karasu). Che anche gli ainu abbiano accostato il corvo al sole, in almeno una delle loro storie, non appare dunque così strano, dato che l’idea circolava tra i loro vicini. Può anche essere una pura coincidenza, beninteso.

Sia come sia, il punto è che i corvi contribuiscono a proteggere il sole, almeno in questo racconto ainu: che siano kararat? Non avendo a disposizione il testo di queste storie in lingua originale, non possiamo esserne sicuri, ma è almeno una ipotesi. D’altro canto, quei corvi possono essere paskur e in questo caso la storia giustificherebbe la tolleranza nei loro confronti: sono una piaga, ma in fondo fanno anche qualcosa di utile, per cui li dobbiamo sopportare. Lo stesso si applica alle volpi, del resto. Non si può poi escludere che la distinzione tra paskur cattivi e kararat buoni esistesse solo nel folklore di Biratori e dintorni, territorio natale di Kayano Shigeru e luogo di origine delle storie che ha raccolto e tramandato. La cultura ainu era tutt’altro che uniforme, come sappiamo, e da una comunità all’altra potevano esserci differenze tanto negli usi e nelle tradizioni, quanto nelle parole e nella pronuncia.

Più complessi e interessanti sono i corvi che compaiono in un altro testo registrato da Chamberlain e da lui diffuso col titolo “Il donatore gentile e il donatore rancoroso”. Di fatto, è il classico motivo del personaggio buono che tratta bene un essere soprannaturale e ne è ricambiato con un dono, mentre il personaggio cattivo cerca di imitare il primo, ma si comporta male ed è punito dal suddetto essere soprannaturale. Ne esistono varianti innumerevoli, diffuse in una buona fetta del mondo. Nella storia registrata da Chamberlain, l’essere soprannaturale è un corvo e il premio per la persona buona è costituito da due cuccioli: uno defeca oro e l’altro defeca argento. La punizione per la persona cattiva? Due cuccioli, che defecano normalmente e senza sosta, fino a sommergergli la casa. Una fine non molto piacevole, insomma. Questo ci suggerisce che il corvo sia un paskur, dato il tema scatofilo del dono, ma non possediamo l’originale in lingua ainu e quindi non possiamo esserne certi neppure in questo caso.

Sia come sia, in questa storia il corvo non è né un personaggio positivo, né un personaggio negativo: si comporta bene o male in base a come l’umano di turno si è comportato con lui. Se ti comporti bene, sarai premiato; se ti comporti male, sarai punito. Il che non ci aiuta granché, perché è il comportamento tipico di ogni personaggio soprannaturale che appare in fiabe costruite attorno a questo particolare motivo: che siano corvi, folletti, troll, streghe o altro ancora, cambia ben poco. È comunque interessante che alcuni ainu abbiano scelto proprio il corvo per interpretare questo ruolo, segno forse che l’immagine di questo animale era ambigua a sufficienza nel loro folklore. O forse gli ainu ci tenevano davvero tanto a raccontare una storia in cui apparissero escrementi di ogni tipo e il corvo era solo l’animale più indicato, vista la sua pessima fama.

Qualcosa di simile accade anche in un’altra storia registrata dal già citato Kayano Shigeru e contenuta sempre nel suo Ainu to kamigami no monogatari: è lo uwepeker che ha tradotto col titolo di “Niwa no karasu”, ossia “I due corvi”. In questa storia, i due corvi hanno un ruolo molto marginale, sebbene compaiano proprio come titolo della vicenda, per ragioni che dovremmo forse chiedere all’autore della raccolta: la loro unica funzione è quella di farsi ascoltare dal protagonista mentre lo avvertono di nascosto del pericolo che lo attende.

La circostanza, in sé e per sé, non ha nulla di strano. Le storie in cui il protagonista si nasconde su un albero per ripararsi da animali selvatici e per puro caso si ritrova ad ascoltare una conversazione che si svolge proprio ai piedi dell’albero e che contiene informazioni indispensabili per lui, in una forma o nell’altra, sono legione e le possiamo trovare ovunque. Nel racconto ainu, è il protagonista a trovarsi ai piedi dell’albero, mentre quelli che parlano sono appollaiati sui rami, ma questo è dovuto semplicemente al fatto che si tratta di uccelli, corvi nello specifico. Per il resto, il copione è rispettato: i due corvi si raccontano a vicenda le cose strane che hanno osservato quel giorno, il protagonista li ascolta e si salverà così da un tentativo di avvelenamento. I corvi sono qui presentati come animali neutrali: né buoni né cattivi, sono utili in quel caso specifico, ma per il resto non hanno alcuna caratteristica particolare. Potevano essere sostituiti da chiunque altro.

Nel corso della storia, scopriremo poi che i due corvi non si trovavano lì per caso, ma erano stati inviati dall’aiutante magico di turno, che nello specifico è un orso di grandi dimensioni e di grande importanza nel mondo divino: è quello che ha soccorso all’inizio e soccorrerà ancora il nostro protagonista, un ragazzo molto devoto e rispettoso delle tradizioni. Ha importanza che abbia scelto proprio due corvi per quel particolare lavoro? Ai fini della storia, no: qualunque altro messaggero avrebbe svolto lo stesso compito senza problemi. Il solo aspetto interessante di questa storia, per quanto riguarda il folklore relativo ai corvi, è che ci mostra di nuovo come possano essere usati anche in modo neutrale. Se è vero che il paskur è spesso un corvo negativo, e se è vero che il kararat ha più spesso un ruolo positivo, è altrettanto vero che questa distinzione può essere ignorata, se la storia lo richiede o se è irrilevante. Quando serve un messaggero divino o un personaggio soprannaturale, anche il corvo può andare benissimo, di qualunque tipo sia.

Il paskur è legato agli escrementi, nell’immaginario ainu. Allo stesso modo, il paskur è una figura tendenzialmente negativa, sempre nell’immaginario ainu. Se questo è vero in generale, è altrettanto vero che la sua caratterizzazione non deve essere considerata troppo stretta o vincolante, perché ci saranno sempre storie in cui il corvo è semplicemente un uccello, magari non molto simpatico ma capace di svolgere ruoli positivi e aiutare il protagonista, anche senza perdere la sua passione per gli escrementi. Ne ho prese in esame un paio e potrei continuare, ma non avrebbe molto senso: è uno di quei casi in cui vista una, viste tutte. Accanto al corvo coprofago, esiste anche un corvo più neutrale, che può essere inserito in una storia per occupare un ruolo qualunque, anche positivo.

Niente di strano neppure in questo. Anche presso altri popoli troviamo personaggi del folklore che possono comparire sia nel ruolo caratteristico che quel particolare popolo ha attribuito loro, sia come jolly in ruoli diversi, legati solo marginalmente alle loro peculiarità di partenza. L’aganis del Friuli, per esempio, può comparire in storie in cui ricopre il ruolo di lavandaia notturna, ma a volte si presenta come moglie soprannaturale, oppure strega, donna attraente o brutta, cannibale, maestra di arti domestiche e altro ancora. La lamina basca, in modo simile, può essere sia una donna misteriosa che si pettina nelle fontane, un demone esperto nelle costruzioni notturne alla maniera del Diavolo in mille storie cristiane, un’esponente del popolo fatato che ha bisogno di una levatrice nel cuore della notte, un custode di tesori sotterranei e così via. Succede spesso che il campo di azione di una figura si estenda nel corso del tempo, anche per la contaminazione di storie provenienti da altri popoli.

Qualcosa del genere è accaduto anche nel caso del paskur degli ainu? Forse, o forse l’ambivalenza era presente fin dall’inizio: difficile ricostruire in dettaglio la cronologia del mondo fantastico di un popolo le cui storie hanno cominciato a essere messe per iscritto soltanto in epoca molto recente, per di più da stranieri. Quando qualche ainu ha cominciato timidamente a scrivere di propria mano i racconti della propria tradizione, eravamo già nel Novecento e quella tradizione se la passava molto male, sotto i colpi di una nipponizzazione forzata imposta dal governo giapponese. Sappiamo che il paskur ha interpretato anche ruoli neutrali, accanto al suo tradizionale ruolo di mangiatore di escrementi, o così pare. Forse è stata una innovazione recente o forse no. Come ci siamo arrivato, però, è un altro paio di maniche e non lo sappiamo dire con certezza. Possiamo formulare ipotesi in abbondanza, ma per le certezze sarà meglio ritentare altrove.

NOTE

1 - Kamui yukar è il termine con cui sono indicati più spesso i canti tradizionali ainu a carattere grossomodo mitologico, ossia quelle storie in cui il protagonista è una divinità, cioè un kamui, e ci racconta in prima persona le proprie avventure. Sono caratterizzati da versi di quattro o cinque sillabe, in maggioranza, di solito preceduti o almeno accompagnati da un ritornello chiamato sakehe, che di solito ha a che fare con la natura del protagonista ed è spesso (ma non sempre) onomatopeico, oppure può essere un epiteto del kamui in questione.

2 - Consonanti sorde e sonore sono intercambiabili in ainu: dipendeva principalmente dal dialetto locale, ma anche dallo straniero che ascoltava e da ciò che capiva. Scegliere l’uno o l’altro tipo di consonante non altera il significato della parola. Se oggi si preferisce usare le sorde, è solo per una pura convenzione.

3 - Uwepeker, scritto anche uepeker (la “w” ha valore puramente eufonico e possiamo metterla o toglierla senza alcun problema, a seconda dei gusti), è un tipo di storia tradizionale in prosa, che corrisponde grossomodo alla nostra fiaba, intesa in senso piuttosto ampio: i protagonisti sono generalmente umani, ma vivono avventure che li portano in contatto con spiriti, divinità e cose strane. Narrati in prima persona dal protagonista stesso, in genere gli uwepeker hanno un lieto fine e una specie di morale, che deve servire come insegnamento agli ascoltatori. In altre zone, possono essere indicati con un nome diverso da quello di uwepeker, ma è sempre lo stesso tipo di storia, a cambiare è soltanto l’etichetta usata.

4 - La trascrizione ufficiale di questa parola oggi è si, ma è pronunciata come l’italiano “sci”, perché questo è il suono che ha la “s” davanti alla lettera “i”; davanti alle altre lettere, dipende dai casi e dalla persona che parla. Dalla sua particolare pronuncia davanti alla lettera “i” deriva la vecchia forma “shi”, utilizzata nelle trascrizioni passate.

5 - Quando appare in scena un umano vestito di nero, nelle storie ainu è più spesso un orso sotto mentite spoglie. In questo caso è invece un corvo. Solo un piccolo dettaglio, giusto per ricordare che le persone vestite di nero tendono a non essere comuni esseri umani nelle storie ainu: quando ne compare una, spesso ci sarà una sorpresa.

6 - Abbiamo anche storie in cui l’eroe culturale Okikirmui (oppure Okikurumi o altre variazioni sul tema) seppellisce nella latrina la testa di un kamui malvagio, come punizione per i danni che ha causato. Giusto per dare una idea di quale fosse l’opinione degli ainu in tema di escrementi.

7 - È una scena canonica nel folklore di mezzo mondo, almeno tra le popolazioni più “selvatiche”. Quando un giovane vuole costringere la madre a raccontargli la verità, usa la violenza, spesso immergendole una mano in una sostanza bollente o ricorrendo a torture simili: nelle storie dei Narti, nel Caucaso, un episodio di questo tipo appare molto spesso, quando l’eroe di turno vuole ottenere informazioni su un torto subito da lui o da un parente. Qui il ragazzo afferra per i capelli la presunta madre e li tira fino a che la donna non si decide a confessare tutto quanto.

8 - Dobbiamo davvero ricordare il classico motivo dell’animale-guida, di origine spesso soprannaturale, che conduce il protagonista di una storia verso la scoperta di qualche realtà ignota o verso un nuovo mondo, spesso ma non necessariamente nel corso di una caccia rituale? Non mi pare necessario: dovrebbe essere noto a sufficienza.